Due primavere fa il debutto sul palcoscenico di un gremitissimo Teatro sloveno a Trieste, nel frattempo il giro di mezza Italia, e adesso un libro. Per fissare su 152 pagine di carta, impreziosite dagli scatti a colori di Maurizio Conca, un evento che continua a sedurre. Come quasi sempre accade quando teatro, poesia e follia si intrecciano ad arte, con bravura, passione e padronanza del proprio mestiere. “La luce di dentro. Viva Franco Basaglia”, lo spettacolo teatrale messo in scena dal triestino Claudio Misculin e la sua Accademia della Follia con la regia di Giuliano Scabia, su un testo di Gianni Fenzi e le voci, i canti e gli strilli di altri testimoni tra cui Alda Merini, entra così tra le copertine di un libro omonimo.
Rilegato in brossura e uscito in questi giorni nella collana Altre Visioni della Titivillus Mostre Editoria/Teatrino dei Fondi di Corazzano in provincia di Pisa, il volume, del costo di 16 euro, è il prodotto di una scrittura a più mani, in quella dimensione corale e poliedrica che ha connotato la vicenda di cui narra. Accanto alla firma del curatore, Giuliano Scabia, vi sono quelle di Claudio Misculin, di Gianni Fenzi, di Peppe Dell’Acqua e di Federico Tiezzi, a tracciare ciascuno dal proprio singolare osservatorio le coordinate di quel percorso, umano e artistico, che da Marco Cavallo ha portato all’Accademia della Follia – come spiega il sottotitolo. Dopo il quale, concordano gli autori, nulla più sarebbe stato uguale a prima.
Avvincente l’esordio di Tiezzi che sigla l’introduzione al libro-mondo dove stiamo per avventurarci. Puntando i riflettori su un Giuliano Scabia «teatrante», che «come tutta quella genia si è messo in tasca l’infanzia per continuare a giocarci di nascosto svignandosela in altri territori: quelli della bellezza, quelli dell’immaginazione», ci dice subito che la cifra di quel mondo sono i «prodigi». Essendo l’arte del teatro il prodigioso «affrancamento dal convenzionale teatro della vita» con il compito di «disvelare la realtà».
Di quale realtà si tratti, lo scopriremo avanti. Dapprima in groppa ai “Cavalli di luce su sentiero” condotti da un sempre fascinoso cantastorie Scabia, e in seguito nella versione o comunicazione in prosa di un Peppe Dell’Acqua, che ha visto con i propri occhi, tuttora increduli, la follia e il teatro diventare “una cosa seria”. Quanto la cosa fosse e sia seria, infine, ce lo confermerà il capitolo, a cura di Cinzia Quintiliani, dedicato alla bio/teatrografia dell’Accademia della follia. A metterci il sigillo, il suo stesso creatore Claudio Misculin, con un istrionico, spettacolare, rocambolesco testo scritto a testa in giù, intitolato “Io sono tu che mi fai”. Inequivocabile nel riaffermare la figura di quell’«attore a rischio» che Misculin incarna senza mai stancarsi di gettarlo in pasto al pubblico.
Ma il lettore ingordo avrà anche altro di che deliziarsi e fare indigestione di stimoli e provocazioni. A cominciare dal testo di “La luce di dentro” stampato nella sua versione integrale, per finire con quell’avventuroso “passeggero a Trieste” che fu Gianni Fenzi e che ha dato il “la” all’orchestra tutta.
«Avevo conosciuto Fenzi allo Stabile di Genova, tanti anni fa», racconta Scabia. «Non sapevo che lui ci fosse stato all’uscita di Marco Cavallo. Non me n’ero accorto, c’era così tanta gente. È anche per questa strana coincidenza d’anima che ho accettato, con gioia, di curare, insieme a Misculin, la messa in scena e la drammaturgia del suo breve dramma. Penso che Gianni sia stato contento che sul suo testo ci sia stata una così bella avventura – e di essere risorto a Trieste, insieme al cavallo azzurro, nell’Accademia della Follia. Dalla luce di dentro siamo stati tutti illuminati. Questo è stato uno dei sentieri che ho percorso con la poesia e col teatro per cercare di capire il male della mente e la possibilità di avere gioia – qualche volta».
di Corallina