Il testo è apparso su Studi sulla questione criminale online, la grafica di copertina è su gentile concessione di Luna Ledi Prestint
Si tratta di un gesto che richiede il coraggio di uscire dal proprio ruolo rassicurante e confrontarsi con la voce delle esperienze escluse e subalterne
È necessario attualizzare l’opera teorica e pratica di Franco Basaglia per usarla nuovamente come strumento critico nei confronti dello sguardo oggettivante della psichiatria, della funzione ideologica che essa esercita (fornire una giustificazione tecnica all’esclusione) e dell’effetto che da essa promana sulla società, per cui è sempre più difficile l’appropriazione delle esperienze soggettive e collettive e la possibilità di una loro lettura situata all’interno dei rapporti politici e sociali. Per questo serve un nuovo uso “critico” della storia di Franco Basaglia, che sia utile a scavare nelle contraddizioni dell’attualità e, quando necessario, condannare il presente, per analizzare il rapporto attuale tra scienza e società e per interrogarci sulle nostre forme di impegno politico.
Un uso critico della storia di Franco Basaglia
Partiamo da una domanda: nelle condizioni attuali, non rischierebbe anche il discorso di Franco Basaglia di essere liquidato come un negazionismo complottista? Se l’interlocutore che vuole porre oggi il discorso della “messa tra parentesi della malattia mentale” avesse lo spazio di argomentare le sue posizioni e, soprattutto, lo spazio di agibilità per praticare una innovazione istituzionale alternativa che mostri il “praticamente vero” delle tesi sostenute, potrebbe, nel campo dei diritti conquistati dalle lotte degli anni ’70, sopravvivere senza snaturarsi all’attuale conformazione della governance, contrattare uno spazio con le amministrazioni, tirare avanti nel complesso circuito dei finanziamenti destinati al socio-sanitario e al terzo settore, guadagnarsi le necessarie alleanze accademiche, fare ricorso ad un difficile confronto con l’azione collettiva?
Come scrive Davide Caselli nel suo recente Gli Esperti. Come studiarli e perchè[1], il miglior testo uscito negli ultimi anni sul problema dei competenti e della loro crisi di legittimazione,
il processo di critica e reinvenzione della scienza e delle professioni scientifiche operato da Basaglia e dalla sua équipe nel manicomio o da Oddone e dal suo collettivo nella fabbrica non avrebbero potuto svilupparsi senza una critica radicale del nesso tra l’istituzione specifica che volevano trasformare, le strategie dell’accumulazione capitalista dominanti e i processi di produzione e riproduzione dell’egemonia culturale. È attraverso il lavoro su questo nesso che le esperienze richiamate arrivano a connettere la scala micro delle regole che strutturano le loro interazioni con i pazienti e i cittadini secondo una specifica cultura e pratica professionale con la scala macro del funzionamento del sistema di produzione e del ruolo che questo assegna ai tecnici e agli esperti. L’expertise agisce e si riproduce su molte scale e su molti livelli contemporaneamente e lo sforzo che occorre per rendere visibile (e dunque discutibile e modificabile) questo lavoro è notevole.
Bisogna dunque tornare, come tecnici e come militanti, al gesto di Basaglia. Si tratta in primo luogo di cogliere «l’ubiquità dei processi di produzione e riproduzione istituzionale della realtà in cui gli esperti sono implicati»[2], a partire da noi che riflettiamo su questi temi e dobbiamo superare le forme di “falsa coscienza” e “malafede” che attraverso rassicuranti “ideologie di ricambio”[3] abbiamo usato per sopravvivere alla “sindrome istituzionale” della nostra esperienza universitaria (è Franco Basaglia a paragonare la carriera universitaria alla carriera morale del malato di mente nell’istituzione totale nel libro La nave che affonda[4]).
