Gli scenari della violenza sono diversi. C’è la violenza planetaria, quella che attraversa la storia passata e sopravvive nella storia presente con le guerre, le repressioni e gli stermini che apprendiamo ogni giorno dai giornali e dai media, anche se crediamo di esserne lontani e perfino immuni. Un ulteriore scenario è costituito dalla violenza sociale dentro la quale viviamo cercando di combatterla con gli strumenti di difesa democratici che abbiamo a disposizione.
Questi due scenari della violenza hanno in comune una dimensione di “oggettività”, nel senso che li consideriamo e li trattiamo come delle realtà fuori di noi, magari minacciose ma esterne, o comunque esternalizzabili rispetto all’esperienza individuale di ciascuno. Ma c’è un terzo scenario, che riguarda una violenza che nasce e vive dentro di noi: su questo restiamo senza parole, come se la nostra violenza e la violenza esterna si confondessero in un’unica idea.
Un’idea, abbastanza ovvia, di “forza” nella quale riversiamo ogni atto di violenza, da quelli esterni a quelli interni. La domanda che dovremmo farci, e che invece di solito evitiamo, è allora questa: possiamo ritenere che violenza e forza siano la stessa cosa? Ci accontentiamo di solito di questa considerazione, che, a vedere bene, non ci porta da nessuna parte, se vogliamo tentare di capire a fondo la parola “violenza” che adoperiamo di continuo come se il suo significato fosse del tutto trasparente.
Forse, per fare un passo avanti in tale questione, dovremmo rivolgere lo sguardo verso noi stessi e accorgerci che ciascuno alberga in sé un tratto di violenza che tende a emergere. Possiamo non dargli importanza: invece, dovremmo tentare di capire come nasce, di cosa è fatto, come dovremmo neutralizzarlo. Ma neutralizzarlo davvero, non mascherarlo con abiti bonari come facciamo molto spesso.
Gli studiosi della psiche ci portano spesso a una spiegazione che, in ultimo, avrebbe a che fare con l’istinto, insomma con qualcosa che appartiene alla nostra natura più remota e che dovremmo riconoscere e trasformare. Già così ci si allontana un poco dall’equazione violenza = forza e si pone una questione abbastanza inquietante: se la violenza sta al fondo della soggettività di ciascuno di noi, cosa possiamo farne? Dobbiamo tacitare una simile spinta istintuale o dobbiamo riconoscerla, tenerla ben presente nelle nostre menti per riuscire a viverla senza essere presi alle spalle?
Fate la prova. Nessuno di noi ammette di avere pulsioni violente, quasi nessuno si accorge dei guai che tali pulsioni producono nelle sue relazioni quotidiane, anche e soprattutto per via del fatto che non sempre siamo in grado di riconoscerne la presenza, una presenza che non si manifesta solo con gesti di forza o con attacchi di ira, anche se, quando la nostra voce si alza e diventa cattiva, è facile stanarla, rendersene conto e tentare di combatterla. Ma la violenza quotidiana, quella che appartiene a ciascuno, perfino a chi mostra con il suo comportamento compassato di esserne immune, può anche risultare silenziosa, inapparente. “Violento io, ma guardatemi, sono il contrario!”
Sarebbe necessario un lavoro di auto-osservazione per il quale abbiamo pochi strumenti a disposizione (la scuola ha altro da fare, le famiglie spesso non percepiscono neppure il problema), e soprattutto ci manca il tempo da destinare a simili “inezie”, abbiamo da correre senza sosta per realizzare noi stessi.
Perché mai dovremmo fermarci a osservare una violenza che abita la nostra normalità, anche la più pacifica? Forse, se riuscissimo a sostare su questa questione, potremmo accorgerci di quante implicazioni essa si nutre, per esempio potremmo tentare di riflettere sul fatto che la violenza e la paura producono spesso dentro di noi una sorta di cortocircuito. E, magari, ci accorgeremmo che il comportamento violento (esplicito o nascosto) non è affatto solo un sintomo di padronanza o di un’esigenza di affermare sé stessi, anzi, al contrario, copre le paure inconsapevoli e anche consapevoli.
Insomma, la nostra violenza non è un semplice fatto, è piuttosto l’indice di problemi da portare alla luce per tentare di risolverli.