di Giovanni Rossi.
Il prossimo 31 marzo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari devono chiudere. Finalmente non vi sarà nessuna proroga.
Chi, come il comitato Stopopg (vedi per la sua composizione www.stopopg.it) è nato per questo non può che rallegrarsene.
Il giorno successivo, il primo di una nuova fase, il film “il viaggio di Marco Cavallo” dentro gli OPG, verrà proiettato in Senato alla presenza del Presidente emerito Giorgio Napolitano, che in prima persona ha voluto la chiusura di questi luoghi “indegni di un paese appena civile”.
Non ci sarà nessun effetto acceso/spento perchè in quelle strutture obsolete e nocive per la salute, sono comunque accolte persone fragili, gli internati, e persone meno fragili, gli operatori, che hanno diritto, i primi, a programmi individuali di cura e risocializzazione, i secondi, a programmi formativi e di ricollocazione professionale. Il processo di chiusura si realizzerà attraverso la messa in pratica dei programmi terapeutici individuali.
Non tutte le regioni hanno condiviso e messo in pratica le prescrizioni di legge : 1) un progetto terapeutico e di risocializzazione per ogni proprio internato; 2 ) risorse aggiuntive ai dipartimenti di salute mentale; 3) attivazione di un numero limitato di posti residenziali (r.e.m.s.) dove possa essere messa in atto la misura di sicurezza detentiva nei, pochi, casi che dovessero essere così sanzionati da un giudice. Per questo alcune richiano il commissariamento.
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che devono chiudere sono sei. In cinque prevale il Giudiziario, sono di fatto carceri. Il sesto, Castiglione delle Stiviere, esegue la detenzione per mezzo di un Ospedale Psichiatrico.
Questa differenza viene utilizzata dalla regione Lombardia per sostenere che il suo OPG sarebbe oltre l’OPG. Insomma secondo la Regione Lombardia, gli OPG sarebbero come il colesterolo. C’è quello cattivo – gli altri cinque – e quello buono – il suo.
Ma non è così. La legge dello scorso anno non prevede che possa esistere l’Ospedale Psichiatrico Buono.
E questo per una ragione molto semplice. La nocività dell’Ospedale Psichiatrico, oltre che documentata nella pratica, è stata scritta nero su bianco in una legge : la legge Basaglia.
In un certo senso possiamo affermare che la legge 81 del 2014, sancendo la chiusura degli OPG, completa la legge 180.
Così, se per la legge 180 la cura è di norma extraospedaliera, per la legge 81 la misura di sicurezza è di norma non detentiva.
Se per la legge 180 il trattamento sanitario obbligatorio (tso) deve comunque rappresentare l’estrema ratio e per questo viene sottoposto a vincoli di tempo, di luogo e di legittimità stringenti, analogamente l’estrema ratio della legge 81 è costituita dallamisura di sicurezza detentiva.
Lo scopo di questa misura dovrebbe, infatti, essere quello di eliminare/attenuare la pericolosità sociale attraverso la cura. Ma la cura delle malattie mentali, come sapiamo bene, è di norma extraospedaliera e volontaria.
Una prova ulteriore del fatto che la cura si basa sui progetti individuali e non sulle strutture, ci viene dalla prima applicazione della legge 81.
E’ bastato chiedere un piano di trattamento individuale per scoprire che : a) più della metà degli internati in opg era giàdimissibile (non più pericoloso); b) molti di coloro che non erano dimissibili lo erano per problemi psicopatologici più che per la pericolosità, e quindi in opg non avevano ricevuto la cura appropriata.
Una verifica illuminante circa il fatto che l’istituzione totale nuoce gravemente alla salute, non riuscendo né a dimetterti né a curarti, ti cronicizza. E’ l’ergastolo bianco.
A questo punto possiamo chiederci, riprendendo don Ciotti : la verità illuminerà la giustizia?
Giustizia vorrebbe che, perchè l’acqua nell’opg non ristagni ma riprenda a scorrere, non venga chiusa con una diga di Rems ma si aprano tanti ruscelli quanti sono gli internati.
Servono dei buoni idraulici. Gli operatori della giustizia e quelli della salute lo sono?
Fino ad oggi è, purtroppo, indubbio che l’interazione tra giustizia e sanità, tra magistrati e psichiatri, sia stata fattore di internamento, spesso non necessario, in OPG.
Si entrava tanto per la mancata presa in carico nel DSM che per il ricorso autmatico alla misura di sicurezza detentiva.
Non si usciva semplicemente perchè non veniva presentato un progetto terapeutico, né veniva particolarmente sollecitato dal giudice.
Fortunatamente però le cose non andavano sempre così. Vi sono state anche interzioni maggiormente efficaci.
Secondo dati del Coordinamento interregionale sanità penitenziaria nel 2013 la regione con il maggior tasso di internamento era la Lombardia (più di 25 persone per milione) mentre altre come il Friuli e l’Emilia ne avevano meno della metà (meno di10 per milione). Variabilità confermata anche dai dati aggiornati ad oggi. 8 friulani, 40 emiliano-romagnoli e ben 160 lombardi.
Le regioni considerate hanno alcuni caratteri comuni : sono tutte del nord, i loro assetti socio economici e di welfare sono simili. E’ diversa, invece la cultura/organizzazione dei servizi sanitari e giudiziari. Tale diversità spiega perchè negli opg ci sia più del doppio di lombardi rispetto a emiliani e friulani.
In Lombardia l’OPG si configura come la RISPOSTA per un sistema di servizi molto difensivo, centrato sull’ospedale e sugli specialismi.
In Emilia si valorizzano le differenze tanto negli approcci culturali che in quelli organizzativi. Essendo allenati ad organizzare risposte integrate nelle reti territoriali, tale approccio viene esteso anche alle persone internate, la cui differenza viene, infine, valorizzata.
In Friuli si condivide in maniera sistemica l’esperienza basagliana che considera superabile, dopo aver chiuso l’ospedale psichiatrico, e messo in pratica il principio della cura extraospedaliera, anche il mancomialismo intrinseco in qualsiasi forma di coazione : dal trattamento sanitario obbligatorio alla misura di sicurezza in opg.
Purtroppo in Lombardia non sembra esserci alcuna consapevolezza del fatto che avere tanti lombardi in opg dipende da unoscadente, e non eccellente, modello culturale/organizzativo. Anzi si fa di tutto per mettere sulle spalle dell’internato la responsabilità del suo internamento. Lombrosianamente si dibatte se si tratti di cronicità pericolosa, o non piuttosto, di pericolosità cronica. Portatori di tale responsabilità non sarebbero più gli “schizofrenici” ma i “giovani disturbi di personalità associati a dipendenza patologica”.
Per questo, nella nuova fase che si apre, va posta con forza la questione della verifica dell’efficacia dei programmi adottati dalle singole regioni. Non può esistere un diverso trattamento in base alla regione di residenza. Tutti i cittadini italiani hannodiritto alla miglior cura disponibile. Nè può essere tollerato lo spreco di denaro pubblico per “grandi opere”, come si configura il progetto della regione Lombardia – radere al suolo e ricostruire più bello l’OPG di Castiglione delle Stiviere – la cui base culturale si rintraccia nell’alienismo ottocentesco (1800), e nemmeno nel migliore