di Giulia Bordi. Il fenomeno del “barbonismo domestico”, è emerso in una ricerca sui senza dimora condotta a Roma dal sociologo Luca Di Censi. Oltre 400 i casi segnalati nella Capitale dal 2002 ad oggi: sono soprattutto anziani, italiani, non necessariamente poveri, che hanno perso i contatti con parenti e amici o vivono il disturbo mentale e che nella propria abitazione sperimentano l’abbandono esistenziale, vivendo come fossero per strada. Nel suo libro “Metodologie applicate per la misurazione della povertà urbana” edito da Franco Angeli, il sociologo descrive questo fenomeno che in Italia è in continuo aumento.
(Vedi l’articolo: http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/446891/In-casa-come-per-strada-A-Roma-400-casi-di-barbonismo-domestico)
Questi “400 casi di barbonismo domestico” sono persone che hanno pagato e pagano ogni giorno con la propria vita i 13 anni di drammatico e vergognoso ritardo della Regione Lazio nel recepire la legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
«Si chiude una brutta pagina segnata dall’assenza di una programmazione e pianificazione», queste le parole del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che si leggono sui giornali in questi giorni in cui la Giunta ha approvato finalmente la nuova proposta di legge sul welfare regionale. Nel Lazio infatti il funzionamento dei servizi sociali è regolato ancora dalla legge 38 del 1996.
Oggi, dopo 13 anni dalla 328, finalmente questa regione avrà una legge quadro sulle politiche sociali che, queste le parole di Zingaretti, “rimette al centro il tema dei diritti e afferma l’universalità del Welfare”. Dal comunicato della Conferenza stampa si legge che: “obiettivo della riforma è quello di definire un modello di welfare regionale più aperto alla partecipazione dei soggetti pubblici e privati che operano nel sociale, più efficiente ed efficace sotto il profilo della programmazione, dell’organizzazione e della gestione dei servizi, e più attento ai bisogni delle persone più deboli e fragili sia dal punto di vista sociale che sanitario. Le politiche sociali della Regione Lazio potranno contare finalmente su un welfare “plurale”, con un sistema allargato di governo basato sulla gestione dei servizi da parte dei comuni in forma associata. Terzo settore, associazionismo, cooperazione e impresa sociale saranno chiamati ad una partecipazione sistematica alla programmazione degli interventi per promuovere la progettualità e l’innovazione sociale.
Questi i temi centrali che da anni dovrebbero essere all’ordine del giorno di tutte le politiche sociali di ogni singola Regione: integrazione sociosanitaria (con l’individuazione del distretto socio-sanitario quale ambito territoriale ottimale per la gestione associata dei servizi e della spesa sociale), welfare plurale, adozione di un piano sociale regionale con il coinvolgimento del Terzo Settore, delle organizzazioni sindacali e delle ASL, istituzione di un Osservatorio sulle povertà, la destinazione da parte dei Comuni della maggior parte di risorse per finanziare i piani di zona e l’intervento da parte della Regione di fondi integrativi per riequilibrare e garantire servizi uniformi su tutto il territorio.
Una riforma regionale dell’assistenza sociale deve quindi sempre partire dai diritti, di tutti, anche e soprattutto di chi oggi a Roma, così come in molte altre città del nostro Paese, “vive in casa come per strada”. Tutte persone a cui già i Piani sanitari nazionali e la 328/2000 garantiscono: la valorizzazione del domicilio come luogo primario di cure, programmi di intervento individualizzati e continuativi ad elevata integrazione sociosanitaria, politiche di supporto alle responsabilità familiari, assistenza domiciliare integrata, la valorizzazione della persona come risorsa e soggetto della rete, la prevenzione di fenomeni di esclusione e isolamento sociale con la limitazione dell’ospedalizzazione e dell’inserimento in strutture residenziali.
Restiamo in attesa dell’approvazione del Consiglio e della legge quadro per il riordino del sistema sanitario regionale del Lazio. Intanto, mentre si continuano a leggere notizie di “violenza” in diversi ambiti, tra cui nella salute mentale, e fanno sempre più notizia i comportamenti “violenti e pericolosi” degli utenti nei confronti delle istituzioni, del servizio, degli operatori, ben venga un articolo che testimonia le condizioni di vita di queste 400 persone che vanno a sommarsi e moltiplicarsi a quelle di tante altre che soffrono, perdono la vita o diventano “assenze” per la violenza, quella vera, “delle istituzioni e dell’abbandono”.