[articolo uscito su Avvenire il 23 febbraio 2021]
La pandemia impone di superare il modello Rsa per un sistema misto. «C’è bisogno di quella che noi chiamiamo la città che cura, dove pubblico, terzo settore e altri enti sociali lavorano insieme».
Il 30 aprile, termine previsto per la presentazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (Pnrr), è ormai dietro l’angolo. Tra i diversi soggetti che a suo tempo si erano autoconvocati per offrire al ministero della Salute delle sollecitazioni in ottica Next Generation Eu, vi è anche la Conferenza Permanente sulla Salute Mentale nel Mondo (CoPerSaMM), realtà nata a Trieste nel 2010 e figlia della straordinaria esperienza basagliana. «Abbiamo partecipato, come Conferenza Basaglia, a questo movimento che si propone di spendere bene i fondi europei rispetto alla sanità» spiega Franco Rotelli, medico psichiatra, stretto collaboratore di Franco Basaglia per 10 anni, già consulente Oms e già direttore generale dell’Azienda Sanitaria triestina, autore di numerose pubblicazioni, nonché primo presidente di CoPerSaMM e firmatario del manifesto del Welfare di Prossimità. «L’obiettivo principale di una rivoluzione in campo sanitario per noi sta – spiega Rotelli – nell’infrastrutturare le realtà socio-sanitarie a carattere territoriale e, insieme a questo, nel rafforzare l’assistenza domiciliare. Una visione che sposta l’attenzione dall’ospedale al territorio, dall’attività prestazionale all’attività di presa in carico complessiva della persona. Questa politica deve essere sviluppata in particolare rispetto agli anziani». E subito i numeri: «Parliamo di 500mila persone nelle cosiddette Rsa, etichetta che, ormai impropriamente, identifica le case di riposo; ma anche di oltre 50mila persone in residenze psichiatriche di lungo periodo, che non sono i vecchi manicomi, ma non hanno nulla a che vedere con un buon servizio di salute mentale» prosegue Rotelli. «Noi, partendo dall’esperienza della psichiatria, sosteniamo che questa politica vada ampliata a tutto l’ambito della sanità con molta più forza di quanto non si sia fatto finora e abbiamo presentato un manifesto, insieme a molte associazioni, per chiedere al Governo un cambio deciso di rotta». Istanze che si trovano riconosciute nella Missione 6 del testo del Pnrr quando si parla di Case della Salute, Case di Comunità ecc.: «Sono parole buone: si tratta di articolarle di più e di finanziarle meglio per rendere questo discorso più incisivo e più credibile. Su questo facciamo leva e speriamo che il governo rafforzi ipotesi e strategie».
La pandemia ha messo sotto gli occhi di tutti il paradigma o ospedale o abbandono ed è chiaro per Rotelli che si tratta di una visione «veramente inaccettabile. Esistono esperienze in giro per l’Italia in cui i servizi territoriali ci sono e sono stati costituiti. I distretti socio-sanitari dovrebbero essere il perno dell’assistenza al cittadino e va sottolineata la parola socio-sanitari perché la presa in carico delle persone deve essere complessiva e non prestazionale». Da qui lo sguardo si apre ad altre questioni altrettanto importanti: «C’è bisogno di quella che noi chiamiamo la città che cura, dove pubblico, terzo settore, altri enti sociali lavorano insieme per curare le persone. In qualche modo il servizio pubblico deve attivare il resto del sistema sociale». Ma serve anche, invece di continuare a costruirne di nuove, «svuotare le Rsa e attivare da subito un grande Osservatorio che guardi a ciò che succede lì dentro, anche rispetto alla presenza delle multinazionali nel meccanismo degli appalti». Senza dimenticare l’urgenza di «cambiare tutto rispetto agli indicatori economici. Dobbiamo capire quanto spendiamo per queste forme di istituzionalizzazione e costruire dei sistemi alternativi che possono essere molto più produttivi, chiamando in causa molto più lavoro utile e molto meno profitto fatto da capitale internazionale».
Resta molto da fare anche sulla tendenza dell’informazione a «glorificare gli ospedali dando scarsissima attenzione alla quantità e alla qualità dei servizi territoriali». Ma anche sul tema della formazione dei medici di medicina generale e dei medici di famiglia «che sono oggetto di una formazione autarchica, non hanno alcuna forma di accreditamento o di dipendenza e diventano sempre più burocrati o fornitori di ricette elettroniche nelle farmacie». Su questo Rotelli è categorico: «La prima cosa da fare è spazzare via il vincolo di assunzione per le Aziende Sanitarie». E poi impegnarsi per costruire alleanze: «Sono le uniche che possono sostenere la presa in carico delle persone. Altrimenti si distrugge tutto il capitale sociale».