Una storia di cui non si può perdere memoria. E una profonda preoccupazione.
LETTERA APERTA al Presidente della Regione, alle Forze Politiche, ai Sindaci, alle Associazioni, ai Cittadini
Chiuso il contratto di lavoro dopo più di 17 anni per c.d. raggiunti limiti di età, riesco finalmente a porgere un saluto e un ringraziamento a tutte le autorità e a tutte le persone che ci hanno aiutato nella grande impresa di chiudere dignitosamente il manicomio di San Osvaldo e di rifondare nuovi servizi, nuove pratiche e nuove culture per la tutela e per la promozione della Salute Mentale nel territorio della Ass4 “Medio Friuli”, condividendone finalità, sensibilità, obiettivi, impegno.
Il manicomio di Udine era stato inventato tra il 1902 e il 1904 come risposta orgogliosa e forte del Friuli alle vessazioni e alle violenze subite dai friulani nei manicomi di Venezia ed era stato voluto e concepito per diventare un luogo di cura e di libertà fino ad allora negate e duramente conculcate. La legge nefasta n. 36 del 1904, la miseria scientifica e culturale della psichiatria manicomiale, gli inesorabili meccanismi delle istituzioni totali e della società, i pregiudizi, la segregazione e il sonno della ragione, avevano prodotto invece un sistema mostruoso che riusciva a sequestrare, a inghiottire e distruggere – nelle loro vite e nella loro dignità umana e civile – contemporaneamente anche più di 4.000 donne, uomini e bambini friulani a Udine e nelle succursali di Sottoselva, Ribis, Gemona, San Daniele e Sacile. Moltissimi erano schiavi e schiave che lavoravano senza compenso producendo reddito (coltivazioni, allevamento di animali, panificazione, tessitura, servizi, altro).
Sembra che in 90 anni siano state internate più di 100.000 persone friulane, uomini, donne, bambini (la provincia di Udine, con Pordenone, aveva circa 800.000 abitanti) e che vi siano state attuate pratiche repressive gratuite e terribili (violenze fisiche e psicologiche, contenzioni, sperimentazioni, elettroshock, sterilizzazioni chirurgiche femminili, abusi) come accade sempre in luoghi chiusi nei quali il diritto è sospeso e la dignità conculcata (con l’alibi della malattia in questo caso).
Il sonno e i fantasmi della ragione e le separatezze assolute generano mostri e drammi, ovunque e sempre. Nel maggio 1940 otto internati a Udine originari del Tarvisiano sono stati deportati a Zwiefalten per il piano T4, anche se non tutti sono stati uccisi (invenzione camere a gas per lo sterminio di almeno 140.000 malati).
Il manicomio di Udine ha costituito e riflesso una parte importante della storia del Friuli e, emblematicamente, il primo ricoverato-internato era ammalato di pellagra, malattia della miseria di chi poteva nutrirsi quasi soltanto di mais. Come ovunque in Italia, anche a Udine ha riprodotto e rinforzato culture e visioni manicomiali nelle istituzioni e nel sentire comuni che lo alimentavano (la “Mercedes nera” che andava nei paesi a “prendere” le persone non era leggenda ma realtà).
Negli anni ’60 e in seguito erano stati avviati cambiamenti, non radicali ma comunque bloccati (illuminante un’intervista del prof. Massignan a tale proposito).
La riforma del servizio sanitario regionale del 1994 nel contesto della aziendalizzazione, a partire dal 1995 aveva costituito l’occasione per affrontare e risolvere la persistenza del manicomio di Udine e l’inadeguatezza dei servizi territoriali di salute mentale, nati dopo il terremoto senza l’attraversamento critico delle culture manicomiali.
La conoscenza critica dei fondamenti delle psichiatrie manicomiali e degli effetti sulla persona delle istituzioni totali repressive, le esperienze maturate a Trieste nel lavoro con il prof. Franco Basaglia, il dott. Franco Rotelli e tanti altri, sono state premesse necessarie ma non sufficienti per il superamento del manicomio.
Dopo tanti anni era diventato evidente che, se il superamento del manicomio produceva straordinari miglioramenti sulle condizioni psichiche delle persone internate e restituite alla vita ed era quindi azione possibile, la sua attuazione non poteva più essere un’azione facoltativa dipendente da orientamenti di scuola, di ideologia, di schieramenti, di preferenze, di filantropia e di bontà né poteva essere negoziabile.
Da un lato un progresso basato su consolidati saperi scientifici e dall’altro lato un diritto inscrivibile nell’ambito del diritto alla salute previsto dalla Costituzione. L’accesso ai diritti fondamentali di cittadinanza diventava una ovvia e naturale conseguenza per le persone già internate e per tutte quelle che manifestavano e manifestano una profonda sofferenza psichica, con nuovo termine, per i “soggetti deboli”.
