di Giovanni Rossi
Potrebbe capitarmi di essere tra i pochi fortunati che hanno potuto compiere l’intera carriera professionale sotto il segno della legge 180. Che propone una visione “buona” della prevenzione e cura delle malattie mentali basata sulla alleanza tra le risorse civiche del territorio e le risorse professionali, o meglio multiprofessionali. Nel senso che se è importante il ruolo del medico-psichiatra altrettanto lo è quello di psicologi e psicoterapeuti, operatori sociali ed esperti nell’educazione dell’adulto.
Ho iniziato a lavorare nell’ottobre 1978, quattro mesi dopo l’approvazione della legge “Basaglia”, partecipando alla chiusura dell’ospedale neuropsichiatrico di Mantova e aprendo i centri territoriali a Viadana e Suzzara. Ho terminato il mio lavoro nel servizio pubblico nel 2010 da direttore del Dipartimento Salute Mentale che organizza tutti i servizi presenti nella provincia di Mantova. Mi sono formato, come medico e psichiatra, negli anni 70. In sostanza in quegli anni studiavo da psichiatra del territorio. Del resto la dimensione formativa, che si basa sulla frequentazione di una “scuola”, non può che anticipare quella organizzativa (la legge 180 e le successive disposizioni regionali).
Siamo nel 2012. Da anni la formazione del medico e dello psichiatra è tornata a porre al centro la dimensione biologica, tecnologica, parcellizzata negli specialismi. Tanti cercano di entrare a medicina perchè garantisce uno status economico. Molti si laureano per ragioni commerciali. Si immaginano divisi tra la mattinata in corsia o dietro una macchina biomedica ed il pomeriggio nell’ambulatorio privato. Il territorio, il suo valore per la salute, non viene più insegnato.
Le ultime generazioni di psichiatri hanno meno frecce terapeutiche nella loro faretra. Paradossalmente sono più soli di quanto non fossi io 40 anni fa. Per questo ha un certo consenso la proposta, passata in commissione alla Camera con il voto di PDL e Lega, che prevede la riapertura di “manicomi attenuati” dove sia possibile sottoporre le persone a “trattamento sanitario necessario”. Non è più solo questione di internare persone sporche, brutte e cattive, ma di nascondere i fallimenti terapeutici. Per questo si ricorre al termine necessario. Lo stato di necessità consente infatti di aggirare i limiti posti dalla legge. L’esempio che si fa sempre è quello del medico che interviene a soccorso di una persona che ha perso conoscenza. Per questo è giustificato se non chiede il preventivo consenso “informato”. Con una buona dose di ipocrisia si attenua il linguaggio : da obbligatorio a necessario, per ampliare enormemente la discrezionalità operativa. Sono le strategie del soft power. Conflitto a bassa intensità, peace keeping. Così come ci sono i tagli economici necessari ci saranno anche i trattamenti necessari.
Fortunatamente il vento in Italia, e non solo, sta cambiando. Non credo che l’iniziativa dei parlamentari di PDL e Lega andrà in porto. Tuttavia rimane del tutto irrisolto il problema della formazione dei medici psichiatri e del ripristino di una scala di valori che metta al centro la funzione terapeutica. Se non verrà abbandonato il naturalismo del modello biologico-aziendale il rischio di manicomi attenuati, dove nascondere i propri fallimenti, praticare qualche elettroshok ed internare chi è pericoloso, rimarrà dietro l’angolo.
(visibile anche sul blog: http://rossi-mantova.blogautore.repubblica.it/2012/05/21/manicomi-attenuati/)