Il disegno di legge 2850 intende conferire ulteriore efficacia ai principi della “legge Basaglia”, rilanciando l’attualità delle linee di fondo e ulteriormente valorizzandole nell’attuale contesto costituzionale, normativo e sociale. Non un’iniziativa legislativa di revisione. Nessuna delle disposizioni introdotte con questo disegno di legge modifica o integra il testo della l. 180/1978, fatta eccezione per la previsione di un’ulteriore garanzia sostanziale e processuale contro la disumana pratica della contenzione meccanica nei servizi psichiatrici.
L’obiettivo che si propone di perseguire è quello di rilanciare l’applicazione della l. 180/1978, rafforzarne i contenuti di assistenza effettiva e universale sul territorio nazionale, confermare la portata di definizioni e principi che non meritano di mutare ma, al contrario, di essere sviluppati ed estesi. Viene pertanto garantita l’effettività del diritto alla salute, il quale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità non è – conviene ricordarlo – “assenza di malattia”, ma si definisce come stato “psicofisico di benessere”.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, cui questa proposta di legge fa esplicito e reiterato richiamo, all’articolo 1 dichiara “che lo scopo della convenzione è promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità”.
In questo quadro le azioni di difesa dei diritti delle persone con disabilità, e qui segnatamente di quanti vivono l’esperienza del disturbo mentale, assumono un valore assoluto e segnano il cammino di ogni uomo e di ogni donna verso la totale eguaglianza.
Il diritto alla cura è coniugato nel contesto universalistico degli altri diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, recepita dall’Italia nel 2009. Tale importante documento ha confermato le anticipazioni della legge di riforma italiana del 1978, ampliandone la portata e declinandole a livello del singolo soggetto, cui vengono riconosciuti libertà fondamentali e la titolarità di ogni decisione sulla propria vita. Nel contrastare ogni forma di discriminazione legata a disabilità o a diagnosi, essa rimanda a un concetto di welfare d’inclusione e non solo di protezione. Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha assunto a documento-base per il piano d’azione 2013-2020.
La conseguenza autentica della scelta che ha compiuto il nostro Paese nel sottoscrivere e fare proprio il dettato della Convenzione, non può non mettere in campo azioni attente di vigilanza e promozione, nella concretezza della vita e del governo quotidiano, di dispositivi organizzativi, campagne culturali, risorse umane qualificate per affermare e rendere esigibili i diritti delle persone con disabilità, per sostenere le famiglie, per rendere “visibili” i gruppi sociali a maggior rischio di discriminazione, esclusione e stigmatizzazione.