Nella Costituzione era già scritto tutto ma non potevamo vederlo perchè il nostro sguardo era condizionato, istituzionalizzato.
Ai nuovi Servizi di Salute Mentale (SSM) è toccato l’onere e l’onore di tradurre tutto questo in organizzazione, operatività e culture condivise – professionali e delle comunità – assumendo la sfida di promuovere la salute mentale della persona, delle famiglie, delle comunità nel nuovo contesto “oltre il manicomio”.
Sfida tuttora aperta e inconclusa perchè non potrà mai avere una conclusione e una fine per la sua complessità e per la molteplicità delle variabili in campo e soprattutto perchè la vita delle persone, delle comunità, delle società evolve sempre più rapidamente delle organizzazioni e ripropone nuove sfide e nuovi problemi.
Da pochi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto facendolo proprio e ridefinito “che cosa è salute mentale”, che “non c’è salute senza salute mentale”, che inclusione sociale e accesso ai diritti di cittadinanza costituiscono i punti cardinali che orientano i SSM che hanno come mandato – all’interno e insieme ai servizi sanitari – la promozione della salute mentale in tutte le sue forme e in tutti i contesti.
Molto cammino è stato fatto da quel 23 aprile 1995, data di inizio del mio incarico, ma non è retorica né falsa modestia dire che nulla di tutto quello che è stato fatto sarebbe avvenuto se non ci fosse stata una partecipazione via via crescente di una grande moltitudine di soggetti privati, persone singole, gruppi e associazioni, cooperative sociali e onlus, esponenti della cultura, dell’arte, del teatro, della musica e dello spettacolo, i mass media e altri ancora. E i principali soggetti istituzionali, i diversi Governi Regionali e gli uffici, la Provincia, i Sindaci – molti personalmente con impegno diretto e/o con le amministrazioni comunali e i Servizi Sociali, le Scuole, l’Università, gli Uffici Giudiziari, le Forze dell’Ordine e tanti altri.
Tanti giovani, molti confluiti nelle cooperative sociali e molti altri a loro vicini, fino dall’inizio sono entrati con grande energia e generosità, con quello sguardo limpido che guardando il manicomio vedeva che “l’imperatore è in mutande”, con la loro voglia di cambiare il mondo.
La dirigenza e il personale dell’Azienda sanitaria si sono sempre più sentiti coinvolti e generosamente partecipi di un’azione di civiltà.
L’Arcivescovo di Udine, Monsignor Battisti, con la sua grande sensibilità e cultura ha ristabilito un corretto rapporto e ha sostenuto l’esperienza in corso, potendosi coltivare nel tempo nuove forme di intesa, di collaborazione e di incontro, le più recenti con il Centro Balducci e la Caritas.
I media – stampa, radio e tv locali – hanno avuto un ruolo molto importante informando con intelligenza, curiosità, equilibrio, condivisione e partecipazione l’opinione pubblica su temi e problemi non facili, a volte terribili e drammatici, riguardanti gli adolescenti, i giovani, gli uomini e le donne, gli anziani, e più in generale le istituzioni, i servizi, i problemi del nostro tempo e della vita, e hanno creato occasioni di dibattito.
Le comunità locali, grandi e piccole, hanno sempre saputo comprendere, accogliere, esprimere solidarietà e generosità e si sono sempre messe in gioco nella prospettiva della partecipazione e dell’inclusione, con grande consapevolezza che il nostro lavoro era per le comunità e apparteneva al Friuli. Il libro di L.Scopelliti “Manicomio Addio”, storie e interviste di internati friulani, micro-storie individuali nella storia del Friuli, è stato da noi presentato in alcuni “Fogolars” italiani, divenendo occasione e motivo di incontri e riflessioni.
Il Parco di San Osvaldo, già dell’Ospedale Psichiatrico, si è progressivamente aperto alla città fino a diventarne parte integrante e fruibile, sede di dibattitti pubblici, di spettacoli, di incontri, di manifestazioni sportive anche nazionali, di scambio con mercatini, per bambini e per adulti, finalmente restituito alla cittadinanza.
Tuttora in attesa di un piano organico di recupero, sono stati effettuati studi filologici sull’urbanistica e sulla giardinistica e attuate azioni anticipatorie che ne hanno evidenziato la bellezza e il valore, anche come patrimonio storico e paesaggistico. Indimenticabili le prudenti e timorose curiosità di chi nel 1997 cominciava ad affacciarsi su questo luogo che incuteva paura nella prima festa “Dentrofuori”, coraggiosamente sbaragliate dai 450 bambini di un intero circolo didattico, con insegnanti e genitori, che lo hanno gioiosamente invaso per incontrare dapprima la diversità e poi gli antichi mestieri del Friuli, dalle Alpi al mare, rappresentati da anziani artigiani, attuando uno straordinario incontro tra generazioni di tempi e mondi tanto diversi. Frammenti vitali di storia del Friuli.