Dovremo fare la stessa operazione anche rispetto al nostro impegno da tecnici o da politici, nelle pubbliche amministrazioni o negli enti di terzo settore, nelle esperienze di militanza e di mutualismo, dove la nostra attenzione deve essere posta sul dato, ben espresso da Foucault, che «l’individuo è il prodotto del potere»[5], che quel prodotto potremmo essere proprio noi se non mettiamo costantemente in questione le conquiste formalizzate nei “diritti” e non ci poniamo come partecipi di una dimensione di inchiesta volta a produrre una nuova capacità di creare saperi e discorsi politicamente legittimi, che vengono dalla subalternità e sappiano mostrare direttamente la relazione tra la tossicità delle condizioni di vita, i malesseri esistenziali e le loro forme (o non forme, o forme negate) di esprimersi.
La “monumentalizzazione” di Franco Basaglia
Non si vuole con questo testo disconoscere l’importanza di chi tramanda oggi la figura di Franco Basaglia, avendone proseguito l’opera e la riflessione e dando continuità alle pratiche nate dalla sua esperienza. Bisogna tuttavia riconoscere che il mutamento dei rapporti di forza nella società, nella scienza e nella politica hanno fatto in modo che quella storia si tramandasse solo a costo di perderne qualcosa, di diventare un “monumento” la cui dirompenza è relegata nel passato, difficile da utilizzare nelle nostre lotte, nelle nostre interrogazioni e nella nostra sofferenza. Vediamo in Italia operare quella che Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio definiscono “monumentalizzazione”[6], l’utilizzo della storia che secondo Nietzsche fa chi «ha bisogno di esempi, maestri, consolatori e non riesce a trovarli fra i suoi compagni e nel presente»; ma a quest’uso della storia si accompagna l’insidia di una “impropria comparazione”, che sia «fatta entrare a forza l’individualità del passato in una forma generale» in cui ne risultano «attenuati tutti gli angoli acuti e spezzate le linee rette per il bene dell’accordo»[7].
Chi ha dovuto tenere vive fino ad oggi le conquiste realizzate nel periodo di lotte e sperimentazioni cha va dal 1961 al 1980 ha successivamente agito in un contesto di arretramento in cui la radicalità di quella storia rischiava costantemente di essere recuperata e diventare materiale inerte, schiacciato tra una vittoria legislativa difficile da applicare e l’isolamento quasi “esotico” dei territori e delle elaborazioni esemplari[8]. In questo contesto si è affermata una ricezione e trasmissione dell’opera e della teoria di Franco Basaglia esemplificata dalla tendenza ad identificare con il suo nome la legge 180\1978: una tradizione che ha legato la sua figura alla prestazione politico/amministrativa del superamento dello scandalo del manicomio e della realizzazione di buone pratiche psichiatriche alternative a esso. Nel frattempo quello che accadeva nel rapporto tra politica, scienza e società rendeva sempre più angusti gli spazi per esercitare pienamente l’originaria critica basagliana: la crisi delle grandi narrazioni politiche emancipatorie si risolveva definitivamente nell’orizzonte debole di un “capitalismo compassionevole” (di fronte a questo Maria Grazia Giannichedda riconosceva l’inadeguatezza dei governi di centro sinistra nel difendere e mettere a sistema le sperimentazioni anti-istituzionali[9]); i territori, già innervati dal tecnicismo amministrativo fin dagli anni ’70 (si veda a questo proposito l’esemplare difficoltà di Franco Basaglia a realizzare le sue sperimentazioni in Emilia: a Bologna, dove viene giudicato non idoneo alla direzione dell’Ospedale Psichiatrico, come ha recentemente raccontato Angelo Fioritti nel Ricordo personale di un grande che non ho mai conosciuto[10], e a Parma, dove, pur chiamato a dirigere l’Ospedale Psichiatrico di Colorno, si scontra con l’immobilismo dell’amministrazione[11]) diventavano definitivamente luoghi oggetto di valorizzazione competitiva; le scienze e le tecniche chiamate a dare la loro risposta ai bisogni sociali diventavano le tecnocrazie di una finanza globalizzata e, nel campo sociale, di una gestione “inclusiva” dei suoi scarti e delle sue frizioni attraverso il “new public management” e la sua “expertise”.
