20 tentativi di suicidio, il calvario di Simone in una cella dove non dovrebbe stare
L’Unità, 11 febbraio 2024
Simone Niort è un giovane con importanti problemi psichiatrici che si trova in carcere dall’età di diciannove anni. In otto anni di carcere Simone ha tentato il suicidio almeno venti volte, si è inferto lesioni per almeno 300 volte, ha subito più di cento procedimenti disciplinari ed è stato incessantemente trasferito da una casa circondariale all’altra in Sardegna. A giugno 2023, per motivi disciplinari, è stato spostato a Torino, perdendo i contatti con la sua famiglia. A fine gennaio è stato rinviato in Sardegna, grazie anche all’intervento di Susanna Ronconi e della Garante dei detenuti di Torino Monica Gallo. Il percorso di Simone è un vero Calvario e va raccontato.
Fino al suo arresto avvenuto nel giugno 2016, la vita di Simone è costellata da difficoltà a integrarsi a causa del suo disagio mentale. Durante l’adolescenza il quadro si aggrava per l’assunzione di sostanze. Commette reati contro le persone e contro il patrimonio e finisce in carcere.
Ma Simone non capisce, non ha la capacità di comprendere il motivo della sua reclusione, la sua malattia non glielo permette. Dopo innumerevoli tentativi di suicidio, automutilazioni e sanzioni disciplinari, nel 2020 l’Ufficio di Sorveglianza ordina un periodo di osservazione psichiatrica come prevede l’ordinamento penitenziario per verificare se la condizione di Simone sia compatibile con il carcere. I presupposti ci sono tutti anche perché, nel 2019, in un procedimento penale, il consulente tecnico nominato d’ufficio aveva accertato che la malattia di Simone si era aggravata ulteriormente in carcere dove il giovane aveva sviluppato una “sindrome reattiva al carcere”. L’osservazione psichiatrica è ultimata nel 2021, ma la relazione rimane riservata: né Simone né il suo difensore riusciranno ad averne copia.
L’Ufficio di Sorveglianza dell’epoca invece la legge e nel novembre 2022 indica che Simone ha un disagio che lo rende incompatibile con lo stato detentivo. Ciò nonostante, non decide di porlo al di fuori del carcere, ma ordina al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di individuare un istituto penitenziario idoneo a ospitare Simone e il suo bagaglio di sofferenza e disagio psichico.
La richiesta è reiterata nel 2023, ma la risposta giusta non giungerà mai. Il motivo è semplice, la richiesta è stata rivolta all’amministrazione non competente. La Sorveglianza avrebbe dovuto chiedere non al Dap ma all’autorità amministrativa sanitaria competente di identificare un percorso di cura alternativo al carcere. Forse a causa della carenza strutturale di luoghi di cura in Sardegna per persone come Simone, forse per paura, la scelta è stata una non scelta o una scelta obbligata. Simone non poteva essere collocato in un luogo idoneo alla sua condizione nel rispetto della sua dignità di essere umano, ma non poteva neppure essere liberato perché la sua pena sarebbe finita nel 2026. Tutto questo finisce sulle spalle del più fragile, su Simone, la persona che avrebbe bisogno di tutta l’attenzione di chi dispone del suo corpo, del suo tempo e della sua vita.
Il Calvario continua, i tentativi di suicidio non si fermano, le ferite, i tagli, le ingestioni di oggetti, le urla, la violenza sulle cose sono quotidiane. Simone finisce regolarmente in una cella “liscia” o di “transito” perché non faccia del male a sé e agli altri. Rimane isolato, non svolge alcuna attività educativa. Le sanzioni disciplinari, alcune sospese perché totalmente incapace di intendere e volere, lo allontanano sempre più dalla vita sociale. Rimane solo, solo con sé stesso e il suo disagio.
Per tutto ciò, dopo che tutti i tentativi in Italia non hanno alcun effetto sulla sorte di Simone, si è tentata la via di Strasburgo. Ora il procedimento è in corso, ma anche davanti ai Giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, il Governo italiano sembra essere indifferente alla sorte di Simone. Anche qui non è stata trasmessa l’osservazione psichiatrica approntata nel 2021 dove dovrebbe risultare che Simone è incompatibile con il carcere. E non è stata neppure presentata una relazione medica attestante la reale condizione di Simone come hanno richiesto i Giudici di Strasburgo. L’indifferenza che avvolge Simone, completamente incapace di comprendere le ragioni della sua detenzione, impermeabile alla possibilità di utilizzare il suo tempo per lavorare alla propria riabilitazione e rieducazione lasciano a chi scrive un dolore che indigna. L’agire per Simone nasce dalla convinzione che la vera giustizia possa essere raggiunta solo attraverso l’impegno di tutti, nessuno escluso. Dunque scrivo contro l’indifferenza e nella speranza che tutto quello che sta succedendo a Simone cessi al più presto, prima che altri tentativi suicidari possano andare a buon fine, semmai buono può essere definito questo fine della pena.
Antonella Mascia, *Avvocata, Consiglio Direttivo di Nessuno tocchi Caino