I due disegni di legge (DDL n. 734 e n. 938), che insistono sullo stesso testo di base,
rappresentano la necessità di dotare il paese di uno strumento legislativo che riesca a
favorire la piena realizzazione dei principi stabiliti nella legge di riforma sanitaria n. 833 del
1978 per la parte riguardante la salute mentale, segnatamente agli articoli 33, 34 e 35 (ex-
legge 180/78). Essi dunque mantengono inalterati gli articoli della 833 con due sole
eccezioni (relative alla contenzione e all’attuazione del TSO).
La chiusura degli ospedali psichiatrici ha rappresentato un esito storico, unico nel mondo,
di questa legge, nonostante la lunghezza del periodo di tempo (21 anni) con cui questo
percorso ‘di civiltà’ è stato ultimato. Tale risultato è ancora presentato dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità come esempio per tutti gli altri paesi.
Tuttavia, la natura di legge-quadro della 180/833, che andava specificata attraverso le
leggi regionali, non ha permesso che si definisse, almeno fino al 1994 (Primo Progetto
Obiettivo Nazionale Salute Mentale), e più compiutamente con la legge del 1999, in
attuazione del secondo Progetto Obiettivo Nazionale, la concreta organizzazione dei
servizi di salute mentale in Dipartimenti strutturali autonomi all’interno delle aziende
sanitarie ex-ULLSS, insieme con le loro mission, funzioni e operatività, standard di
personale e di prestazioni.
La riforma del titolo V e la conseguente ancor più spiccata autonomia delle Regioni ha in
sostanza impedito che si potesse uniformare a livello nazionale un quadro organizzativo
basato su modelli di servizi capaci di una efficace presa in carico dei disturbi severi,
offrendo all’utenza e alle famiglie un insieme integrato di servizi atti a realizzare una cura
orientata alla ripresa personale e all’inclusione sociale, nel pieno godimento dei diritti
costituzionali, civili e sociali. Tutto ciò appare ora non solo possibile, ma pienamente
realizzabile.
D’altra parte, l’incremento della domanda, specie con la maggior sofferenza connessa alla
pandemia e con l’aumento delle disuguaglianze sociali e di salute; la riduzione
contemporanea dell’investimento sui servizi di salute mentale (fino al 2,75% del FSN, a
fronte di valori in media 4 volte maggiori in paesi come la Francia e il Regno Unito),
aggravato dal quadro di sotto-finanziamento della sanità; la crisi del personale in termini di
numeri e di figure professionali; l’assenza di una governance nazionale dei processi
(almeno a partire dal Piano d’Azioni Salute Mentale, approvato dalla Conferenza Stato-
Regioni nel 2013), hanno ulteriormente peggiorato il quadro complessivo rendendo
drammatica la quota di bisogni di cura inevasi, anche in ragione della crescente incidenza
e della prevalenza dei disturbi mentali comuni nella popolazione (dieci volte maggiore ai
valori dell’utenza in carico secondo il rapporto annuale del Ministero della Salute), e quindi
in sostanza contraddicendo il dettato dell’art. 32 della Costituzione sul diritto alla salute.
Per non citare la necessità di interventi di prevenzione (specie del suicidio) e di
promozione della salute mentale, ad esempio nelle scuole e nei luoghi di lavoro, in Italia
allo stato estremamente limitati, che siano in linea con le politiche sanitarie e di welfare dei
paesi europei.
Il Forum Salute Mentale, che dal 2003 in poi ha denunciato il gap esistente tra i principi
della legge e la loro concreta realizzazione, tra le dichiarazioni e i documenti di indirizzo e
la loro attuazione, tra le pratiche virtuose potenzialmente generalizzabili e le violazioni dei
diritti umani (su tutti la persistente contenzione fisica nei servizi ospedalieri), ritiene che
entrambe le proposte stabiliscano alcuni punti fermi necessari per iniziare risolvere i
problemi di fondo del sistema salute mentale.
Oggi lo stato delle conoscenze è ben altro rispetto al 1978, e così le evidenze accumulate
in termini di efficacia dei modelli di servizio integrato e ‘comprehensive’. Ciò è stato
sottolineato dalla Guidance dell’OMS sui servizi di salute mentale centrati sulle persone e
basati sui diritti, che nuovamente cita il modello Trieste (2021); e dal recente Report
Mondiale sulla Salute Mentale (2023) che assume il modello a rete comunitaria come
fondante, comprendendo anche la salute mentale al di là dei servizi ad essa deputati, in
altri contesti quali strutture sanitarie e sociali, scuola, luoghi di lavoro, carceri, etc.
