1) Il quadro ideologico/normativo nazionale e regionale non è favorevole all’investimento di risorse in sistemi di cura territoriali e miranti all’inclusione sociale. Il clima è segnato dalla recessione e da una prospettiva di mancata crescita economica, dal diffondersi di un’ideologia sicuritaria tra ampie fasce di popolazione in via di impoverimento, da un’ideologia economicistica che regola le scelte dei programmatori e dalla conseguente drammatica riduzione della disponibilità di servizi sanitari e sociali. Anche l’esito dei lavori della Commissione Parlamentare sul SSN non sembra favorevole al rilancio di una salute mentale territoriale. La legge 9/2012, che fissa la chiusura definitiva entro il marzo 2013 dei sei OPG italiani, prevede la creazione di nuove strutture psichiatriche per i “socialmente pericolosi”, che continueranno ad essere inviati dai giudici ai servizi di salute mentale, perché il codice penale e la “non imputabilità” non sono stati toccati. Non assicura, invece, la riconversione delle risorse degli OPG e non ne prevede di nuove a vantaggio dei DSM: dunque, non incentivando l’attivazione di quei percorsi socio-sanitari individualizzati e cogestiti con il “sociale” che la letteratura scientifica annovera tra i modelli di cura da privilegiare, in quanto in grado di agire sui determinanti sociali della salute.
2) In Campania si assiste ormai a una lotta tra i settori sanitario e sociale per l’attribuzione di risorse e oneri assistenziali. Sono in controtendenza solo alcuni articoli della finanziaria regionale 2012, che salvaguardano il senso e la continuità delle esperienze di integrazione socio-sanitarie svoltesi nel territorio, così come le linee guida per la loro regolamentazione ed estensione all’intero territorio regionale. Una normativa specifica per la salute mentale (piano sanitario regionale, recenti leggi e decreti sulla residenzialità psichiatrica) punta su una ri-sanitarizzazione della rete dei servizi, formalmente in omaggio a criteri di efficienza e appropriatezza, in sostanza azzerando il carattere avanzato delle precedenti normative (come l’ultimo Progetto Obiettivo Regionale, relativo al triennio 2002-2004) e alcune esperienze quali quella condotta a partire da quel periodo presso l’area della ex ASL CE/2, che era basata:
– sul forte potenziamento delle funzioni territoriali quali l’accoglienza h24 e la domiciliarizzazione dell’assistenza, con una conseguente notevole riduzione del ricorso all’ospedalizzazione;
– sulla riqualificazione della spesa, grazie all’attivazione di pratiche di integrazione socio-sanitaria basate sulla riconversione delle rette nel finanziamento di percorsi individualizzati e co-finanziati dal settore sociale;
– sull’implementazione della cogestione, ossia del rapporto di stretta collaborazione con un privato sociale potenzialmente in grado di innescare processi di cura ed emancipazione personalizzati, evitando il ricorso all’internamento in strutture, sviluppando nel contempo attività di impresa e incrementando il settore dell’economia sociale;
– su una forte attenzione alla formazione del personale.
3) Il Dipartimento di Salute Mentale dell’unica ASL casertana, competente sull’intera provincia – un territorio sociologicamente molto composito e con circa 920.000 abitanti, è stato oggetto negli ultimi anni di pesanti decurtazioni di risorse:
– mancato turn-over del personale, a causa dei piani di rientro regionali: in 7 anni il personale dei dipartimenti delle due ex aziende sanitarie casertane si è dimezzato. Non è stato possibile mantenere in tutte le UUOOSM dove era attiva la funzione dell’accoglienza h/24, elemento essenziale – se accompagnato da una presenza diurna attiva e competente sul territorio – di un efficiente sistema di cure. Laddove presente, infatti, l’h/24 ha consentito di affrontare i casi più difficili evitando gli abbandoni e riducendo significativamente il ricorso – tanto costoso, quanto spesso inefficace – al trattamento sanitario obbligatorio e alla clinica privata;
– mancato rinnovo di attrezzature quali le automobili, essenziali per garantire la copertura capillare del territorio, specie nei contesti dove le comunicazioni sono più difficili. Molte UOSM sono state costrette anche per questo – oltre che per la scarsezza di personale – a ridurre o azzerare le visite domiciliari, con gravi conseguenze per numerosi utenti;
– le prestigiose sedi dei CSM di Aversa e Capua sono a rischio, a causa di una politica aziendale mirante a ridurre il costo per gli affitti delle strutture sanitarie prescindendo da ogni valutazione di merito e opportunità. Centri aperti alla cittadinanza, luoghi di attraversamento pubblico ubicati nei centri storici di antiche cittadine, spazi di scambio e contaminazione per ciò stesso terapeutici, contesti non istituzionali e anti-stigmatizzanti, potrebbero essere chiusi e al loro posto aprirsi squallidi spazi periferici e meramente ambulatoriali: emblema delle negazione di ogni politica di salute mentale pubblica.
