Cesare Lombroso si può considerare uno dei “padri” della psicologia e dell’antropologia criminale moderne, per quanto la sua figura la si possa considerare – nella storia degli esordi della freniatria “scientifica” – alquanto controversa.
Imbevuto di concezioni positivistiche, fu un acceso sostenitore della teoria secondo cui l’attitudine criminale – come anche la follia – fosse forgiata dalla costituzione o, come si diceva allora, dalla “complessione” e che, quindi, nelle manifestazioni più estreme di pazzia, delinquenzialità, ma anche del genio e del temperamento artistico, e delle attigue – per lui – sregolatezza e anarchia, vi fosse una sorta di determinismo che prescindeva dalle circostanze, dall’apprendimento e dalle pressioni ambientali.
Fu un figlio del suo tempo, proprio perchè fu fortemente influenzato dalle correnti di pensiero del positivismo e dall’idea che anche l’Uomo potesse essere descritto per mezzo di misurazioni e utilizzando metodi esclusivamente oggettivi che nel suo caso furono principalmenti quelli dell’antropometria.
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Il suo apporto originale – che, in definitiva, tramontò con la sua morte, seguita da alcuni deboli epigoni – fu quello di stabilire una serie di canoni per stabilire – predittivamente e quasi con matematica certezza – se un individuo potesse avere in sé delle tendenze criminali, basandosi principalmente su rilievi metrici delle ossa e segnatamente del cranio, con l’utilizzazione di specifici punti di repere, oltre che di altri elementi quali la conformazione del cranio stesso e di altri segmenti scheletrici.
Per lui, parametri di riferimento furono le misurazioni ricavate dai crani e delle ossa di delinquenti acclarati, tra i quali uno dei primi ad attrarre il suo interesse fu il brigante calabrese Vilella (ucciso nel 1870) sul cui cadavere egli fece una serie di minuziosi rilievi.
Ovviamente, lo stesso Lombroso non mancò di mettersi nel mucchio e si considerò papabile per analoghe misurazioni, tanto che donò alla collezione di reperti cui egli stesso aveva dato vita il suo corpo, compreso di visceri e cranio.
Nel suo approccio, i conti non tornarono quando egli cercò di applicare queste sue teorie a personaggi geniali ed eccentrici, per così dire “fuori norma”. Per costoro, infatti, egli si trovo nella necessità di stirare all’estremo la sua teoria, considerandoli pure essi in definitiva dei soggetti tarati che prima o poi avrebbero mostrato la loro vera natura.
Uno degli aspetti più pericolosi della sua teoria era, infatti quello secondo cui, essendo taluni segni indicativi di una “tara”, se un’individuo apparentemente normale li possedeva, era destinato – prima o poi a manifestare il comportamento di cui erano indicatori ( o, per così dire, elementi di repere): la predittività, enunciata in modo forte, quasi fosse un dogma, che in un individuo così fatto si sarebbero manifestati prima o poi fenomeni di degenerazione e di caduta verso ciò da cui la cultura e l’educazione potevano soltanto riparare temporaneamente.
E’ ovvio che queste teorie furono uno dei cavalli di battaglie delle concezioni – pseudo-scientifiche ed infondate – sulla razza e sui motivi per cui alcune “razze” più di altre tendessero alla degenerazione.
Un episodio poco noto della sua vita di studioso riguarda l’incontro con Lev Tolstoi che egli si recò personalmente a visitare nella sua tenuta. L’incontro tra i due non fu felice, anche perchè Lombroso guardava Tolstoj in tralice, tentando di cogliere nel grande scrittore gli aspetti patognomonici della genialità che, peraltro, secondo le sue teorie, non erano delle qualità intrinseche, ma solo un preludio alla inevitabile degenazione e alla sregolatezza. Di questo episodio ci narra Pietro Mazzarello nel suo “Il genio e l’alienista. La strana visita di Lombroso a Tolstoj” (Bollati Boringhieri, 2005).
Gran parte delle teorie di Lombroso tramontarono con lui, ma – in definitiva – hanno mantenuto nell’immaginario collettivo uno strisciante potere nel generare pregiudizi, alimentando peraltro nel campo specialistico metodi di intervento in alcune psicopatologie individuali e sociali.
Peraltro, tracce della sua impostazione teorica (fortemente ideologica) sono rimasti nella “grafologia” ma anche in alcuni aspetti della psichiatria biologica alla quale oggi, sia pure con l’opportuno mascheramento della scientificità dell’approcio neuro-psicofarmacologico, c’è un gran ritorno.
Nel 2009 ricorre il centenario della morte di Cesare Lombroso e proprio il 27 novembre, dopo anni di restauro, riaprirà al pubblico, a Torino, il Museo di scienze criminali a lui dedicato, ricco di reperti unici nel loro genere.
