di Luigi Benevelli, in vista di Roma 20-21 marzo 2013
Ritengo sia necessario e utile apportare al nostro documento programmatico modifiche e integrazioni che facilitino l’allargamento degli spazi, diventati insopportabilmente asfittici, per una interlocuzione utile con la politica, le istituzioni, il mondo dei saperi e delle professioni, i movimenti sociali. La ragione sta nella profonda e devastante crisi politica, economica, sociale, morale e civile che stiamo vivendo (le vicende del Dsm triestino ne sono triste, eloquente esempio) e nella constatazione che non è pensabile che si risolverà rapidamente e che nessuno sa come se ne uscirà in Italia e in Europa.
- 1. Per mettere a fuoco il senso e le conseguenze di tutto questo nel nostro specifico, propongo di scrivere in premessa l’affermazione del valore di un servizio pubblico di salute mentale ad accesso universale. In Italia il destino dei servizi di salute mentale è strettamente collegato a quello dell’intero servizio sanitario nazionale. Tutti i sistemi di welfare universalistici europei sono sotto attacco, sempre più de- finanziati su pressione non solo di grandi interessi speculativi, ma oggi soprattutto delle politiche di controllo/riduzione della spesa pubblica. Da qui derivano i rischi di logoramento, sino alla compromissione dell’efficienza e della qualità dei servizi sanitari, delle condizioni di lavoro dei professionisti che vi operano. A tale ultimo riguardo, ritengo debba essere fatta una riflessione sui venti anni del modello aziendalistico della sanità pubblica regionale italiana caratterizzato nella stragrande maggioranza dei casi da una organizzazione rigidamente gerarchizzata (dall’assessore regionale, ai manager, ai primari) fondata su vincoli quasi personali di “fedeltà”, nella quale le rappresentanze delle popolazioni (sindaci) non hanno voce e nelle quali non vi è libertà di parola, spesso nemmeno di pensiero.
- 2. La sottolineatura della universalità degli accessi comporta che i Dsm italiani devono attrezzarsi a rispondere alle domande di salute delle persone private della libertà negli Istituti di prevenzione e pena e nei CIE e di quelle delle persone immigrate da paesi extra-comunitari che portano esigenze di senso, modelli esplicativi dello star male diversi da quelli codificati e in uso in Europa e Nord America. La recente chiusura del Centro Frantz Fanon di Torino diretto da Roberto Beneduce costituisce un segnale molto preoccupante delle chiusure della destra politica riguardo il diritto alla salute dei migranti.
- 3. Salute mentale e psichiatria non sono sinonimi. A differenza delle altre branche della biomedicina che sono progredite nel quadro dello sviluppo generale delle scienze, la psichiatria è nata da subito in Europa con un solido impianto organizzativo a gestire le istituzioni a lei assegnate in dote e solo dopo ha scelto il modello concettuale e operativo scientifico-naturalistico della medicina (Giacanelli, 1974). Nello scenario psichiatrico più tradizionale si curano le malattie (mentali) dentro i riti del rapporto medico-paziente. Al centro del lavoro della salute mentale si pongono invece quello che ciascuno fa per sé e con gli altri, quello che fanno le istituzioni e le agenzie sociali per dare senso agli eventi privati e collettivi. Per questo nel lavoro per la salute mentale la persona con diagnosi psichiatrica ha diritto al consenso informato, è riconosciuta protagonista del suo destino nel percorso di vita, insieme alle persone e ai contesti con cui è in relazione e il disturbo mentale non esonera la persona che ne è affetta dai doveri civici, in primis quello di aiutare gli altri e non procurare loro danni, anche se il rispetto di questi obblighi può risultare difficile (N. Sartorius, 1991). Il dovere di chi sta loro vicino è quello di riconoscere e rispettare la loro esistenza e di fare quanto necessario per rispondere ai loro bisogni, proteggere i diritti, a partire dal consenso informato, compensare alle disabilità temporanee o permanenti ad adempiere ai doveri civici. Nel lavoro pubblico per la salute mentale i servizi professionali sono di sostegno, accompagnamento delle persone utenti. Nelle culture professionali negli anni recenti, piuttosto che l’attenzione ai mondi vitali, alle relazioni sociali delle persone utenti, si sono sempre più affermati, spesso in modo acritico, i riduzionismi dell’approccio medico-biologico, clinico, la preoccupazione a come classificare le “parti malate” e in quali spazi istituzionali collocare le stesse. Lo ha fotografato la Relazione finale sull’attività della Commissione parlamentare di inchiesta presieduta dal sen. Marino, approvata il 30 gennaio scorso: i servizi italiani di salute mentale sono diventati sempre più servizi di psichiatria.
- 4. Fare a meno degli opg comporta la revisione del Codice penale in vigore e della stessa Costituzione (la misura di sicurezza è costituzionalizzata). L’azione condotta da Stopopg è stata importante perché ha fatto sentire il punto di vista del movimento per la salute mentale ed ha impedito che la gestione degli attuali opg fosse gestita dai soli psichiatri forensi e dall’amministrazione penitenziaria, mentre gli psichiatri della Sip, quelli che oggi si lamentano, sono stati alla finestra sperando che non accadesse nulla. Ma, se non si modificano le norme in tema di imputabilità e non si afferma il diritto al processo anche per gli autori di reato con diagnosi psichiatrica, il mostro dell’opg continuerà ad essere alimentato e sopravviverà Per queste ragioni il Forum salute mentale dentro Stopopg dovrà continuare a sollecitare l’attenzione e la competenza degli studiosi del diritto, dai costituzionalisti ai penalisti, degli avvocati delle Camere Penali, nonché dell’amministrazione penitenziaria, degli psichiatri, dei mezzi di informazione perché la riforma dei Codici possa concretizzarsi. L’opg è un nodo molto complesso e molto antico e per scioglierlo occorrono un grande, generoso investimento di intelligenze, saperi, passione politica e civile.
- 5. I nostri Dsm, se vogliono essere tali, devono integrare oltre ai servizi per gli adulti i Sert, i servizi per i disabili, la salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza, con un radicamento a livello distrettuale. Il passaggio che abbiamo davanti potrebbe essere aiutato dalla preparazione di un nuovo piano salute mentale che nasca da una seria discussione fra utenti, famiglie, operatori professionali, mezzi di informazione, società scientifiche, Comuni, Regioni, Ministero della Salute: non un libro dei sogni, ma un percorso che sia adeguatamente finanziato e che preveda l’istituzione di una Autorità nazionale di garanzia che monitori le situazioni e abbia potere di intervenire sulle amministrazioni inadempienti.