Intervento al Global Mental Health Summit
di Silva Bon
Roma, giovedì 13 ottobre 2022
Io sento le voci. Continuamente. Incessantemente. Anche in questo momento.
Ma oggi sto bene.
E vengo qui, a testimoniare davanti a tutti voi, reduce da un lungo cammino; un cammino ondivago, pieno di sofferenze e di esperienze drammatiche, al limite. Esse hanno messo a dura prova la mia resistenza; la mia resilienza; la mia stessa capacità umana di attraversare, sopportare, metabolizzare momenti, molti e ripetuti momenti, in cui ho messo a repentaglio la mia stessa vita.
Quando penso al lungo arco di tempo, durato più di quarant’anni, dall’esordio conclamato di malessere, di malattia mentale, fino al giorno della emancipazione dal rapporto con i Servizi psichiatrici pubblici, sono assalita, quasi travolta, da un’onda devastante di ricordi.
Eppure, al tempo stesso, guardo con speranza, a volte addirittura con fiducia, a future possibilità e mi apro al sorriso.
Per trent’anni sono stata seguita dagli operatori del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. Qui, all’interno dei Centri di Salute Mentale, sono stata accolta ogni volta, in cui ho vissuto la difficoltà di una crisi. Spesso, io stessa, mi sono recata spontaneamente e da sola nel Servizio di Diagnosi e Cura, l’SPDC, chiedendo aiuto.
La risposta messa in atto dai responsabili dell’esperienza triestina non è mai stata univoca, né tanto meno legata esclusivamente alla somministrazione di farmaci. In modo molto flessibile, aperto, empatico, gli infermieri, i medici, si sono presi cura di me.
Quando mi sono rivolta, disperata e sconvolta, là sulla soglia del Centro, davanti a un operatore, e stavo quasi per svenire, e avevo i piedi sanguinanti, distrutta nel fisico e nella psiche; mi ha aiutata, concretamente aiutata, chi mi ha dato un bicchiere d’acqua; chi mi ha offerto comodi e morbidi zoccoli di gomma; chi mi ha preparato un letto con lenzuola fresche; chi mi ha rifocillato con un piatto di spaghetti; chi mi ha ascoltato e ha dato un senso ai miei vissuti.
E poi le tante opportunità di crescita, attraverso la condivisione di momenti socializzanti, all’interno di gruppi di auto mutuo aiuto; di seminari aperti a operatori, familiari, persone con esperienza; di forme di protagonismo attivo e gratificante.
Mi soffermo su quello che è stato, ed è tutt’ora, il significato di “protagonismo attivo”.
Oltre e al di là della terapia farmacologica che mi è stata prescritta dai medici del Centro di Salute Mentale di Barcola, cui afferivo necessariamente, in base alla mia residenza territoriale a Trieste, per me si è rivelato essenziale, fondamentale, il processo di rimodellamento del mio stesso approccio alla vita; del mio modo di pensare.
Può sembrare una affermazione eclatante, ma il cambiamento, pur attraverso la sofferenza, è stato radicale nel mio essere persona, nel mio essere donna. Mi sono state offerte opportunità di costruzione e consolidamento di autostima; di coraggio; di consapevolezza; di responsabilità; di rispetto di me stessa e degli altri.
Avevo toccato il fondo, impotente e disperata di fronte alla malattia e al disagio che mi tormentava, mi bloccava, mi feriva incessantemente. Non osavo, non potevo nemmeno guardare in viso i miei interlocutori, anche occasionali persone incrociate per strada, perfettamente sconosciute, di cui avevo paura e da cui mi sentivo derisa.
Emarginata, non uscivo più di casa se non per stretta necessità; deprivata di ogni segno di affetto e di sostegno, umiliata, vivevo una situazione familiare pressoché insostenibile. E i segni, i colpi della malattia si infittivano ogni giorno di più. Ero senza parole, chiusa e impossibilitata.
Sono stata messa nelle condizioni di leggere, di imparare, di capire, di riflettere, di affrontare le difficoltà, a volte anche sfide temerarie, attraverso le tante, diverse occasioni strutturate messe in campo nel Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, e nel Centro di Salute Mentale di mia appartenenza. Occasioni che ho colto, ho potuto e saputo cogliere e valorizzare ai fini di un mio possibile benessere psicofisico.
Ricordo con gratitudine il mio andare al CSM, fino alla pandemia COVID.
Il Centro di Barcola era uno spazio accogliente e nel giardino, all’ombra di alberi secolari, intorno a un grande tavolo, si riunivano, spontaneamente, operatori, persone ricoverate, volontari, persone che cercavano un momento di amicizia e di scambio. Ed era centrale, propositiva nel suo lato materno, la figura della cuoca, della guardarobiera, che si prendeva cura delle persone convenute, offrendo il caffè, a volte dei dolci; sicuramente lei apriva la discussione corale che scaturiva dalla lettura del quotidiano; e anche con i rimbrotti o i consigli di vita pratica, dati con estrema semplicità e umanità, apriva alla riflessione sui problemi individuali.
Il Centro con la porta sempre aperta: sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno. Una realtà rassicurante, cui si accedeva senza appuntamento, senza file d’attesa, e permetteva una immediata presa d’atto dei bisogni, delle richieste, dei problemi delle persone. Costruendo risposte pensate, organizzate nella complessità di un lavoro di équipe proprio sulle specificità dei singoli.
Per me è stato fondamentale poter continuare a tenere il mio lavoro di insegnante; accrescere conoscenze teoriche e pratiche, vivere esperienze formative molteplici partecipando a riunioni, anche a molti Congressi, in Italia e all’estero.
Costruire saperi intorno alla Salute Mentale è qualche cosa che riguarda non solo gli addetti ai lavori, ma necessariamente deve coinvolgere anche i familiari e le persone con esperienza: solo così, attraverso occasioni di scambio, di conoscenza, di frequentazione, un po’ alla volta si costituisce un gruppo, una Comunità. Una Comunità radicata sul Territorio, che opera nel Territorio, in funzione di un miglioramento delle possibilità di vita, allargate a tutti; in funzione del consolidamento della Salute Mentale collettiva.
Perché non c’è Salute, senza Salute Mentale.