I nuovi Servizi territoriali si sono sviluppati cercando di affrontare i nodi e le contraddizioni che il manicomio aveva rappresentato, impegno pressochè infinito, insieme a una rete di residenze e con molteplici articolate attività condivise con il privato sociale, che aveva avuto un ruolo fondamentale nel superamento del manicomio aprendosi ai temi dell’impresa sociale.
E’ stato stato attivato il primo Centro di Salute Mentale aperto 24 ore, tutti i giorni dell’anno, il primo in Friuli ma già ampiamente sperimentato a Trieste, impresa non facile per le remore e le resistenze, ma poi il C.S.M. H24 è diventato modello e paradigma dello sviluppo regionale dei Servizi di Salute Mentale di tutta la Regione, costituendo uno scenario e un sistema completamente nuovo e dalle grandi potenzialità. Altri due C.S.M. sono stati avviati, ma paradossalmente nella ASS4 la rete non è stata completata. Tuttavia il sistema dei Servizi di S.M. del D.S.M., nella sua complessità organizzativa e funzionale, suscita interesse anche a livello internazionale.
E’ stata superata la pratica dell’elettroshock e della contenzione in psichiatria.
E’ stato avviato ex novo un articolato servizio per i Disturbi del Comportamento Alimentare, divenuto di Area Vasta.
Si sono realizzate – non senza difficoltà – le condizioni per prefigurare un “Sistema regionale dei SSM”, certamente ancora disomogeneo e in divenire, ma con un profilo organico e tendenzialmente coerente, tale da prefigurare un sistema complesso originale se non unico.
Con il sostegno economico della Provincia, sono state stampate la guida dei SSM in italiano, friulano e sloveno per rendere più agevole l’avvicinamento e l’accesso ai Servizi, e la guida del parco di san Osvaldo.
Essendone maturate le condizioni culturali, organizzative e funzionali, dal 2005 sono state progressivamente individuate e strutturate le fondamentali attività e iniziative volte alla costituzione di un DSM unico dell’Area Vasta Udinese ovvero dell’intera Provincia di Udine, formalizzato in un recentissimo progetto di sperimentazione, possibile ipotetico laboratorio per i futuri assetti del Servizio Sanitario Regionale, avviato nella seconda metà dell’anno in corso e affidato al nuovo direttore del DSM, dott. Asquini, che assume un compito molto gravoso. Al dott. Asquini non posso che augurare buon lavoro sicuro del suo impegno e della sua esperienza.
Dopo la L.R. 6/2006 si sono sviluppate pratiche di integrazione di tra SSM e Servizi Sociali con numerosissime esperienze esemplari in termini di efficacia, di logica e di senso, di ottimizzazione dell’uso delle risorse, strutturando ulteriormente il passaggio dalle attività per prestazioni sui sintomi alla presa in carico, al progetto personalizzato di salute, al budget di cura nella prospettiva dell’inclusione sociale e dell’accesso ai diritti di cittadinanza, oltrepassando pregiudizi e frammentazioni di visioni e di organizzazioni.
Ristrutturata l’Associazione “E’ Vento Nuovo”, sono nate e diventate attive “Diamo Peso al Benessere” e “Arum”, l’associazione dei familiari “LiberaMente” si è rifondata, ma le associazioni che a diverso titolo interagiscono con il DSM sono alcune decine, testimoniando la partecipazione e la generosa vitalità delle comunità alle attività per la salute mentale, anche se molto rimane da fare nella promozione dell’emancipazione e della partecipazione.
Valorizzando le eperienze degli orti sinergici (Udine, Ragogna) viene attivamente condiviso un percorso nell’agricoltura sociale, ricca di opportunità e di significati, aperto anche a nuovi interlocutori in tutta la Regione.
E’ stato avviato un lavoro di integrazione con i Medici di Medicina Generale (MMG), divenuto obiettivo regionale, tanto complesso quanto necessario e promettente.
Con la Clinica Psichiatrica Universitaria sono state avviate forme di collaborazione e integrazione al fine di strutturare un proficuo rapporto tra le particolari realtà e culture dei SSM del FVG e l’insegnamento e la ricerca accademiche.
Purtroppo soltanto puntiformi per l’insufficienza delle risorse, “gocce nel mare”, in collaborazione con insegnanti sensibili e impegnate, si sono realizzati incontri e percorsi con alcune classi di scuole medie superiori e si sono conosciute esperienze più che esemplari di accoglienza e di integrazione scolastica , evidenziando il ruolo fondamentale che la scuola può assumere nella promozione della salute mentale ma anche la talvolta drammatica necessità di una equilibrata attenzione a un mondo che cambia e si proietta nel futuro con le sue contraddizioni e le sue angosce.
