[articolo uscito su La Stampa]
Una persona su quattro durante la vita soffre di disturbi di carattere mentale. La statistica è stata resa nota nei giorni scorsi, nell’imminenza della Giornata Mondiale della salute mentale, che fornisce un’opportunità per affrontare, come community globale, una delle più grandi sfide personali, mediche ed economiche dei nostri giorni: la crescente necessità di intervenire nel trattamento delle malattie mentali.
«Sebbene le malattie mentali stiano diventando velocemente la patologia più costosa al mondo – sottolinea il direttore del Dipartimento di Salute Mentale, il dottor Francesco Risso – , in particolare perché colpisce molti ragazzi all’inizio della loro vita lavorativa, rimangano sia tragiche che nascoste». «Tragiche – continua il dottor Risso –, perché l’aumento dei tassi di suicidio in tutto il mondo sottolinea la diffusione delle malattie mentali; l’anno scorso, ad esempio, il suicidio è diventato per la prima volta la prima causa di morte tra le adolescenti. Nascoste, perché la stigmatizzazione, sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri, impedisce alle persone di cercare aiuto o ricevere cure adeguate, chiudendo porte che altrimenti potrebbero essere aperte per quelle persone che stanno soffrendo disperatamente. Inoltre, in molti paesi poveri, le cure possono essere inesistenti o totalmente inadeguate».
«La stigmatizzazione – aggiunge il dottor Risso – è la prima, e spesso insormontabile, barriera che impedisce alle persone di ottenere aiuto. A tal proposito, la Giornata mondiale della salute mentale è un giorno particolarmente importante per la riflessione. Si concentra sulla consapevolezza globale su queste malattie devastanti, ricordandoci tutto il loro impatto e la sofferenza che causano ai pazienti e alle loro famiglie. Per troppe persone, la mancanza di una conoscenza diretta sulle malattie mentali combinata ad un supporto inadeguato nell’affrontarle è schiacciante. Tre quarti di coloro che soffrono di malattie mentali sviluppano i sintomi all’età di 24 anni. Eppure, incredibilmente, solo un terzo di coloro che soffrono di malattie mentali in tutto il mondo riceve delle cure. La mancanza di cure, a sua volta, spesso porta alla disabilità e alla mancanza di auto-sufficienza».
La questione ha anche dei risvolti economici. «Il reddito perso da questi individui è uno dei motivi di perché il Fondo economico mondiale stima che nel 2030 l’impatto economico delle malattie mentali sarà superiore alla somma totale di quello del cancro, del diabete e della malattie respiratorie messi insieme – conclude il dottor Risso -. E il costo delle sofferenze umane che queste malattie causano è, ovviamente, incalcolabile.Riguardo alla depressione in particolare, è rilevante che non solo questa malattia è la causa principale della disabilità in tutto il mondo, ma la depressione nelle donne in gravidanza può anche colpire lo sviluppo del feto, con effetti che continuano nell’infanzia. A causa della stigmatizzazione che tiene sia i pazienti che le famiglie lontano da una discussione aperta sulla malattia, forse non deve sorprendere che il 30-40% di coloro che assistono una persona con una malattia mentale, a loro volta soffre di depressione ed ansietà. L’affetto e il supporto che molti si aspettano se un loro caro sviluppa una malattia fisica cronica sono spesso sostituiti dal silenzio, dall’isolamento e dalla paura quando la malattia coinvolge una patologia cerebrale. La stigmatizzazione peggiora tutto ciò che riguarda la malattia mentale».
«L’obiettivo – dice infine Risso – è fare ulteriore pressione contro la vergogna che così ingiustamente circonda la diagnosi di una malattia mentale, mostrando il nostro supporto, parlando apertamente delle malattie mentali e incoraggiando gli altri a fare la stessa cosa. È il solo modo con cui, insieme, indeboliremo le catene della stigmatizzazione, un anello alla volta. Nel Nostro Dipartimento di Salute Mentale nelle Sedi dei Centri di Salute Mentale si è cercato di focalizzare l’attenzione in particolare su questo aspetto fondamentale del miglioramento dell’ accessibilità alle cure».