«Certo che l’ho colpito proprio bene…». Da solo, nella cella numero 4 del centro di osservazione neuropsichiatrica del carcere di San Vittore, Massimo Tartaglia legge, scrive e guarda la tv. E soprattutto, ripensa a quello che ha fatto. Sta abbastanza bene, Tartaglia, se non fosse per i fantasmi che ha nella testa. Anche per questo, i suoi legali ne hanno chiesto il ricovero in un ospedale psichiatrico, in attesa che sia disponibile un posto in una comunità terapeutica. Ecco il punto. L’aggressione al presidente del consiglio svela una situazione drammatica. Un singolo episodio. Il gesto di un uomo dal fragile equilibrio psichico. Ma probabilmente fomentato da qualcuno. Sicuramente facilmente plagiabile da gente abituata a fomentare la caccia all’avversario politico. Ma altrettanto pronta a nascondersi una volta accaduto il peggio.
E ad andarci di mezzo è magari una persona debole. Bisognosa di aiuto, più che di essere mandata allo sbaraglio. A Milano ci sono tra gli 8mila e i 9mila malati psichici gravi che non si curano e girano indisturbati per la città. Pericolosi per sé, ma anche per gli altri, e spesso armati di oggetti normalmente innocui, proprio come la miniatura del Duomo scagliata su Berlusconi o il ferro da stiro attaccato ad una corda e fatto roteare come un lazo, soprattutto davanti al viso delle persone anziane, da uno squilibrato che per diverso tempo ha circolato indisturbato in viale Padova. A tenere il conto di coloro che sfuggono alle terapie è il professor Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Psichiatria del Fatebenefratelli che censisce, invece, tra 16mila e 18mila le persone affette da una malattia mentale grave che seguono le terapie. «Troppi però – dichiara il professore – non si avvicinano alle strutture sanitarie o le abbandonano». Proprio come sarebbe accaduto a Massimo Tartaglia che per qualche anno, sino al 2003, è stato in cura nell’unità di psichiatria del Policlinico per poi rivolgersi ogni tanto alla dottoressa Lydia Miele, psichiatra, psicoterapeuta e professore a contratto del corso di laurea in tecnica della riabilitazione all’Università degli Studi.
C’è, quindi, una falla nell’attuale sistema psichiatrico. «Ancora molte persone, spesso giovani e sotto i 30 anni, restano chiuse in famiglia, non tengono conto della gravità del loro disturbo e rifiutano le cure» denuncia Stefania Susani, presidente dell’associazione Aiutiamoli. «Occorre investire sulla prevenzione – aggiunge – affidare alle associazioni l’ambito sociale della cura, collaborare con i dipartimenti di Neuropsichiatria infantile e con i servizi specifici per adolescenti, perché la malattia se è diagnosticata in tempo non diventa invalidante». È dello stesso parere anche il professor Mencacci. «C’è bisogno di più risorse – sottolinea – per la prevenzione e per essere più presenti sul territorio». Nel frattempo Milano si dota, nell’ambito del Progetto Clessidra realizzato da «Aiutiamoli» in collaborazione con il Fatebenefratelli, della terza struttura di «residenzialità leggera». Sta aprendo i battenti in via Procaccini un appartamento per quattro persone dove i pazienti sperimentano una vita autonoma, seguiti dagli operatori sociali. «Oggi i Servizi ospedalieri psichiatrici per la diagnosi e cura accolgono tutti i malati senza distinguere le esigenze delle singole patologie – lamenta infine Silvio Scarone, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera San Paolo – mancano posti letto per i pazienti gravi e occorre gestire con competenza le crisi in fase acuta e le emergenze psichiatriche».
Marisa de Moliner
tratto da: http://www.ilgiornale.it