In Moldavia si interrogano su contenzione, OPG e diritti del “malato di mente”.
Nell’inferno delle miserie manicomiali, interrogazioni, critiche prendono corpo.
Leggiamo, con un po’ d’orgoglio ma tanto disappunto per la fatica che stiamo facendo per riproporre questioni simili.
Psichiatria in Moldavia: i 1800 reclusi
(da Osservatorio Balcani e Caucaso.org)
di Natalia Ghilaşcu
Strutture psichiatriche di grandi dimensioni, in cui i pazienti spesso si trovano per cure obbligatorie. Un sistema che limita più del necessario la libertà dei malati e li espone ad abusi. Un reportage della nostra corrispondente
In un contesto internazionale caratterizzato da un forte consenso riguardo la necessità di implementare un processo di deistituzionalizzazione degli ospedali psichiatrici, la Moldavia sta muovendo solo oggi i primi passi in questa direzione. Attualmente, in Moldavia ci sono più di 1.800 persone che risiedono nei tre grandi ospedali psichiatrici del paese. In alcuni casi i pazienti vi arrivano perché hanno commesso dei crimini e sono ritenuti “incapaci di intendere e volere”. In altri casi, vi si recano volontariamente o più spesso in seguito a richieste di intervento da parte dei familiari.
Legata al letto per 24 ore per aver tentato di fuggire
Inga, una ragazza di 25 anni è oggetto di attenzione per ritardo mentale dall’infanzia. È stata mandata in un istituto psichiatrico dopo aver ucciso un uomo che aveva abusato sessualmente di lei. “Quando sono arrivata, credevo fosse un ospedale normale… quando ho visto le sbarre alle finestre mi sono spaventata”.
Inga ha cercato di scappare varie volte dall’ospedale, senza successo, ma in seguito ad ogni suo tentativo di fuga è stata sottoposta a misure drastiche. In un’occasione, è stata legata al letto per tutta la notte. “Mi hanno legata per due volte. La prima non mi hanno tenuta a lungo, ma la seconda sono rimasta legata a un letto di metallo per tutta la notte, senza vestiti e con le mani gonfie. Ho urlato tutta la notte”, racconta Inga.
La psichiatra dell’ospedale, Silvia Morari, spiega che prima dei tentativi di fuga il personale medico permetteva a Inga di andare in negozio e di passeggiare per conto proprio. “Dopo che ha tentato di scappare, le ho detto che dovevamo tenerla nei limiti. Mentre parlavamo era nervosa e le ho subito prescritto dei tranquillanti”, aggiunge.
Il reportage
(Guarda il videoreportage realizzato da Natalia Ghilaşcu (in romeno) o leggilo sul sito discriminare.md)
Secondo i medici, le persone oggetto di cura obbligatoria in seguito a reati hanno spesso un comportamento aggressivo. “La corte, invece di mandarli in prigione, li manda negli ospedali psichiatrici per essere sottoposti a cure obbligatorie”, spiega Ion Dabija, direttore del dipartimento psichiatrico della città di Bălţi, illustrando ciò che avviene per i condannati riconosciuti incapaci di intendere e volere. Ion Dabija dice che quando i pazienti hanno crisi è necessario usare misure anche brutali, immobilizzando i pazienti anche per 30 o 60 minuti. “Ci sono casi in cui i pazienti minacciano le infermiere”, racconta Dabija.
Un nuovo ombudsman
Ludmila ha problemi di schizofrenia. Due anni fa ha lasciato suo figlio nella vasca da bagno ed è uscita a prendere la legna. Quando è tornata in casa il bambino era già morto per affogamento. Benché le sue condizioni mentali siano migliorate, i medici le impongono di rimanere in ospedale, decisione confermata anche da un giudice.
Solo ad alcuni dei pazienti è dato il permesso di passeggiare liberamente fuori della struttura. Gli altri, come Ludmila, rimangono in ospedale anche per più di sei mesi consecutivi senza mai uscire. “Come puoi vedere, i nostri pazienti sono effettivamente prigionieri. Si tratta di un ospedale psichiatrico e sono qui per cure obbligatorie in seguito a crimini che hanno commesso. Puoi immaginare di cosa sarebbero capaci queste persone se fossero lasciate libere”, spiega ancora la psichiatra Morari.
Ludmila dice però di essere sana e di non aver bisogno di essere ulteriormente sottoposta a cure. “Mi danno della pazza, mi chiedono di dire quanto fa 3 più 3, si comportano come se fossi matta”.
Dall’anno prossimo dovrebbe entrare ufficialmente in funzione in Moldavia la figura di ombudsman per gli ospedali per la salute mentale, ruolo che all’interno di un progetto pilota ha ricoperto quest’anno per tre mesi Doina Ioana Straisteanu. Straisteanu ha trovato semplicemente allucinanti questi mesi, durante i quali ha informato i pazienti dei loro diritti ed ha cercato di affrontare direttamente alcuni casi di abuso.
È in questo modo che Ludmila ha scoperto di avere diritto a scrivere una lettera di protesta formale. “Altri pazienti mi dicono che sono esaminati ogni sei mesi per decidere se devono rimanere o possono andarsene. A me, invece, nessuno mi ha mai esaminato”, ha raccontato in lacrime Ludmila.
Straisteanu ha ricevuto varie lamentele da parte di pazienti riguardo ad abusi, ad esempio quando le razioni di cibo vengono ridotte per non aver pulito la propria stanza. “Generalmente gli abusi consistono in insulti verbali, spinte e violenze. L’amministrazione ne è al corrente ed ha preso qualche misura per contrastare comportamenti di questo tipo. Alcune infermiere sono state licenziate. Inoltre, i pazienti lavano i pavimenti e i bagni a turno. Io li informo che non sono tenuti a farlo e hanno tutto il diritto di rifiutarsi”, spiega Doina Straisteanu.
Il consulente dell’UNDP Arcadie Astrahan ribadisce che il personale medico deve essere ritenuto responsabile per gli abusi commessi. “I pazienti hanno il diritto di non essere vittima di maltrattamenti e torture negli istituti neuropsichiatrici. È un diritto assoluto che deve essere garantito da subito, non gradualmente”, dichiara l’esperto.
La segregazione dei malati mentali non è la soluzione
La commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha raccomandato al governo moldavo di integrare e non segregare le persone con problemi mentali. In Moldavia queste persone rimangono chiuse tra quattro pareti, isolate dal mondo. A partire dal 2013, il ministero della Salute moldavo darà inizio a un processo di riforma di queste strutture che dovrebbe permetter e a chi vi alloggia attualmente di ritornare nella propria comunità.
“Vogliamo che questi pazienti abbiano l’opportunità di vivere nella loro comunità e ricevere lì i servizi medici di cui hanno bisogno”, dichiara in modo convinto Astrahan. Ma alla Moldavia, come ad altri paesi post-sovietici, rimane un lungo percorso da fare prima che persone con problemi mentali vengano accettate maggiormente, e non isolate, discriminate e giudicate duramente da giudici, medici e persone comuni.