Per noi è oggi fondamentale invece evitare che la lotta anti-istituzionale venga sbrigativamente identificata con un momento di evoluzione progressista nella raffinatezza della sensibilità borghese, esaurito il quale, e solo grazie ad esso, vengono per decreto superati i lager del mal-trattamento psichiatrico, mentre la gestione della malattia mentale viene finalmente posta sotto l’alveo di una nuova capacità tecnico-amministrativa, compatibile con la cultura democratica. Il rischio è quello di una visione semplicistica che indica in Basaglia solo un umanista o un “filantropo” (l’espressione è di Benedetto Saraceno[12]) interessato al mero superamento dei manicomi, nascondendo tutta la sua riflessione sul mandato sociale della psichiatria e il suo legame con la produzione e riproduzione capitalistica, sul ruolo degli intellettuali nella società e sulle sfide che sempre si pongono nel rapporto tra politica ed esistenza collettiva e individuale.
La ricezione internazionale e il confronto con l’antipsichiatria
Interessante notare come questa immagine, che in Italia era utile a tenere salda la linea della riforma psichiatrica, corrisponda a un sostanziale rifiuto del valore scientifico dell’opera di Basaglia nei paesi anglosassoni e in generale nelle società più “stabili” dal punto di vista politico e istituzionale, dove a Basaglia si attribuisce un valore soprattutto “ideologico”, nel senso di “condizionato da un’eccessiva politicizzazione”, e come dice Benedetto Saraceno «genericamente associato all’antipsichiatria inglese» (Sul tema della ricezione è importante il confronto con il saggio di John Foot e Tom Burns recentemente uscito per la Oxford University Press, Basaglia’s International Legacy[13]).
Certamente esiste una differenza tra la «produzione alta di dissenso culturale, una sorta di avventura individuale e disperata e tutto sommato deconnessa da una più collettiva prassi di liberazione» che Benedetto Saraceno vede nella «impresa di Laing e Cooper, pur nella sua radicalità» e la «prassi di trasformazione collettiva con decisive implicazioni sulle scelte di sanità pubblica» della psichiatria anti-istituzionale. Ma decisivo ora è chiarire, con le parole di Silvia D’Autilia (in Dopo la 180. Critica della ragione psichiatrica[14]), che questa etichetta di “antipsichiatria” è stata
rilasciata frettolosamente da chi guardava con sospetto ai tentativi di distanziamento dall’ortodossia psichiatrica. In questi termini, c’è stata, c’è e continuerà ad esserci antipsichiatria ogni volta che la cura è stata, è e sarà scambiata per esercizio puro della sopraffazione e dell’emarginazione sociale: per questo tipo di amministratori del potere aleggerà sempre l’ossessione – è proprio il caso di dirlo – di vedere ovunque falsi profeti predicare una scienza antitetica alla loro.
Anche perché, come spiega bene Michel Foucault nei passaggi dedicati a Franco Basaglia e alle altre esperienze di rinnovamento psichiatrico dei suoi Corsi al Collège de France, si potrà «chiamare antipsichiatria ogni movimento grazie al quale la questione della verità sarà rimessa in gioco all’interno del rapporto tra il folle e lo psichiatra»[15].
In un ambiente culturalmente e politicamente ostile come quello anglosassone rivediamo agitare l’artefatto culturale della “antipsichiatria” nella lettura della vicenda storica di Franco Basaglia mentre, per gli stessi motivi, in Italia abbiamo quella “attenuazione” che oggi porta ad una essenzializzazione del concetto di anti-psichiatria, dimenticando che questo «bambino che non esiste» (l’espressione è di Franco Basaglia, intervistato sui 10 anni di esperienze “antipsichiatriche”[16]) è spesso un significante vuoto attribuito dai poteri dominanti ad ogni tentativo critico di mettere in discussione il funzionamento delle istituzioni.