In primo luogo, i DDL stabiliscono con chiarezza quali siano i servizi che vanno garantiti
sul piano nazionale, sia in termini di strutture e personale che di cure che siano
concretamente esigibili dal singolo e dalle famiglie, in un’ottica di progetto personalizzato
(viene citato il Budget di Salute).
In linea con la legge del 1999 riguardante il recepimento del PONSM 1998-2000, i DDL
precisano il ruolo essenziale di un Dipartimento di salute mentale (DSM) ‘strutturale’ con
autonomia tecnico-gestionale, luogo di governance dei programmi e dei servizi, oggi a
rischio di essere subordinato alle necessità delle aziende sanitarie che pongono la salute
mentale al fondo della lista delle priorità.
Ancora, il funzionamento di un Centro di Salute Mentale (CSM) operante in un dato
territorio come centro di responsabilità, di erogazione e coordinamento dei percorsi di cura
offerti alle persone, inclusi quelli, oggi spesso autonomizzati e poco governati, di un’area
della residenzialità psichiatrica, spesso privata, in espansione incontrollata e a forte
rischio di istituzionalizzazione dei pazienti (si veda quanto documentato dal Rapporto del
CSS sulla Residenzialità Psichiatrica – Problemi e prospettive, ISS, 2022).
Sono pure ben definite le funzioni del Centro Diurno e del SPDC, con le risposte da
garantire in termini di emergenza-urgenza a livello territoriale, il più spesso assai carenti e
invece fondamentali per prevenire il ricorso, troppo spesso automatico, al TSO.
In ogni caso, a di là dei modelli organizzativi, le cure ‘esigibili’ vengono qui organizzate in 4
livelli di assistenza a complessità crescente, da garantire comunque superando le
difformità regionali, che il più delle volte si traducono nella povertà di servizi a carattere
riduttivamente ambulatoriale, in alcune regioni peraltro addirittura quasi assenti. In tal
senso, si dovrà peraltro prevedere un aggiornamento dei LEA relativi alla salute mentale in
questo quadro più articolato.
Un tema di scottante attualità, che il Forum tuttavia ritiene di solito non correttamente
impostato, è quello che deriva dalla realizzazione della ‘seconda deistituzionalizzazione’
degli OPG con l’istituzione delle Rems. I due testi confermano quanto ormai acclarato in
alcuni anni di lavoro del nuovo sistema, nonostante l’assenza di modifiche legislative nel
COP e nel CPP relative all’imputabilità e alla messa in atto delle c.d. ‘misure di sicurezza’.
Il riferimento principale è ai principi sanciti dal documento del Comitato Nazionale di
Bioetica del 2017, che vengono attuati prevedendo la natura transitoria delle Rems nei
percorsi di riabilitazione e reintegrazione sociale, e riaffermando ancora una volta il ruolo
centrale dei DSM come sistema di garanzia per i cittadini che essi seguono nei loro
percorsi, anche in ambito giudiziario. I due testi fanno anche riferimento agli interventi dei
servizi territoriali nelle carceri, tema molto discusso e su cui è necessario rispondere.
Importante notare che i disegni di legge non si fermano alla definizione di tecnicalità, ma
fanno riferimento a principi ispiratori che nel frattempo, dalla legge 180 in poi, in cui
erano già contenuti in nuce, sono stati esplicitati ed assunti universalmente
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Piano Globale per la Salute Mentale, 2013-
2030). Ci riferiamo all’universalità dell’accesso e alla risposta ai bisogni di salute mentale
in tutte le età della vita; all’approccio multisettoriale, che andando oltre il campo
disciplinare della psichiatria comprende l’intervento sui determinanti sociali di salute (casa,
lavoro, inclusione sociale e quant’altro), necessariamente integrandosi coi servizi di
welfare e con il Terzo Settore, che i DDL citano e definiscono espressamente nell’articolo
sull’integrazione sociosanitaria, prevedendo il supporto personalizzato attraverso budget
individuali di salute cui si fa esplicito riferimento. I DDL pongono qui l’accento sul diritto
all’abitare indipendente e all’inclusione nella comunità (art. 19 della Convenzione ONU).
