Di Francesca De Carolis. – Una risposta al dramma contemporaneo, al nostro cupo e irresponsabile correre verso l’autodistruzione… l’ho trovato, con grande gioia, leggendo “La letteratura ci salverà dall’estinzione” un molto bel libro di Carla Benedetti, di quelli che aprono strade… spiegando che dove l’economia, il diritto e la politica continuano a fallire, forse la letteratura e la filosofia ci salveranno dall’estinzione… E non mi è sembrato un caso averlo letto proprio oggi che da Trieste leggo della “dissennata opera di distruzione”, da parte dell’amministrazione regionale, della rete di servizi pubblici, della guerra contro oltre mezzo secolo di cammino di quella realtà che, come annuncia Gianni Cuperlo, l’Organizzazione mondiale della sanità in un documento in uscita tra pochi giorni giudicherà assieme alla francese Lille e alla brasiliana Campinas un “sistema complessivo di eccellenza” nell’ambito dei servizi di salute mentale di comunità. Cosa c’entra la lettura di quel libro con quel che sta accadendo a Trieste? C’entra, c’entra…
Intanto perché fra le tante cose, a un certo punto richiama Tobie Nathan, l’etnopsichiatra francese, che ci ha spiegato la differenza fra “società a universo unico”, come è a nostra, e “società a universi multipli”, quelle che ammettono altri mondi oltre a quello visibile e conosciuto. E ci ricorda che in queste culture, che noi abbiamo bollato come “selvagge”, la persona che ha disturbi psichici non è solo un malato e basta, come tendiamo a fare noi, ma è persona in contatto con qualcuno o qualcosa di questi universi, e ne diventa una sorta di interfaccia. Anche per questo non viene isolato dalla società, ma piuttosto ascoltato come “informatore inconsapevole di un mondo che è bene conoscere”. Diversa invece la cura che la nostra società moderna affida agli specialisti, isolando il malato dalla società, ormai chiusi come siamo “in un unico universo, quello che chiamiamo ‘reale’, e che ha se stesso come orizzonte e quadro di riferimento ultimo”. Che è tutto quello che a Trieste, da Basaglia in poi si è cercato di combattere, e con gli straordinari risultati che tutti conosciamo… C’entra anche, quel libro, perché spiega la pochezza del nostro sentire (perché rimuoviamo un’enormità come la catastrofe che ci aspetta e continuiamo con l’opera dissennata di distruzione del nostro mondo?), anche con un narcotizzante e sinistro entertainement (ed end-tertaimenti), immiseriti modelli narrativi dove è stata messa da parte “la potenza della parola umana che incide sul destino degli individui”… Nel merito, il confronto della narrativa contemporanea è con il mondo omerico, ma anche Dostoevskij, Tolstoj, Melville, Hugo, il nostro Gadda, dove “ogni storia narrata, anche la più piccola, echeggia dentro questa cassa di risonanza di ampiezza cosmica ed epica, costituita dall’intera storia dell’uomo”… E come non pensare a quello sguardo sull’uomo che non perde mai lo sfondo dell’infinito pensiero di Basaglia… Dunque, perché non regalare (con preghiera di lettura) a chi tanto si sta industriando per smantellare quanto con immenso impegno è stato costruito nell’ultimo mezzo secolo (oltre il testo della Benedetti) due o tre volumi della Collana 180, che quello sguardo e quella profondità infinita continuamente ci raccontano? Racconti o saggi… hanno tutti la stessa forza, lo stesso abbraccio di universi multipli… Una provocazione. Non so. Io, nel mio piccolo, qualcuno di quei libri proverò a seminare. L’associazione che si occupa del parco vicino casa (villa degli Scipioni) ha preso una bella iniziativa: ha messo una piccola casetta-bacheca dove si invitano le persone a lasciare libri, o prenderne… ecco, a questo punto, penso di portane lì, insieme a qualcuno scritto dalle persone detenute di cui da tempo mi occupo, anche qualcuno della Collana 180… È un luogo pieno di ragazzi… magari leggendo, magari crescendo… impareranno a sfondare il muro di questo nostro universo unico, chiuso e immiserito, e inizieranno a riportare in giro il seme dell’umanità…