Confrontandosi e interrogandosi a proposito di Bruno

Peppe dell’Acqua e Francesca de Carolis

F. Ha detto di aver impiegato più di un giorno per riprendersi dallo shock e trovare la forza di mettere nero su bianco quello che ha visto. Irene Testa, garante regionale dei detenuti, in Sardegna, dopo aver incontrato Bruno nella struttura Aias di Cortoghiana, nel Sulcis-Iglesiente, dove è ricoverato. Bruno, affetto da picacismo, si spiega, che significa la tendenza a ingerire di tutto. Qualsiasi cosa abbia davanti, si spiega. Quale terapia per lui? Le mani costantemente legate e il volto coperto da una maschera modello Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti. E non ho avuto la forza di andare a cercare le immagini di lui, pur diffuse qualche anno fa con la prima denuncia che fu fatta. E’ difficile allontanare dalla mente l’orrore al solo pensiero. Eppure, Bruno è ancora in queste condizioni, che è difficile definire altrimenti che tortura, una tortura che dura da da sedici anni. Provate a immaginare, a immedesimarvi…

Legato e con una museruola come un animale, verrebbe da dire… ché dai luoghi comuni non ci si libera, anche se non si capisce, come io non capisco…, perché qualsiasi essere altro da noi, possa essere trattato così… 

Oltre l’orrore, il primo pensiero, certo arbitrario, è stato chiedermi quanta fame di mondo abbia Bruno, e poi… perché non liberarlo, dai legacci e dalla maschera, libero di inghiottire tutto quello che desideri, anche soffocandosi, anche morendo… ché non può essere vita quella a cui lo condanna la “tremenda terapia” cui è sottoposto… e pensate invece il piacere, sia pure spirando, di averlo addentato tutto, quel mondo crudele che ha intorno… ma neanche questo pensiero, della morte che tutto acquieta, mi ha acquietato. 

Peppe, ma come è possibile che questo accada?

P. Può sembrare impossibile che esistano ancora luoghi dove può accadere tutto questo eppure esistono, e bisogna prenderne atto. Prendiamo atto del fatto che esistono uomini e donne che non sono considerati tali. La loro diversità ovvero la malattia come noi intendiamo e collochiamo questa loro diversità li fa diventare davvero altro da noi. Questo non è un caso limite, ma esemplare, di come non esiste più nessuna possibilità di cogliere l’umano in questo altro. Ma l’uomo resta uomo per quanto fragile per quanto drammaticamente abitato dal male.

Non posso non andare ai ricordi e non solo al vecchio ospedale psichiatrico (sarebbe troppo facile…!). Non possiamo non ricordare quante volte siamo stati colpiti da notizie di cosiddette comunità terapeutiche per anziani, giovani autistici, persone con disturbi mentali… dove telecamere nascoste svelano alle indagini di carabinieri e guardia di finanza storture molto vicine a queste: persone legate ai termosifoni, alla sedia a rotelle, impossibilitate a esprimere quell’umano che noi siamo convinti non viene cancellato da nulla… 

F. Ma per Bruno i carabinieri non sono intervenuti…

P. Qui il dolore maggiore viene dal fatto che ci sono luoghi deputati alla cura dove si immagina che le persone vivano in una condizione di limitata libertà, di dignità e di rispetto, e ci sono tanti luoghi come questo dove la cosa si perde completamente. Penso accada ancora, di fronte a qualcosa che ha a che vedere con un disturbo mentale, dell’apprendimento, del comportamento… che agli occhi del medico e poi della psichiatria questo diventa immediatamente la condizione per porlo fuori dal contesto umano e, come accadeva negli ospedali psichiatrici, una volta fuori da questo contesto diventi un oggetto una povera cosa da collocare non importa dove.

F. La storia di Bruno era stata denunciata già alcuni anni fa, la prima volta da Gisella Trincas, presidente dell’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, poi ci sono stati esposti, lettere, persino un impegno, leggo, dopo l’ultima denuncia, del presidente del Consiglio regionale a seguire una vicenda che “ha profondamente turbato”. Eppure, Bruno è ancora lì. 

Ma che idea ha della persona che è dietro la malattia chi decide “terapie” così estreme? E gli “addetti”, gli infermieri…  quali durezze, quale indifferenza bisogna maturare per continuare ogni giorno a stringere quei legacci, a guardare quegli occhi dietro la maschera che ingabbia il viso. Ma li guarderanno mai davvero quegli occhi?