Ancora, il coinvolgimento delle persone e delle famiglie, nella progettazione e
nell’erogazione dei servizi. Un aspetto importante e innovativo nei due DDL, è la
previsione obbligatoria di forme di partecipazione, informazione e consultazione degli
utenti e dei familiari nei servizi a livello locale. Questo è un dato ormai imprescindibile non
solo nei documenti OMS, ma in chiave di politiche europee e non solo (vedi la recente ed
esaustiva Risoluzione del Parlamento Europeo sulla Salute Mentale, 12 dicembre 2023);
esso potrebbe essere maggiormente sviluppato e definito.
Infine, l’approccio ai diritti umani. L’Italia ha aderito a tutte le molteplici dichiarazioni e
carte internazionali in materia, e in particolare alla Convenzione sui Diritti delle Persone
con Disabilità delle Nazioni Unite, ratificata dal nostro paese nel 2009, che riconosce
dignità e rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali alle persone con disabilità,
comprese quelle di natura psichiatrica e psicosociale. Il contrasto alle succitate violazioni
dei diritti umani, ancora quotidianamente presenti in Italia e troppo spesso culminate in
incidenti fatali in corso di contenzione fisica o di TSO, è ben rappresentato nei disegni di
legge dalle disposizioni (ad integrazione della L.833) volte a prevenire l’impiego della
coercizione, precisando quanto già contenuto nella legge e introducendo la figura del
Garante, nominato dal Giudice Tutelare, con funzioni di supporto alla persona, e dalla
doverosa abolizione delle forme di contenzione meccanica, condannate dall’art 15 della
Convenzione riguardante la libertà da trattamenti disumani e degradanti.
I DDL fanno riferimento alla costituzione dell’equipe multidisciplinare, coi relativi profili
professionali, e al tema fondamentale della formazione degli operatori con un rinnovato
ruolo delle università, maggiormente connesso, in linea coi maggiori paesi europei, anche
in riferimento all’assistenza territoriale, integrata nei DSM.
Circa la necessità di garantire cure livelli di equità e cure uniformi in tutto il paese, i DDL
rimarcano la necessità di strumenti di programmazione e controllo a livello centrale, quali
un Piano Nazionale Salute Mentale, che recupera anche la grande questione, prima
citata, della prevenzione e promozione della salute; la presenza di un Osservatorio con
finalità di controllo indipendente e monitoraggio dei processi e degli esiti a livello
nazionale; e infine di una Consulta che includa tutti i soggetti interessati.
Un aspetto da sottolineare, e da tener assolutamente in conto, è la previsione degli
stanziamenti finanziari necessari, presenti nei DDL in termini di finanziamento
straordinario per il Piano, pur assai contenuti, nonché di aumento della percentuale
dedicata del FSN fino almeno al 5% (sono previsti altresì fondi per le attività formative).
Tuttavia, dalle recenti analisi sul fabbisogno di personale riferito agli standard definiti da
AGENAS nel 2022, i finanziamenti necessari a mettere a regime l’attuale sistema sono
assai più consistenti (oltre 700 mln di euro, secondo le analisi della SIEP); un tanto al
netto delle innovazioni che i DDL prevedono.
Giova ricordare che, insieme alle indefinitezze programmatorie sui servizi, giustificabili
dallo stato allora pionieristico delle nuove pratiche sul territorio, questo fu all’epoca uno dei
vulnus nell’applicazione della legge 180, che ne ha ritardato la piena implementazione
specie laddove erano carenti le risorse necessarie.
In conclusione, il Forum Salute Mentale esprime parere positivo rispetto ai DDL,
rimarcando la necessità che l’Italia, conservando la posizione privilegiata acquisita dal
grande percorso di riforma, reso possibile dalla legge 833, ne porti a compimento il
percorso, e al tempo stesso resti pienamente inserita nel quadro di avanzamento dei diritti
delle persone con disagio e disturbo mentale, come sanciti dal diritto internazionale,
recepiti dai documenti europei di indirizzo nonché ancorati alla nostra Carta
Costituzionale.
Ribadisce invece assoluta contrarietà ad interventi legislativi che, stravolgendone
invece le premesse, snaturino le grandi acquisizioni della legge di riforma psichiatrica,
che si sono tradotte in una diversa coscienza civile e sociale dei cittadini, e in un
avanzamento concreto dei percorsi di cura, guarigione e inclusione. Senza riprendere
un’iniziativa in questo ambito non si può neppure pensare alla tutela della salute come
‘diritto dell’individuo e interesse della collettività’, e che ha fatto da apripista alla
costruzione di un SSN universalista. Esso deve diventare, anche in questo campo, più
equo e giusto.