Questa la notizia tratta da Torinoscienza.it
A cento anni dalla morte dello scienziato e criminologo Cesare Lombroso, il 27 novembre 2009, viene riaperto, completamente rinnovato il Museo, a lui intitolato, contenente una quanto mai varia collezione di reperti di antropologia criminale.
Il coordinatore del progetto di Museo dell’Uomo, del quale il Museo Lombroso fa parte, professor Giacomo Giacobini, ci tiene a sottolineare che non si tratta di un museo dell’orrore, ma che la ricchissima collezione di crani, preparati anatomici, fotografie, corpi di reato, disegni e oggetti prodotti da carcerati, qui presentata vuole accompagnare i visitatori in un percorso storico-scientifico, in grado di fornire ai visitatori gli strumenti per comprendere il contesto nel quale il Lombroso formulò le sue teorie sull’atavismo criminale, ovvero sulla presenza di caratteristiche ancestrali e ricorrenti nei soggetti che mostrano devianze comportamentali.
Egli sviluppò infatti le sue teorie nel periodo dominato dal positivismo scientifico, movimento che si diffuse in Europa nell’Ottocento, e che influenzò sia il pensiero filosofico che quello scientifico, con un modello del sapere basato su fatti piuttosto che su intuizioni irrazionali. Seguendo il principio secondo il quale l’applicazione del metodo rigoroso delle scienze deve essere allargato anche all’analisi del comportamento umano, Lombroso dedicò gran parte della sua vita allo studio dei criminali e dei pazzi.
Genio o ciarlatano? Illuminato o razzista? Le sue teorie sono state confutate, spesso con veemenza, e sono in gran parte morte con lui. Ciò non toglie che Lombroso possa comunque considerarsi come il primo antropologo-criminale della storia, egli arrivò, infatti, a interessarsi anche al modo di esprimersi dei carcerati, raccogliendo alcuni reperti decorati con scritte e disegni dei detenuti.
Potremmo dunque definirlo un precursore della psicologia criminale.
Fin dal 1859, anno in cui inizia a lavorare come medico militare nell’esercito piemontese, Cesare Lombroso si dedica alla raccolta di crani, scheletri, cervelli e oggetti di vario tipo, dando vita al primo nucleo del museo privato inizialmente conservato nella sua abitazione torinese. La prima esposizione pubblica dei reperti raccolti nel corso della sua instancabile attività Lombroso la realizza nel 1884, nell’ambito dell’Esposizione Nazionale di Torino.
La successiva esposizione della raccolta lombrosiana al Congresso Penitenziario Internazionale di Roma nel 1885 risultò più ricca della precedente, anche per il notevole apporto di reperti fatti giungere da altri studiosi conquistati dalle teorie lombrosiane e che rispondevano entusiasti all’invito «a spedire per quell’epoca in Roma crani, cervelli, fotografie di criminali, di pazzi morali, di epilettici e lavori dei medesimi; carte grafiche e geografiche dell’andamento dei delitti in Europa.
L’esposizione venne riproposta, arricchita, nel 1889 in occasione del Secondo Congresso Internazionale di Antropologia criminale di Parigi. Il Museo Psichiatrico e Criminologico venne ufficialmente inaugurato a Torino nel 1892 con la dignità di strumento di ricerca scientifica.
Nel 1909, con la morte di Cesare Lombroso, il museo accolse alcuni resti della sua salma: lo scheletro, il volto, il cervello e le visceri.
La morte dell’antropologo, però, segnerà anche una fase di declino del museo, fino a che, superato il periodo della guerra, nel 1948 il museo venne trasferito nei locali appositamente costruiti per l’Istituto di Medicina Legale.
Tra i pezzi da non perdere nel moderno riallestimento del Museo segnaliamo il cranio del brigante calabrese Giuseppe Vilella, celebre perché proprio in questo cranio, nel 1870, lo studioso riconobbe alcune forme somatiche ancestrali che lo portarono a giungere alla conclusione che esiste la tipologia dell'”uomo delinquente”, e che la si può riconoscere attraverso specifiche caratteristiche somatiche. Troviamo anche la forca di Torino, in funzione sino al 1865, data dell’ultima impiccagione, e i paramenti di Cervo Bianco, celebre impostore che incantò l’Europa raccontando d’essere una gran capo indiano.
Un museo, insomma, pieno di oggetti e di storia, che garantisce ai visitatori un arricchimento culturale con un pizzico di horror.
Il Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso sarà aperto al pubblico dal 27 novembre 2009 a Torino, in via Pietro Giuria 15, www.museounito.it
Articolo a cura di Redazione Torinoscienza – Barbara Girardi
tratto da: http://www.italiainformazioni.com 27/11/2009