Il video diffuso sulla contenzione del maestro anarchico ricoverato nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Vallo della Lucania (Sa) fino alla sua morte, dopo essere stato quattro giorni legato al letto, ha provocato indignazione, rabbia, dolore, sgomento.
Come è possibile che ancora si vive e si muore legati di psichiatria?
Ma l’indignazione come stato emotivo pure indispensabile, deve essere accompagnata da azioni concrete per un cambiamento, mostrato possibile.
Su 285 Spdc italiani, nel 2005, nel corso della ricerca Progress Acuti, 200 Spdc dichiarano di fare ricorso alla contenzione e di usare un camerino di isolamento, ma 85 Spdc dichiarano di non fare ricorso alla contenzione e di operare con le porte aperte. Come è possibile allora considerare “necessaria” la contenzione, definirla atto sanitario, quando non terapeutico?
L’abolizione della contenzione fisica nei servizi di salute mentale, come degli altri atti di limitazione della libertà personale, devono essere assunti come i determinanti e gli indicatori fondamentali della qualità dell’assistenza nei servizi del Dipartimento di Salute Mentale, oltre che segno del ruolo che il sistema sanitario e la comunità attribuiscono alla dignità e ai diritti della persona malata.
Anche il ricorso eccezionale e sporadico alla contenzione fisica riconsegna la sofferenza psichica al terreno della incomprensibilità, produce oggettivazione e negazione del soggetto.
Il pezzo sulla contenzione che di seguito riportiamo, parte integrante del documento fondativo del Forum Salute Mentale, è stato elaborato da Franca Ongaro Basaglia. L’ho raccolto da lei, lo abbiamo discusso insieme, in un pomeriggio di fine settembre del 2003, ad Ischia, dove Franca passava un periodo di riposo.
Da Napoli ero andata a trovarla, per discutere con lei del Forum che avevamo deciso di attivare e del documento che stavamo costruendo. Franca condivideva la nostra necessità ed urgenza ad aprire un Forum sulla salute mentale, a riavviare un dibattito critico, di merito e di metodo, sulle pratiche dei servizi di salute mentale, sui dispositivi, le tecniche utilizzate, i modelli organizzativi, le modalità di allocazione delle risorse.
Fu disponibile a coinvolgersi nel progetto, pure in un periodo di sofferenza e di ritiro, anche attraverso questo testo, con la forza e il rigore che le erano propri.
Non riuscì ad essere con noi a Roma nelle giornate del Forum del 16 e 17 ottobre. Ci mandò una lettera in cui ancora ritorna sul tema della contenzione dicendo “Ora, quando si sente parlare troppo di un uso diffuso non ancora superato o nuovamente riproposto della contenzione e che essa viene spesso giustificata anche da chi ha creduto nella riforma o crede di metterla in atto, si ammette esplicitamente –in nome dello stato di necessità- di non riuscire a fare altro. E’ dunque uno stato di necessità frutto di un’impotenza in cui si accetta di “ritirarsi”, consapevoli di non fare ciò che potrebbe essere fatto.”
Da questo dobbiamo ripartire.
Giovanna Del Giudice
dal Documento Programmatico del Forum, ottobre 2003
“La contenzione
La buona pratica non parte da un gesto generoso del medico verso la persona sofferente, gesto che può essere tradito mille volte al giorno da un dolore più o meno nascosto, da una aggressività con o senza giustificazione, da una violenza che ferisce. La buona pratica è il risultato di una volontà collettiva di partire comunque dal rispetto e dalla libertà della persona che spesso proviene da una storia in cui questo rispetto e libertà sono venuti meno o non sono mai esistiti. La buona pratica cresce e si sviluppa attorno a questo nucleo centrale, da cui si dipana ogni altro intervento.
La contenzione blocca questo sviluppo nell’atto stesso che parte dal massimo dell’umiliazione e della mortificazione della persona e ripropone la copertura della nostra incapacità ad affrontare diversamente la sofferenza e la violenza, con una risposta irresponsabile di violenza e di difesa di sé, di violenza da parte del più forte, di chi è in condizione di porre una distanza fra sé e l’altro: il ruolo, le regole, l’istituzione, il potere.
Contro tutto questo si è lottato per anni e si è dimostrato possibile perseguire altre strade con il supporto di operatori/trici formati e motivati che reggano l’impatto senza ferire, senza umiliare, con la costruzione di un ambiente e di un clima non violento, libero nel suo complesso, che fa capire come altri passi siano possibili e della stessa natura.
La contenzione blocca ogni passo successivo. Contamina e rafforza il sopravvivere di vecchie tradizioni nelle case di riposo e nei servizi per anziani, negli istituti per handicappati, nei reparti di geriatria, di medicina …. per facilitare l’immobilità, per preservare dal danno… alla fine per semplificare il lavoro di medici e infermieri”.
1 Comment
Ritengo che a partire da quanto asserito da Giovanna e da Franca, dobbiamo fare un passo in più: chiedere e far sì che venga praticata l’informazione per il consenso in ogni contesto psichiatrico e della salute mentale.
Dobbiamo ridurre l’asimmetria che genera nei casi come quello descritto, ma che è sempre in agguato laddove una persona possa essere nel potere di altri, mortificazione, contenzione passivizzazione; dobbiamo partire dall’assioma che una persona è sempre competente per la propria vita, anche quando non riesce a gestire le criticità che la portano all’attenzione della psichiatria.
Consanso informato, Sì, grazie.