Interrogarsi sulle ragioni della follia: a volte frutto di ben comprensibili gironi concentrici di sopraffazioni e miserie, altre volte della fragilità di corpi segnati, altre volte di una renitenza o di una opposizione incauta e con troppi fragili strumenti a fronte della geometrica potenza nemica, altre volte incorporazione dell’aggressore, altrove altro ancora.
Quasi mai effetto di una linearità causale, la follia è sempre enormemente mutante per variare di relazioni, di sguardi, di reazioni e contro reazioni modificabili.
Destini enormemente sensibili a ciò che attorno si costituisce o si progetta.
A pochi importa modificare fattualmente questi destini. Si preferisce negarli o normarli, o compatirli con pruderie mai come qui nocive. O farne immagini astoriche, astratte: figure o maschere su cui stupirsi, usarle per qualunque vecchia e nuova ideologia, appropriarsene per scientifiche o estetiche farneticazioni. Parlarne in termini lunari invece che quant’altri mai terrestri (e dei disastri miserabili del reale, reali prodotti).
Franco Basaglia di questi destini si è occupato modificandoli, restituendoceli. Da quel momento nulla è più stato come prima. Di nulla qui può essere detto:”è naturale”. Né i milioni di internati tuttora nei manicomi, né millanterie tecniche, né l’inerzia abbandonica.
Un pezzo di libertà in più è nata per tutti. Ma l’enorme stratificazione degli inganni naturali, scientifici, normativi, istituiti ovunque continua a produrre sopraffazioni e violenze fisiche e psicologiche e molti anni occorreranno a smontarne quanto meno ciò che vi è di più palese, che scandalosamente è tuttora lì, davanti agli occhi di molti che continuano a fingere di non vedere.
Anche i cani, lo sanno tutti, più sono legati più mordono. Perché gli uomini dovrebbero essere diversi? L’elementare domanda di un infermiere di Trieste fa giustizia sommaria della logica su cui si fondano i manicomi. Eppure, anni 80, quasi 400mila gli internati in Giappone, 200mila in Brasile, quasi 2 milioni nell’Unione Sovietica. I manicomi dalla Rivoluzione Francese in poi sono stati fondati, con Pinel nella speranza che le catene non servissero. Non è andata così.
Uno degli ospedali psichiatrici di Kyoto è stato fondato dopo gli anni 50 al posto in cui i monaci buddisti accudivano i folli che andavano o venivano portati a una purificatrice cascata. Solo dopo la seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno portato i manicomi in Giappone.
200 anni dopo Pinel è possibile superare l’equivoco fondante, pur carico di buone intenzione, che va in Francia da Pinel a Tosquelles e ininterrotto, che l’asilo sia auspicabile o inevitabile.
Ma affinché questo sia vero non per un momento, affinché anche improvvisate eliminazioni di ospedali psichiatrici come negli USA non siano frutto solo temporaneo di parossismo liberistico dell’arrangiati o schiatta, è necessario che il paradigma psichiatrico muti e non muterà se sarà sempre fondato sull’alienismo, sulla scienza che studia l’alieno.
Biologico o custodiale, psicologico o sociale, razionale o irrazionale che sia, l’alienismo ha bisogno di luoghi di contenzione, magari chiamati come fa in buona fede e in buona opera Tosquelles “Scuole di Libertà”.
Con Basaglia almeno la totalità dell’asilo va invece, ad ogni costo interrotta e con essa la totalità del potere: con l’esperienza italiana ciò per la prima volta accade a Trieste e alcuni altri luoghi perché un paradigma teorico centrato sulla complessità sostituisce un semplicistico paradigma alienistico.
La normalità è interrogata, ma lo sono insieme bisogni e relazioni. L’attore psichiatra non è più uno sguardo assoluto. I soggetti interagiscono, la relazione implica e denuncia complicità e rigidità. L’istituzione psichiatrica è interrogata come struttura e sistema fondati e fondanti: delle sue radici occorre dar conto critico e questo ne determina la fine attraverso il sospetto sui suoi concentrici confini e concentrici gironi di inganni. Il muro crolla perché crolla la legittimità dell’istituzione. La sua autoreferenzialità finalmente interrogata e smascherata.
Salute e malattia, valori assolutizzati, stabiliscono gerarchie di norma e di anormalità, si estendono a formare giudizi di valore e disvalore sociale.
Si arriva a dare nomi medici a povertà sociali, a istituire come medici i luoghi della privazione assoluta e del diritto assente. Senza la complicità della scienza medica ciò non sarebbe da tempo più possibile poiché illegittima sarebbe tale privazione nel mondo dell’universale cittadinanza.
Per la prima volta la legge 180 stabilisce l’universalità del diritto restituendo alla follia il diritto di cittadinanza. La follia esce contemporaneamente dal suo statuto totalizzante, ridiventa episodio essenziale o marginale del vivere: non abolisce più il cittadino che ne è portatore sano o malato; ci si può finalmente interrogare su essa dentro la storia, dentro le storie, dentro il tessuto labirintico delle istituzioni macro e micro geometriche del nostro vivere,
Dentro la crisi delle scienze europee Basaglia ha portato Husserl, Sartre, Lukacs, Marx, vicino al mondo dei manicomi, mostrando come la più alta delle culture europee può svelare la più bassa delle vergogne. Purché questa cultura si faccia pratica azione, scontro reale con il reale (l’istituzione) e contro i nomi e i muri.
La porta aperta, la deistituzionalizzazione, l’odio per i funzionari del potere e della “chose” sartriana ma con tutta la memoria di una Europa dei conflitti a cui non bastano più i giardini di Abele.
(tratto da: “L’istituzione inventata / Almanacco Trieste 1971 – 2010” di F. Rotelli, Collana 180, Edizioni Alphabeta Verlag, 2015)