La vita quotidiana nei reparti femminili del manicomio provinciale di Mantova (1940 – 1980) – Arti Grafiche Grassi Mantova, 2008
Il manicomio è stato ed è, in tutto il mondo, testimonianza che la cosa che viene più facile da fare con le persone con problemi psichiatrici è quella di emarginarle, isolarle dal resto della società. Anche a Mantova il manicomio è stato parte non secondaria della storia locale e dell’immaginario collettivo e il suo toponimo “Dosso del Corso” è entrato nei modi di dire del linguaggio quotidiano. Da pochi anni il manicomio è vuoto della presenza di persone giudicare folli che, dal 1930 al 1999, per disposizione delle leggi dello Stato lo hanno abitato, private della libertà, violate nella dignità. Oggi, le funzioni accolte nella sua area originaria successivamente spezzata da nuove recinzioni, infoltita di nuovi edifici, interrotta e scavalcata dalla tangenziale, non sono più leggibili e quello che avrebbe potuto essere il più bei parco verde della città è stato sconvolto e deturpato da scelte delle aziende sanitarie e delle politiche urbanistiche del Comune che ignorano e oltraggiano la memoria di tutte le persone che vi hanno sofferto e lavorato. Tali atteggiamenti del ceto politico locale hanno varie ragioni, alcune delle quali forse non nobili, ma una di queste, certo è che in genere tendiamo a dimenticare le cose sgradevoli
Una nostra concittadina invece. Maria Zuccati, che è stata giovanissima assessore all’ospedale psichiatrico provinciale del 1958 al I960 e che è impegnata a raccogliere, ordinare testimonianze e documenti della storia sociale e della storia delle donne della nostra terra, ci ha sollecitato a ricostruire vicende, fatti e personaggi del manicomio di Mantova, con un particolare riferimento ai reparti femminili. Così è nato il progetto di questa ricerca diventata dal suo inizio un lavoro insieme fra il Dipartimento di salute mentale dell’Azienda ospedaliera “Carlo Poma” e l’Istituto di storia contemporanea di Mantova.
Prima dell’apertura del manicomio di Dosso del Corso nel 1930, i cittadini della provincia di Mantova, erano ricoverati prevalentemente nel grande manicomio di Reggio Emilia e in quello di Castiglione delle Stiviere. Il nuovo manicomio provinciale nel primo decennio di attività fu solo una succursale del manicomio di Castiglione delle Stiviere. Con la progressiva andata in funzione dei suoi reparti, aumentarono i trasferimen-ti dei pazienti da Reggio e da Castiglione. Il passaggio verso Mantova era presentato e vissuto come un “premio” per il buon comportamento tenuto perché il manicomio era nuovo, posto più vicino ai famigliari ed alle comunità di origine per molti dei pazienti. Per converso, coloro che tenevano comportamenti violenti o particolarmente disturbanti o ribelli nei confronti del personale, erano trasferiti ” per castigo” a Castiglione che finiva col fungere, per così dire, da “manicomio del manicomio” non solo per il manicomio di Mantova, ma anche per quelli di Brescia, di Verona, per il circuito di trattamento degli alcoolisti della provincia di Milano, per pazienti delle province di Massa Carrara e La Spezia’. Dal 1940, anno in cui l’ospedale psichia-trico del Dosso del Corso divenne autonomo rispetto a quello di Castiglione delle Siviere, al I960, 59 pazienti uomini e 87 don-ne furono trasferite alle sezioni civili della Ghisiola dal mani-comio di Mantova perché definite “irrecuperabili”. Nello stesso arco di tempo, 52 pazienti uomini e 36 donne rientrarono dalla Ghisiola a Mantova. Nel I960 la prassi cessò definitivamente, ma ancora negli anni ’70 le sezioni civili della Ghisiola acco-glievano un centinaio di donne e uomini trasferiti dal Dosso del Corso e solo nel decennio successivo rientrarono a Mantova. Fino alla fine degli anni ’50 il numero delle donne ricoverate fu supe-riore a quello degli uomini; nel I960 l’andamento si rovesciò e da allora gli uomini furono sempre più numerosi delle donne.