Nei primi anni ‘60 ha inizio a Gorizia il lavoro di apertura dell’Ospedale Psichiatrico. Il percorso di cambiamento continuerà a Trieste e porterà nel 1978 alla legge che chiuderà per sempre i manicomi in Italia: la legge 180. Il padre dell’operazione di riforma è Franco Basaglia.
Nel primo reparto vuoto del manicomio di San Giovanni viene organizzato da un gruppo di artisti un laboratorio di teatro, pittura e scultura, in cui si costruisce Marco Cavallo: un grande cavallo.
In una fredda domenica di febbraio del 1973 spazzata dalla bora, Marco Cavallo esce dal manicomio alla testa di un corteo di operatori, artisti, cittadini ma soprattutto di malati: gli internati. Per tanti di loro è la prima uscita dopo l’apertura delle porte del manicomio, dopo venti o anche trent’anni dentro le mura. Persone che vivevano spesso in condizioni subumane, relegate in una reclusione ignorata e tollerata, escluse dalla società con la scusa della malattia, nel nome della presunta pericolosità sociale. Marco Cavallo diventa, da quel giorno memorabile, il simbolo della libertà riconquistata dagli internati, della possibilità che le persone hanno di realizzare i propri desideri.Sono passati più di quarant’anni e oggi in Italia sono sei gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) ancora attivi, dove chi ha commesso un crimine e viene giudicato non imputabile perché incapace di intendere e volere, viene internato. Le norme che regolano il percorso di internamento negli OPG sono quelle del Codice Penale emanato nel 1930 dal regime fascista, il Codice Rocco.
Chi viene giudicato incapace di intendere e di volere e socialmente pericoloso viene internato e sottoposto ad una misura di sicurezza che prosegue senza un limite di tempo finchè si giudica presente la pericolosità. Lo psichiatra che valuta il caso con cadenza semestrale, può prorogare la misura di sicurezza teoricamente all’infinito, dando luogo al cosiddetto ergastolo bianco. Nel 1982 una sentenza della Corte Costituzionale stabilisce che la pericolosità sociale non può essere definita una volta per tutte, come se fosse un attributo naturale di quella persona e di quella malattia, ma deve essere invece messa in relazione ai contesti, alla presenza di opportunità di cure e di emancipazione. Nel 2003 e nel 2004 due sentenze della Corte Costituzionale dichia- rano l’incostituzionalità dell’automatismo dell’internamento a seguito del giudizio di incapacità e di pericolosità indicando dispositivi che privilegino la cura e con programmi terapeutici indi- viduali che garantiscano la permanenza del soggetto nel suo contesto relazionale e nel diritto.
Molti giuristi, psichiatri, politici e cittadini attivi nelle associazioni, riconoscono che la persistenza dell’OPG e delle stesse procedure per accedervi sono ormai palesemente incostituzionali, ma nessuna azione concreta è mai stata messa in atto.
Solo nel 2010 la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, guidata da Ignazio Marino, dopo ripetuti sopralluoghi a sorpresa nei sei OPG, produce una documentazione che fa luce sulla situazione di abbandono e di incuria in cui vivono gli internati. Il video prodotto dalla commissione fa inorridire il paese e lo stesso Presidente Napolitano, nel discorso di fine anno alla nazione, definisce gli OPG come “luoghi orribili, indegni di un paese appena civile”.
In seguito all’emendamento presentato dalla Commissione Marino, il parlamento vara una legge che a decorrere dal 31 marzo 2012 prevede il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. L’attuazione della legge è stata prorogata una prima volta al 31 marzo 2013, e poi una seconda volta con scadenza ad aprile 2014.
Il meccanismo di riforma che doveva sopprimere i manicomi criminali sembra nuova- mente arenarsi di fronte alla complessità del sistema, che affonda le sue radici in oltre cent’anni di storia.