La situazione dei servizi per la salute mentale in Italia, il nuovo manuale internazionale sui disturbi psichiatrici, la difesa delle legge 180. Intervista al neopresidente dell’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale Girolamo Digilio
ROMA – E’ in uscita il 20 maggio la quinta edizione del Dsm, il nuovo manuale americano delle malattie mentali. Una delle novità è la catalogazione di oltre 400 disturbi, che tante polemiche ha trascinato con sé. Troppi, e troppo comuni secondo una corrente di scienziati, alcuni dei quali hanno preso le distanze dal testo: non mancano gli psichiatri che, dopo aver collaborato alla stesura di precedenti edizioni del manuale, ora si sono dissociati. Dall’elaborazione del lutto agli accessi di collera, pare che molte emozioni e condizioni della vita “normale” vengano trasformate in patologie. Il dubbio di alcuni è che si voglia favorire l’industria farmaceutica. Anche di questo parliamo con il neopresidente dell’Unasam, Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, federazione nata vent’anni fa e che ha una rete di organizzazioni diffusa su tutto il territorio italiano. Girolamo Digilio, medico, è stato nominato di recente alla presidenza dell’Unasam. “Riguardo al nuovo manuale, sono d’accordo con chi critica – dice Digilio -. Si tratta di una gigantesca etichettatura che favorisce la medicalizzazione, l’uso e l’abuso degli psicofarmaci, mentre sappiamo che per la sofferenza mentale non bastano i farmaci, ma è decisivo inserire le persone in percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Lo psicofarmaco può consentire di superare alcuni momenti critici e di stabilire migliori condizioni di incomunicabilità”.
Dottor Digilio, qual è la situazione della salute mentale oggi in Italia?
Dopo la legge 180 del 1978, con la costruzione dei Dipartimenti di salute mentale c’è stato un grande progresso: si è fatta molta strada nel prendere in carico persone sui territori senza internarle, puntando sulla riabilitazione e cercando di inserirle nel contesto sociale. Laddove si sono messe in atto pratiche di inserimento sociale e lavorativo, i risultati sono stati eccellenti. Purtroppo, però, negli ultimi dieci anni, a causa dei tagli indiscriminati, il personale è stato ridotto di circa il 50% e i servizi sul territorio non ce la fanno più. Predomina l’offerta di posti letto, di una residenzialità di tipo neomanicomiale, gestita in gran parte da strutture private.
Con quali conseguenze?
La mancanza di presa in carico, di cura cioè adeguata alla persona nella sua globalità, porta alla disabilitazione di queste persone: in questo modo cronicizzano e aumenta il ricorso al Trattamento sanitario obbligatorio, mentre la maggior parte di esse, se ben seguite e inserite in percorsi di inclusione sociale e lavorativa, possono entrare con soddisfazione nel processo produttivo. Questo perché fa parte della nostra esperienza, non è teoria. Inoltre, si realizza un risparmio per la collettività che non deve sostenere gli elevati costi delle degenze in ospedali e strutture di vario tipo.
Da dove cominciare per invertire questa tendenza
Prima di tutto bisogna ricostituire gli organici dei servizi territoriali. Deve essere interrotto il blocco del turn over, si assumano le persone. Da troppo tempo il personale in pensione non viene rimpiazzato. Ricordo poi che i “progetti obiettivo” prevedono standard precisi di personale e di cure.
Lei è all’inizio di un mandato che durerà tre anni. Quali priorità ci sono nell’agenda Unasam?
Se ci sarà un governo a cui rivolgersi, lavoreremo anche su questo fronte e con le Commissioni parlamentari per risorse destinate, per un piano pluriennale di ricostituzione degli organici e perché siano favoriti percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Inoltre è massimo l’impegno per il superamento della vergogna Opg e contro pratiche di contenzione.
(di Elisabetta Proietti, da SupeAbile)