Il faticoso cambiamento che si avviò con le prime timide esperienze di comunità terapeutica e di “liberazione” degli internati nell’ospedale psichiatrico di Gorizia negli ormai lontani anni sessanta, ha arricchito il nostro Paese di culture, di esperienze e di pratiche della deistituzionalizzazione sicuramente innovative; si è diffuso un esteso interesse che, nel corso del tempo, ha attraversato ambiti istituzionali molto ampi: dalla medicina alla scuola, alle carceri, ai ricoveri per gli anziani, agli istituti per i minori e per le persone con disabilità e, più in generale, all’intero ambito delle politiche di welfare.
É ancora lunga l’onda dei percorsi di inclusione, di allargamento della democrazia, dei servizi e dei diritti, avviata dalla 180/1978. La legge ha messo fine allo stato degradato e ghettizzante per le persone con problemi di salute mentale che sempre più entrano in gioco come protagonisti nel rivendicare i loro diritti di cittadinanza piena, intervenendo con consapevolezza nel dibattito sulla malattia, sulla guarigione, sui percorsi di ripresa, sulla qualità delle risposte dei servizi.
Decine di migliaia di operatori di ogni profilo professionale s’impegnano quotidianamente con generosità e partecipazione.
I “servizi per le persone” fondano la loro buona pratica sulla centralità degli individui, sulla motivazione, sul senso di appartenenza. Non sfugga la sintonia di queste pratiche con lo spirito e il testo dell’articolo 2 della Costituzione italiana che – occorre ancora una volta ribadirlo – pone la persona al centro dell’ordito della Carta fondamentale.
Spesso i dispositivi organizzativi e le inerzie amministrative rendono problematica la crescita degli operatori, dei giovani in particolare, preziosissimi e unici per un efficace affiancamento nel non facile lavoro terapeutico e riabilitativo.
Da queste consapevolezze discende l’urgenza della proposta di legge per la promozione e la garanzia della salute mentale nel nostro ordinamento (vedi testo).
(continua)