Il complesso rapporto tra SSM e Giustizia è progredito nelle culture e nelle pratiche incoraggiato e legittimato dalla efficacia degli interventi ma anche sospinto da più recenti e attente sensibilità alla Costituzione, sia in campo penale che civile.
Molto e poco nello stesso tempo. Le complessità e le dinamiche dei problemi di salute mentale delle persone, delle famiglie, delle comunità e delle istituzioni anticipano molto spesso la capacità dei Servizi di riconoscerle e di assumere il ruolo che loro compete.
La “riduzione della dissociazione tra gli enunciati e le pratiche” rimane una delle linee fondamentali dell’orientamento dei Servizi.
Se è perfino ovvio affermare che è un lavoro che non ha mai fine e che non può mai giungere a compimento, tuttavia è necessario che contenuti e realizzazioni siano sempre chiari, riconosciuti e riconoscibili, divengano patrimonio acquisito sia a livello scientifico che civile e culturale e quindi politico nel senso più alto del termine, mantenendo sempre aperto e acceso il dibattito pubblico sulla salute mentale, su “cosa è salute mentale”.
Patrimonio della collettività e delle comunità, del Friuli e della Regione Friuli Venezia Giulia, che deve essere consapevolmente, orgogliosamente e gelosamente custodito e difeso dall’inerzia e dal logorio del tempo ma anche da pericoli e minacce che possono sempre incombere.
Al di là del completamento della rete dei SSM (CSM H24), che pone comunque il problema della diversità delle risposte ai cittadini di diverse aree distrettuali, e della strutturazione dinamica del DSM di Area Vasta, nel lavoro di promozione della salute mentale alcuni problemi fondamentali e più generali rimangono aperti e richiedono grande attenzione. Solo per ricordarne alcuni: 1) la medicalizzazione/psichiatrizzazione della sofferenza e della vita delle persone e delle comunità, con il rischio dello psicofarmaco come unica e preponderante risposta, a fronte della complessità delle già sperimentate risposte in progetti di salute e di vita, 2) il grande e già evidente peso che la crisi economica-sociale ha assunto sugli equilibri dei singoli e della famiglie, 3) il rischio che la c.d. spending review ricada per lo più sulle persone socialmente più deboli, 4) la delicata e mobile linea di intersezione tra cittadini e servizi, tra diritti e doveri, tra poteri e saperi, 5) le vecchie e le nuove forme di abbandono, 6) la medicina di genere, la salute mentale nella maternità, il rapporto uomo-donna, 6) la questione della separatezza tra Servizi della stessa Azienda Sanitaria con irrigidimento dei criteri diagnostici a danno dei progetti di salute, con inefficacia, perdita di senso e dis-economie, 7) la questione sempre aperta e cruciale del rapporto tra ospedale e territorio, 8) l’armonizzazione delle culture e delle pratiche a livello regionale nella valorizzazione delle diversità, 9) la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), area in cui i SSM del FVG costituiscono un’avanguardia in Italia, e la salute mentale in carcere, 10) lo sviluppo di culture e pratiche orientate alla guarigione (recovery) e all’auto aiuto. E altri ancora.
Ma, tra alcune altre, anche una preoccupazione fortissima su cui in molti chiediamo chiarezza alle forze politiche nell’approssimarsi delle tornate elettorali.
E’ stata aperta – non per caso – una fase nuova e molto critica nell’assetto dei Servizi di Salute Mentale della Regione FVG nati e sviluppati dalle intuizioni del prof. Franco Basaglia in una stagione di democrazia e di grande avanzamento culturale e riconosciuti come riferimento dall’Organizzazione Mondiale della Salute (W.H.O.).
Senza trasparenza, informazione e partecipazione, può diventare reale il rischio che scelte relative alla salute mentale e alla salute più in generale vengano sottratte al controllo e al confronto democratico – storicamente bipartisan su questi temi in FVG – e siano condizionate da interessi e da prospettive di parte e di gruppi di associati per i quali, prima dell”interesse al bene comune, contano più l’appartenenza e la fidelizzazione precostituendo assetti e situazioni di fatto, al di là del merito e del valore scientifico-culturale e sociale, e riportando i Servizi di S.M. del F.V.G. a una distruttiva frammentazione che era già stata faticosamente superata.
Ferma restando la necessità di lungimiranti innovazioni, l’attenzione su questo passaggio “storico” dovrebbe rimanere molto elevata.
I cittadini del FVG e tutti coloro che per decenni si sono adoperati per costruire servizi sanitari sostenibili e prossimi ai bisogni delle persone e delle comunità, non meritano la perdita di un patrimonio così unico e, ancora di più, della loro sovranità.
Dott. Mario Novello
Trieste, 14 febbraio 2013