4) A ciò va aggiunto che, a quasi due anni dall’insediamento della nuova direzione del DSM:
– non è stato approvato il regolamento,né sono stati eletti organi del dipartimento quali il comitato e l’assemblea;
– il lavoro di una commissione interna, con il compito – formalmente assegnato dalla stessa direzione del DSM, all’indomani dell’accorpamento dei DSM delle due ex ASL casertane – di prospettare un nuovo assetto organizzativo della rete di servizi, non è stato preso in considerazione dalla direzione. Con la conseguenza che l’Atto Aziendale – atto ufficiale della ASL che definisce l’articolazione delle strutture sanitarie – è stato redatto e sarà presto emanato senza alcuna indicazione da parte degli operatori della salute mentale;
– è state approvata una delibera che definisce i posti/letto residenzialidel territorio e prevede l’apertura di due nuove SRP (strutture residenziali psichiatriche) di 20 p/l ciascuna senza alcuna discussione con gli operatori e le associazioni del DSM.Solo ex post, da parte della Direzione si è fatto riferimentoa spazi “dove sistemare pazienti provenienti dall’OPG, per farli decantare [sic!] eventualmente in vista di una nuova collocazione” e dove poter trasferire anche i pazienti over 65 provenienti dall’ex OP (molti dei quali oggi vivono decentemente nei gruppi di convivenza). In vista dell’apertura delle due SRP (una ubicata in una isolata frazione dell’alto casertano, l’altra nell’area perimetrale dell’Ospedale Civile di Piedimonte Matese), una nota della direzione del DSM ha chiesto altresì ai responsabili delle UOSM di “stilare una lista di pazienti compatibili con tali strutture”: riproponendo sfacciatamente logiche di deportazione e internamento, negando ogni percorso di cura e assistenza basato sull’analisi del bisogno individuale e sulla necessità dell’inclusione sociale. Assoluto è il misconoscimento di possibilità di cura alternative, ancora parzialmente possibili presso l’area della ex ASL CE/2: dove è consolidata la metodologia dei PTRI con BdS (progetti terapeutico riabilitativi individualizzati con budget di salute), è presente una rete di gruppi di convivenza sparsi sul territorio, alcuni CSM sono ancora aperti sulle h/24 e c’è una cultura operativa – ancora viva presso alcuni gruppi di lavoro – improntata a una vera presa in carico e all’evitamento di ogni forma di istituzionalizzazione.
– il piano per l’utilizzo dei circa 2.000.000 di euro del fondo CIPE 2006, il cui uso è vincolato al consolidamento della rete dei servizi di salute mentale, non è mai stato oggetto di discussione in fase di programmazione, nemmeno quando era all’ordine del giorno nelle rare e confuse riunioni – faticosamente ottenuteda alcuni operatori – tra la direzione del DSM e i responsabili delle UOSM. Il fondo, il cui utilizzo è stato deliberato nel maggio del 2012 e che prevede voci di spesa importanti – come quelle per l’acquisto di autovetture, l’attivazione di nuovi percorsi di formazione/lavoro, l’acquisto di materiali e attrezzature riabilitative – non è stato ancora sfruttato se non per la parte (circa il 70%) che finanzia la ricontrattualizzazione del personale co.co.pro. del DSM.
– manca ogni progettualità relativa all’alienazione della rimanente parte del patrimonio edilizio dell’ex OP “S. Maria Maddalena” di Aversa, da cui potrebbero scaturire risorse per il DSM;
– la disattenzione ai temi della formazione è quasi completa, al di là di sporadiche iniziative con carattere celebrativo o finalità pubblicitarie.
Concludendo. Lungi dall’essere problema meramente tecnico da delegare ad esperti, la messa in atto di una politica sociosanitaria locale per la salute mentale – la definizione di risorse, metodologie, assetti organizzativi, obiettivi – deve essere il portato di un’elaborazione partecipata: in un’interfaccia incessante tra i livelli istituzionali e le soggettività – nelle forme associative che le rappresentano – coinvolte con le problematiche della salute mentale.
Alessio Maione