Di Federica Manzon
Marco Cavallo, apprendo, è stato sfrattato dal deposito a Muggia dove era custodito quando non era in viaggio per testimoniare la rivoluzione che l’ha fatto nascere.
Io non ero nata, ma la storia del cavallo azzurro della Città dei Matti, che aveva buttato giù i muri del manicomio andandosene in giro per la città, mi veniva raccontata spesso. La raccontavano i basagliani, genitori dei miei compagni d’asilo, arrivati da mezza Italia in quella regione di confine a est, dove si era così periferici e stranieri da poter fare inosservati la rivoluzione – quando se ne accorsero era già troppo tardi. Me la raccontava mia madre con lo stesso tono emozionato con cui mi avrebbe raccontato le battaglie per l’aborto, per i diritti della donne, o il senso del 25 aprile.
Marco Cavallo è un simbolo, ma è anche la Storia. Il cavallo azzurrino nato nella città azzurrina, in un momento in cui in molti credettero che prima di ogni altra cosa viene l’uomo, e gli uomini sono diversi ma con uguali diritti, e se qualcuno ne perde alcuni per strada perdiamo tutti qualcosa, perché quella condizione di perdita ci spaventerà e allora diventeremo timorosi, esposti a ricatti e minacce, incapaci di solidarietà pur di non cadere anche noi nella condizione di povertà, additati, esclusi. Marco Cavallo era stato creato da artisti, medici, matti, uomini, donne, persone che l’identità non sapevano più nemmeno se potevano immaginarla. Lo costuirono insieme, dentro la pancia poeticamente misero i loro sogni. Era poi uscito nella città, tirandosela dietro (buona parte almeno).
Non so cosa accadrà ora a Marco Cavallo, dove finirà. So che c’è ancora una generazione che ne conosce il potere vivo e combatterà perché non vada dimenticato. Ma so anche che quella memoria fatta di energia e emozione sta svanendo (l’emozione del 25 aprile e del 1 maggio sul prato dell’ex manicomio di San Giovanni, mentre sotto il glicine delle assemblee basagliane si inseguono i bambini e qualcuno canta). So che c’è una giunta politica che lavora per smantellare il modello basagliano, perché business it’s business e la sanità fa fare i miliardi, ma non quando riguarda la salute mentale. So che stiamo dimenticando cosa significa essere legati a un letto (l’ha perfino chiamata “arte”, l’editore che pubblicava i testi della rivoluzione, e chiamandola “arte” ha venduto parecchie copie). So che stiamo dimenticando cosa significa perdere i diritti perché senti le voci, o sei uno strano, o scoppi un po’ troppo spesso a piangere o hai gli scatti di rabbia, e in tutto questo sei pure povero. So che la vita è diventata troppo faticosa per badare anche a quella degli altri. Ma Marco Cavallo era l’eroe di una storia magnifica, che la potevi racconatre ai bambini, e non voglio pensare che a distruggerlo siano questi tempi così poveri di storie, privi come sono di Stimmung.