Ponendoci su un piano diverso da quello su cui insiste la distinzione netta tra “basagliano” e “antipsichiatrico”, che il movimento ha dovuto tracciare per assestarsi sulla linea dell’applicazione della riforma, consapevoli delle differenze tra una visione astratta della psichiatria come un’agente meccanicamente repressivo contro la «quintessenza della libertà e della soggettività» (parole critiche di Robert Castel a proposito delle tesi “romantiche” sulla liberazione della follia[17]) e un’indagine genealogica e pratica del suo rapporto con la società, recuperiamo quindi ciò che in questo processo di monumentalizzazione scompare e viene reso inerte: il senso scientifico e politico del gesto di Franco Basaglia. In primo luogo esso è un gesto di rifiuto pratico e teorico del ruolo dell’intellettuale, dello scienziato, del militante politico d’avanguardia che persegue l’emancipazione dei subalterni dettando loro la “linea” e la verità sul mondo, per come questi ruoli sociali erano e sono predisposti nel contemporaneo.
[fine prima parte]
[1] Caselli, Davide; Gli Esperti. Come studiarli e perchè, Il Mulino, 2020
[2] Caselli, Davide; 2020
[3] “Falsa coscienza”, “malafede” e “ideologie di ricambio” sono temi ricorrenti in tutta l’opera di Franco Basaglia. Cfr Basaglia, Franco; Scritti, 1 e 2, Einaudi, 1981
[4] Basaglia, Franco; Ongaro Basaglia, Franca; Pirella, Agostino; Taverna, Salvatore; La nave che affonda, Raffello Cortina, 2008
[5] In Introduzione alla vita non fascista, Prefazione all’edizione americana de L’Anti-Edipo di Gilles Deleuze e Félix Guattari, 1977
[6] Colucci, Mario; Di Vittorio, Pierangelo; Franco Basaglia, Alpha Beta, 2020
[7] Nietzsche, Friederich Whilelm; Sull’utilità e il danno della storia per la vita, traduzione a cura di Monica Rimoldi, tratto da Contenuti digitali, in De Bartolomeo, Marcello; Magni, Vincenzo; a cura di; Storia della filosofia, Atlas, 2011
[8] Sulla chiusura degli spazi politici e il cambiamento del movimento esiste una letteratura sconfinata che arriva fino ai giorni nostri. Una prima riflessione sul tema si può trovare negli interventi di Franco Basaglia successivi all’approvazione della legge 180 in Basaglia, Franco; Scritti, 2, Einaudi, 1981 e in Venturini, Ernesto; a cura di; Il giardino dei gelsi. Dieci anni di antipsichiatria italiana, Einaudi, 1979
[9] Giannichedda, Maria Grazia; Atti del Convegno Strada facendo – Droga: la ricerca e la proposta. Torino, 20 – 21 – 22 settembre 2002 (Documentazione tratta da Narcomafie). Report tratto da ristretti.it/convegni/torino/index.htm consultato il 09/12/2020
[10] Fioritti, Angelo; Ricordo personale di un grande che non ho mai conosciuto, su Una certa idea di…Il blog dell’Istituzione Gian Franco Minguzzi https://unacertaideadi.altervista.org/2020/08/franco-basaglia-ricordo-personale-di-un-grande-che-non-ho-mai-incontrato/ consultato il 09/12/2020
[11] Cfr Gallio, Giovanna; a cura di; Basaglia a Colorno, Aut Aut n. 342/2009, Il Saggiatore
[12] Questa e le successive citazioni virgolettate sono tratte da Saraceno, Benedetto; Prefazione in D’Autilia, Silvia; Dopo la 180. Critica della ragione psichiatrica, Mimesis, 2020
[13] Burns, Tom; Foot, John; a cura di; Basaglia’s International Legacy: From Asylum to Community, Oxford University Press, 2020
[14] D’Autilia, Silvia; Dopo la 180. Critica della ragione psichiatrica, Mimesis, 2020
[15] Foucault, Michel; Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973 – 1974), Feltrinelli, 2004
[16] Basaglia e l’antipsichiatria https://www.youtube.com/watch?v=xFYX144BrV8 consultato il 09/12/2020
[17] Castel, Robert; Michel Foucault e le critiche della psichiatria: una lettura soggettiva, in Rivista sperimentale di Freniatria, VOL. CXXIX, N. 3, SUPPLEMENTO, 2005