P. Io mi chiedo quali sconvolgimenti devono vivere gli infermieri per poter accettare la scena che è davanti ai loro occhi. Questa scena devono evidentemente negarla. Noi con questa operazione non facciamo altro che condurre altri uomini e donne a non vedere, perché è troppo doloroso…

F. Ma ci sarà pure altro modo, che non la violenta presunzione come di ingabbiare demoni…

P. Se resto stupito, colpito di fronte a tutto questo, non posso non pensare che  in cinquant’anni di lavoro non mi è mai capitato di legare qualcuno o vedere qualcuno legato. Eppure, ho incontrato persone come Bruno che non riuscivano a stare ferme… lì a battere la testa, a farsi del male, picchiare e picchiarsi, sì, ne ho visti.

L’unica cosa da fare è molto semplice: riconoscere in questo altro l’umano. Dentro Bruno c’è un uomo, e nel momento in cui lo riconosco devo mettere in atto dei gesti, dei comportamenti che non sono solo la mia compassione, la mia comprensione, ma sono organizzativi, se quest’uomo si trova in una struttura cosiddetta terapeutica…

Questa struttura si deve interrogare su come è possibile fare diversamente. Si può con progetti terapeutici individuali, e li abbiamo visti. Accanto a persone che hanno disturbi così incontenibili, dolorosi, si devono spendere almeno una o due persone nell’arco di tutto il tempo… 

F. Costa, si obbietterà.

P. Costa, ma non di più di quanto costa tenere quest’uomo in quella condizione, che costa migliaia di euro. Addestrare due persone per questo compito, rivolgersi ai tanti modi associativi e cooperativi, non verrebbe a costare, azzardo, più di tremila, quattromila euro al mese.  E questo si può fare

F. Dobbiamo rileggere, hai suggerito, il passo del vangelo di Marco…

P. Sì, ci è venuto in mente il passo del vangelo di Marco, di quando Gesù va a visitare i Gerasiani, dove c’è una persona indemoniata che fa esattamente questo, si ferisce, si batte con le pietre e viene tenuto isolato nel cimitero del paese. Sono parole che mi stupiscono e che sono state riprese in una splendida conferenza del Cardinale Martini che ho avuto la fortuna di ascoltare. Gesù compie dei gesti intorno ai quali dovremmo ragionare. Lui si dirige verso quell’uomo, mentre tutti gli dicono “non andare, ti farà del male”… e lo stesso indemoniato gli dice “vai via, non voglio vederti…”. Ma Gesù gli va vicino, gli chiede come si chiama, e fa il miracolo… Gesù scaccia i demoni e questi vanno nel corpo dei maiali, che sono tutta l’economia del paese. I maiali si gettano nel lago di Gerasa e l’uomo resta libero. Martini ci fa riflettere su quanto può costare restituire dignità all’altro. Non è chiedersi quanto costa, ma se sono disponibile a rinunciare a quella risorsa, duemila maiali, per salvare quest’uomo, la possibilità di restituire una vita appena appena confrontabile con la nostra. 

“L’uomo di Gerasa – dice Martini – viene guarito non solo attraverso la relazione personale, ma anche grazie a un’azione sociale. (…) La guarigione profonda dell’uomo chiede un prezzo – duemila animali sono una ricchezza non indifferente – a quella stessa società civile che non ha saputo accoglierlo, perché il benessere di una persona nella collettività è un fatto che investe tutti, che chiede tempo, energie, risorse, attenzione per il suo reinserimento sociale”.

E’ evidente che quest’uomo ha il male dentro di lui e questo male resterà, ma accettare questa cosa senza fare nulla ci riporta a una cultura che è ancora la pratica del non riconoscimento dell’altro. Per fare quello che faccio a quest’uomo, a Bruno, devo completamente tagliare tutte le connessioni che ha con me. Ed è triste. Queste cose accadono perché tutto viene rapportato al costo, alle certezze della scienza.

E gli uomini e le donne possono essere abbandonati all’orrore…

P. Ma tornando a quel paragone con gli animali anche a me è sfuggito. “Come un animale”. Ma il nodo è tutto lì. 

Ripescando una riflessione di Kundera, che da tempo ho fatto mia, e a tutti qui proponiamo…

Il vero esame morale dell’umanità, l’esame fondamentale (posto così in profondità da sfuggire al nostro sguardo) è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell’uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri”. Tutti gli altri fallimenti, come quello di non riconoscere, e quindi violare, l’umanità di chiunque si ritenga essere, per un motivo o per l’altro, alla propria mercé…