Buon giorno.
Scelgo di scrivere queste brevi note nel timore che il mio silenzio possa essere inteso come condivisione o come accidiosa renitenza.
Rilevo, nella configurazione del convegno pianificato per il 18 marzo a Milano e dal titolo “31 marzo chiudono gli opg APRIAMO I SERVIZI”, tutti gli elementi da me evidenziati nell’incontro penultimo di stopOPG in Camera del Lavoro; certamente la mancanza di una abitudine a redigere un verbale fa sì che ogni volta quanto venga espresso si possa perdere e comunque non sia visibile a coloro che non siano stati presenti; tuttavia ricordo che da parte di molti – tra cui Vita Casavola e Corrado Mandreoli – era stata espressa condivisione e corroborazione delle argomentazioni da me offerte.
Queste, in sintesi, le questioni poste in tale incontro alla comune attenzione:
- nella continuità tra politiche regionali per la salute e la sanità e processo di estinzione degli OPG, nella prospettiva di una modifica complessiva dello statuto di responsabilità del reo a cui sia attribuita una diagnosi psichiatrica, evidenziavo l’assenza di metodologia e di strumenti perché la gestione di tale processo non fosse lasciata alla mera “clinica”;
- ciò si evidenzia sia per l’assenza nelle proposte di legge regionali di ogni riferimento a saperi e profili professionali differenti da quelli meramente sanitari (e in particolare psy), pur nella prospettiva culturale di una “integrazione sociale” più volte retoricamente enunciata, sia per l’assenza dallo spazio discorsivo di stopOPG e più in generale di chi si occupa di “psichiatria di comunità”, secondo la dizione spesso offerta da Luigi Benevelli, di una funzione specifica e riconosciuta del servizio sociale e delle scienze sociali, che pur giocando nell’operatività un ruolo chiave (spesso il lavoro sporco), sono relegati in un ambito ancillare e mimetizzati in meri aspetti procedurali, tanto che non hanno nemmeno “voice” in un convegno che vede da una parte i ruoli medici e giuridici, dall’altro il “sociale” attribuito come ambito di competenza solo alle forme organizzate di utenti e familiari;
- tale orientamento è fallace in quanto permette di anticipare che si affiderà alla cultura attualmente espressa dalla clinica* quanto da essa generato (la “cura” come custodia e come ortopedagogia) nel sinallagma tra giudice e psichiatra, e laddove la psichiatria, così come oggi la conosciamo, non ha offerto suoi contributi specifici, fertili e operativamente efficaci rispetto all’obiettivo primo della biomedicina che è la guarigione
- tale opzione, inoltre, si traduce de facto nella dichiarazione di irrilevanza della partecipazione di chi sia portatore di competenze differenti che “sanno” gestire processi che mirano al cambiamento biografico (recovery) delle persone con diagnosi psichiatrica, e processi che sono adeguati alla gestione di quel “sociale” che, nel senso comune, si ritiene sia di per sé naturalmente efficace rispetto all’obiettivo definito dal Piano Regionale Salute Mentale della Lombardia. Si veda, al riguardo, come, in virtù dell’evidenza che «la condizione psichica può compromettere una reale possibilità di scelta, intesa come esercizio di critica e pienezza di progettualità esistenziale», nel Piano si indica come obiettivo generale dell’intervento “il recupero della progettualità esistenziale nei modi e nei tempi consentiti dal rispetto dell’individuo e dalle sue difese. La metodologia clinica della rilevazione dei bisogni specifici, dell’offerta d’interventi differenziati e integrati e della garanzia della continuità terapeutica rappresenta il modello di lavoro appropriato per la psichiatria di comunità”;
- dalla considerazione di quanto avviene a tutt’oggi e dalla configurazione della matrice organizzativa dei servizi per la salute mentale in Lombardia si evince che la “metodologia clinica” a cui il testo fa riferimento dispone di scarsi strumenti per “la rilevazione dei bisogni specifici” e per l’offerta di “interventi differenziati e integrati” finalizzati all’obiettivo generale; tanto più in considerazione della mancata definizione di soggetti e ruoli, appunto, differenti da quelli per senso comune reputati di riferimento;
- tornando al format del convegno, rilevato quanto sopra enunciato, si discute in particolare della partecipazione del dr. Maranesi, come voce che si possa collocare in coerenza con il titolo “APRIAMO I SERVIZI”; ciò in virtù della valutazione di quanto da tale ruolo offerto in contesti pubblici e ristretti in merito alla possibile apertura dei CPS per 12 o 24 ore al dì, e quindi dell’esclusione dall’ordine del giorno della possibilità di cambiamento della matrice organizzativa e quindi dello stile di lavoro dei medesimi; in particolare, il suo ruolo si configura – e non vi è giudizio sulla persona – come giocato su differenti tavoli e con differenti posizionamenti, spesso incompatibili tra loro se non per il fil rouge che li attraversa. quello della gestione del potere – e qui nulla di male – volto alla costante gerarchizzazione di ogni altro sapere e ruolo che non sia “medico”. Ciò non mi rappresenta e costituisce elemento confusivo circa il merito delle questioni;
- come sopra evidenziato, nel convegno non vi è spazio per voci che non siano quelle i cui interessi/competenze sono già riconosciuti e attestati e che, in un gioco di riflessi, rimandano in modo autoreferenziale a se stesse: la strategie che spesso vengono descritte e che sono portate a giustificazione della propria presenza mirano a mantenere la legittimazione reciproca di ruoli che non si misurano con obiettivi e risultati, ma solo con la propria “sovranità” sui temi di cui si scrive e così rinnovata;
In virtù di quanto schematicamente enunciato e frutto di lavoro di studio, ricerca e di sperimentazione in trentasei anni di attività sul campo nella lotta anti istituzionale e per una salute mentale che non sia sequestrata dalla psichiatria, esprimo il mio dissenso sia come professionista, sia come operatore che ha sempre lavorato nei servizi pubblici, sia come iscritto alla CGIL e di stopOPG.
Ho reiteratamente chiesto che venissero riconosciuti a tali temi dignità e rispetto e quindi di farli entrare a pieno titolo nell’agenda di Stop OPG; come ho avuto modo di dire nel corso dell’ultimo incontro, l’autorità che mi deriva dal fallimento mi permette di ricordare che la frase per cui “da vicino nessuno è normale” è la traduzione di un verso di una canzone di Caetano Veloso “de perto ninguem è normal”, suggerita nei primi anni ’90 da Izabel, oggi assistente sociale del DSM di Trieste.
E oggi chiedo che la restituzione della voice agli utenti sia accompagnata dalla restituzione della voice a chi è inn grado di offrire competenze differenti per una salute mentale differente.
Saluti anti istituzionali,
Luigi Colaianni
*(si vedano l’istituzione di un servizio di psicologia clinica; l’appropriazione della funzione di “case manager” da parte di figure sanitarie e l’improprio trasferimento delle relative competenze all’ambito sanitario, contraffacendo l’origine di tale ruolo che è “manageriale” in quanto gestisce un budget sociale, come è possibile evincere dalle esperienze in ambito anglofono);