Erano gli anni dell’Università, nella Facoltà di Filosofia a Roma. E le parole di Socrate sulla Cura accompagnavano i mie giorni, non senza affanno direi. La comprensione dell’umana sofferenza già allora mi dava da pensare, ma non avrei mai immaginato dove mi avrebbe portata quella possibilità. Fu così, quasi per destino, che incontrai i testi dello psichiatra Eugenio Borgna, importante rappresentante di fenomenologia e protagonista, insieme a Franco Basaglia, di quella rivoluzione psichiatrica, iniziata negli anni ’60, che aveva reso l’Italia un modello di cura nel mondo.
Borgna era conosciuto per aver aperto le porte del Manicomio di Novara, e per aver reso le pazienti libere di circolare e di parlare di loro stesse, andando contro l’organicismo e le violenze inferte sottoforma di terapie. La lettura dei suoi testi ha accompagnato i lunghi anni della mia formazione e della mia ricerca filosofica, avvicinandomi sempre di più a quella follia, “sorella minore della poesia”, che ritrovavo come compagna di cammino negli sguardi spenti di speranza delle persone sole, e nella loro fatica dei giorni tutti uguali. Così mi sono avvicinata alla psicologia, per via di quella filosofia che tiene uniti gli individui e gli animi. Sono entrata per altra strada nel mondo della psicologia, non attraverso i manuali, ma mediante quella pratica filosofica che portava la psicologia così vicina alla vita da confonderne i confini. Una pratica che mi ha dato modo di incontrare, molti anni dopo, quel Maestro Gentile di cui avevo letto molto.
È così che ci siamo trovati, in quella passione per la fenomenologia che era stata alla base di una trasformazione culturale di portata epocale e in cui Borgna non aveva mai smesso di credere, e che fino alla fine ha voluto rilanciare. L’incontro su queste tematiche è stato per me l’inizio di un dialogo prezioso, un dialogo di Cura. La sua per me, la mia per il suo Esserci. Un dialogo, il nostro, sulla sofferenza, e sulla temporalità, la stessa che a volte stralcia via la gioia dal cuore e nondimeno si fa mistero, ma che si può comprendere se si desidera darle ascolto.
Ma come si fa ad esserci sempre? Nelle notti buie di chi vive ai confini del tempo, con chi ha perso la strada del ritorno. Come si rimane in ascolto? Nei vicoli spenti di vite deserte, nel pianto silenzioso di un cuore che più non spera. Eppure nell’indicibile puoi stare in ascolto, nel fondere il tuo tempo a quello dell’altro, puoi esserci. Nell’abbandono di ogni giudizio e costrizione, puoi farlo. Così è successo di trovarci a scriverne insieme, della cura, con il desiderio di restituire un nuovo umanesimo alle generazioni di studenti, e una nuova speranza a chi soffre. Ho potuto legare la mia speranza alla sua, come quel “filo che sostiene”, sorretta da parole gentili, dalla stima e dal garbo che solo un Maestro Gentile sa offrire. Immensa la sua generosità, e nondimeno la sua attenzione per me di cui sarò sempre grata.
In molti, in questo momento di sconforto, parlano della bellezza della sua arte di medico e degli insegnamenti preziosi, come quello di non arretrare di fronte al dolore ma di incamminarsi in quella fatica, trovando nelle parole che curano e nei silenzi del cuore un modo per offrire riparo. Questo insegna l’opera di Eugenio Borgna, guida sicura per i tempi che verranno, ad esserci sempre per chi chiede qualcosa, offrendo quell’ascolto necessario per ciò che l’altro domanda, seppur nella indicibile sofferenza e nell’(im)possibilità dell’incontro. Questo il suo invito: guardare in quell’abisso profondo, con lo sguardo che sa riconoscere l’umana sofferenza come la propria, come “comunione di destino”, dove si incontra l’altro oltre la diagnosi e fuori dal giudizio.
Nell’Ospedale Psichiatrico di Novara, dove Borgna è stato prima Direttore e poi primario dei Servizi territoriali, ha portato la filosofia, la letteratura e la poesia, con le quali ha abitato il senso della vera Cura, ricordando l’importanza di queste ultime per imparare le emozioni, per quell’umanità ferita e non compresa, che invece si dovrebbe proteggere. I suoi testi preziosi rimangono una grande eredità a cui attingere, per ogni persona e per tutti coloro che vorranno occuparsi di Cura.
Un grande tra gli psichiatri italiani va via. La sua assenza lascia sospesi, come senza un padre, come se oggi finisse il mondo. Senz’altro si spegne una luce, ma non la speranza donata, la stessa che ho promesso di portare ovunque, insieme agli insegnamenti ricevuti, e alle parole gentili, affinché la sofferenza trovi sempre accoglienza, come si fa con una sorella ferita a cui non si può promettere una guarigione immediata, ma si può offrire la propria presenza, per una salvezza che sa di eterno. In tale possibilità ci si riconosce, e questo unisce chi rimane, stretti e attoniti di fronte al silenzio, in un vuoto che però è un tutto se si ha ancora una luce da seguire.