Inviata al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti da Anna Maria De Angelis, Presidente A.RE.SA.M. Onlus e pubblicata sul sito dell’associazione.
Gentile Presidente Zingaretti,
chi le scrive è la madre di una persona che soffre di disturbo mentale.
Qualche sera fa, Presidente, con alcune mamme sono andata a farmi la consueta pizza primaverile. Eravamo un gruppetto affiatato e tutte chiacchieravamo e confabulavamo davanti ad arrosticini misti, pizza rustica, prosciutto tagliato a mano e pizza fumante. Dopo qualche birretta, poche, l’età complessiva non ne permetteva di più, calò come sempre un malinconico silenzio di parole soffuse e di racconti. Alcune, sembrava che sentissero quasi di avere rubato qualcosa per una bella risata fatta con il cuore. Eravamo tutte madri di uomini e donne con disagio psichico.
Se ne contano circa 30.000 e più, seguiti dalle strutture pubbliche a Roma. Nel Lazio, Presidente, la maglia si allarga di molto, per non parlare di coloro che sono seguiti nel privato o ancora oggi nascosti a se stessi e agli altri.
Perché, sa Presidente, ancora oggi “ i matti” non li vuole nessuno. E poi ci meravigliamo se non sono collaborativi. Ma chi di sua spontanea volontà ammetterebbe di avere un disturbo mentale, varcherebbe la soglia del DSM, per poi essere additato come violento e pericoloso? Perché così è nell’immaginario collettivo e in tanta stampa. Chi lo fa, sa che porterà un peso che gli curverà le spalle per la vergogna e lo stigma.
Noi madri lo sappiamo, per questo ci prende la malinconia dopo il divertimento, ma sappiamo altrettanto bene che quel benessere provato ci fa sentire come tutti i genitori, fuori da quel cono d’ombra che ci segue e con una risorsa in più.
Le UOC e le UOS e gli Atti Aziendali erano lontani anni luce. Con la malinconia noi famigliari parliamo di quello che non va, che la cura, la riabilitazione, l’inclusione sociale cominciano a essere sempre più un faro nella nebbia, e questo è già da tanto, e che i padiglioni del Santa Maria della Pietà si sono fatti piccoli , sono diventati stanze bianche nelle cliniche e costano svariati e svariati milioni a noi tutti che paghiamo le tasse. E che dire delle Residenze terapeutiche riabilitative. Mesi , mesi e anni lontani dagli affetti.
Che cosa è che ci dicevamo e sognavamo noi mamme quella sera? Che la cura vada bene, che sia quella giusta, che non passino mesi senza un appuntamento e che se chi soffre di disturbo mentale e non ce la fa a rivolgersi al servizio, che sia il servizio che alza i tacchi e vada a casa per provare a instaurare un rapporto. Non è facile, ma se non ci sono gli operatori, se gli assistenti sociali sono praticamente scomparsi, allora diventa decisamente impossibile.
Ci dicevamo che non ci debba essere più l’emergenza e che i TSO devono diminuire con Centri di Salute Mentale efficienti , accoglienti, empatici, e che abbiano come priorità la cura e l’inclusione sociale che viaggiano insieme. Si può guarire, si può migliorare, si può lavorare ma la cura deve essere a tutto tondo e ci vogliono i soldi, per la cura, per la socializzazione, per le relazioni amicali, per le vacanze , per il lavoro e la casa.
Sandro, il figlio di Maria, potrebbe riprendere lo sfalcio dell’erba nella cooperativa e Mario vedrebbe più spesso la sua psichiatra e con l’equipe ipotizzare un percorso di formazione lavorativa e sua madre Lella sarebbe più serena.
Che dire, Peppe potrebbe avere un sussidio, vivrebbe con altri e frequenterebbe il Centro Diurno e Carla non sognerebbe il soggiorno estivo da fare in estate, ma ci andrebbe e in estate, e Piera saprebbe che una volta uscita dalla Comunità terapeutica il suo percorso è stato già individuato, anche secondo le sue aspettative e risorse.
Le loro mamme certamente sarebbero meno malinconiche e affrante.
Presidente, ci vogliono i soldi per i servizi, ci vogliono i soldi per l’inclusione sociale, per l’autonomia, per la stima di sé e per il tempo libero e per non essere soli.