È da tempo che sento parlare del grigiore delle psichiatrie che oggi tengono il campo. «Le mani alla gola degli schizofrenici», per dirla con David Cooper, continuano a soffocare emozioni, parole, passioni. Una scena, questa, che oggi si mostra quasi ovunque senza veli e senza vergogna alcuna.
Avevo saputo della morte di Andrea dal giornale radio. Amici torinesi mi chiamarono il giorno dopo. Mi chiesero di scrivere qualcosa, di commentare, di prendere posizione. Quello che era accaduto nel piccolo giardino pubblico di Torino aveva assunto immediatamente le dimensioni di una imperdonabile violenza. Una morte così dovrebbe essere impensabile oggi, solo se finalmente gli psichiatri, gli infermieri, i direttori generali delle aziende, i governi regionali volessero veramente sapere qualcosa della incommensurabile lontananza delle persone che vivono l’esperienza, del loro bisogno di aiuto e di ascolto. E non continuare a brandire come un rozzo randello il Trattamento sanitario obbligatorio.
Allora scrissi che il Tso non è un mandato di cattura. Quasi ovunque – è impressionate in quanti, troppi luoghi ciò accade – gli psichiatri si interrogano poco, i sindaci ancor meno, i giornalisti si adeguano. Ovunque, dicevo, il Tso finisce per essere non quel momento di garanzia, di difesa del cittadino, specie mentre manifesta la sua totale fragilità e un profondissimo bisogno di ascolto e di comprensione, ma la fredda esecuzione di un’ordinanza. Il legislatore aveva voluto indicare un “obbligo” che i servizi devono assumere alla negoziazione, alla responsabilità di curare soprattutto quando la persona rifiuta le cure. Un esercizio non facile: obbligare alla cura e salvaguardare dignità, ascolto, comprensione.
Le prime pagine del libro di Matteo Spicuglia (Noi due siamo uno, Add editore, 2021) sono agghiaccianti. Non posso non dirvi che le ho lette con un nodo in gola e una profonda emozione tra rabbia e solidarietà che non mi ha lasciato anche nei giorni successivi. Andrea viene ucciso da incolpevoli agenti della polizia municipale e dalla totale incompetenza e negligenza propria delle psichiatrie e per la non più tollerabile assenza di politiche governative e regionali che vogliano rendersi conto che esiste non solo un dettato costituzionale, una legge dello Stato, ma anche organizzazioni, dispositivi e culture che devono agire prima che la distanza diventi incolmabile. Quel tipo di intervento, il Tso, che purtroppo si conclude anche tragicamente, è il frutto dell’inerzia, della criminale disattenzione delle politiche regionali e delle aziende sanitarie che ancora non attivano – ma quando mai lo faranno – presidi forti di salute mentale comunitaria, diffusi e presenti nel territorio, disposti ad accogliere, ad ascoltare, a intervenire ventiquattr’ore su ventiquattro, ogni giorno, per tutta la settimana. Le morti, che qui non voglio più elencare ma che ognuno di voi ricorda degli ultimi 10-12 anni, sono avvenute sempre per il vuoto prima che l’intervento di “cattura” abbia inizio: vuoto di ascolto, di capacità di smontare il lievitare della crisi e della domanda repressiva.
Il Forum spesso, e continua a farlo, discute e informa, le cattive pratiche non mancano. Non ultima la morte di un altro quarantenne, Matteo Tenni, avvenuta nel piccolo paese di Ala nel trentino, ucciso dai carabinieri in un intervento determinato ancora una volta da quel vuoto di cui continuiamo a “urlare”. Con Matteo Spicuglia ho discusso del suo prezioso lavoro quando il libro stava per entrare in stampa, ho risposto alle sue domande, e quando finalmente ho letto il pdf non ho potuto trattenermi dal chiamarlo. Il suo è un lavoro prezioso, va letto, consigliato. I giovani che si accingono a questi mestieri troveranno ragioni per interrogarsi. Un solo appunto: il titolo. Sarebbe stato appropriatissimo e sufficiente il sottotitolo la morte di Andrea Soldi, mentre è davvero inaccettabile che ancora si scriva morto per Tso perché, non mi stanco di ripeterlo, si muore per le sgangheratezze, le autoreferenzialità, le distanze delle psichiatrie, per la miseria delle organizzazioni del territorio, per la costante scarsità di risorse, per la trascuratezza e le approssimazioni dei servizi formativi. Ma il libro non finisce qui. Saranno le carte che Andrea lascia nel suo appartamento, i suoi scritti, la bellezza e la profondità delle sue riflessioni, il racconto emozionante e poetico del suo mondo interno che costruiscono l’altra parte del libro e un interrogativo inquietante. Venticinque anni di “malattia” e di contatti con i servizi di salute mentale, sostenuti dalla amorevole sollecitudine di sua madre, di suo padre, di sua sorella, hanno fatto poco per illuminare il mondo così ricco di Andrea, riducendo tutto a cosa, a diagnosi, a farmaco.
Ho inviato il libro a Eugenio Borgna, che nella sua giovanile passione lo ha letto e mi ha scritto quanto di seguito riporto. Le parole che dice sono così preziose che sarei uno stupido egoista a tenerle per me. «Mio caro Peppe», mi scrive, «grazie della Storia di Andrea Soldi che è davvero emozionante e che dimostra ancora una volta quanta sensibilità e quanta capacità di analisi interiore possano avere pazienti giovani e non più giovani, considerati, non di rado, come destini di vita insignificanti e da affidare in soli farmaci a una assistenza quanto mai convenzionale e non curante. Un libro impensabile, un libro che ci fa davvero intravvedere, fra le altre cose, gli abissi di sofferenze e di angoscia che fanno parte di una vita psicotica irrorata nella sua fragilità, nella sua contraddizione, e anche dall’indifferenza emozionale con cui alcune psichiatrie si occupano della follia. Sì, un libro impensabile, e sono folgoranti – come sai le condivido fino in fondo – le cose che scrivi di una psichiatria clinica e farmacologica sradicata da ogni contesto relazionale e umano. Le diagnosi di schizofrenia, sono cose che, continuiamo a dire, caro Peppe, spengono ogni speranza sia nei familiari dei pazienti sia in loro. Anche una diagnosi sbagliata condiziona per sempre il destino di vita e i modi con cui, psichiatri e non psichiatri, si confrontano con una forma di vita quanto mai complessa e che questo libro indica con una ricchezza umana e psicologica, quasi incredibile. Ti sono molto, molto grato di avermelo fatto avere. Sono anche molto belle le parole che accompagnano quelle di Andrea Soldi e che dimostrano la sensibilità e la capacità di ascolto di Matteo Spicuglia. Il pensiero del modo in cui Andrea giunge alla morte porta con sé le esperienze terrificanti che hanno contrassegnato i modi con cui la psichiatria si svolgeva nei manicomi che la genialità di Franco Basaglia ha saputo smascherare e trasformare. Un libro che fa pensare, davvero, e non so se queste cose continueranno ancora ad accadere. A presto, mio caro Peppe, ricordati della mia stima e della mia amicizia sconfinate.»
Mentre intellettuali e sinceri democratici si appassionano all’arte del legare le persone, il lavoro “impegnato” di un giovane giornalista, “felice e sconosciuto”, restituisce verità e almeno un po’ di speranza.