di Manuela Perrone
Era il 2003 quando un gruppo di persone impegnato nel campo della salute mentale diede vita al Forum salute mentale: un laboratorio per il cambiamento delle istituzioni della psichiatria. Dieci anni dopo il Forum si ritrova a Roma per la settima assemblea, in corso oggi e domani al Centro Congressi Frentani. Obiettivo: riflettere su cosa è avvenuto da allora e sull’urgenza, ancora vivissima, di disegnare nuove prospettive. La base di partenza per la discussione è il documento fondativo del 2003, che il Forum ha ripubblicato a puntate sul suo sito in preparazione dell’incontro romano. «È un invito a fare il punto, trovare identità, progettare convergenze», spiega lo psichiatra Peppe Dell’Acqua. «Ma anche cercare, con onesta, vicinanze e accettare con consapevolezza le differenze e su queste lavorare con ancora più rigore».
«Tante questioni sono altrettanto attuali oggi», ha detto Giovanna Del Giudice, portavoce del Forum, introducendo i lavori dell’assemblea: «Prima: la contenzione e la violazione dei diritti umani, con la differenza che oggi il problema non è più sommerso ma è diventato evidente ai cittadini. Seconda: la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari, un punto per noi molto importante: come andrà a finire il percorso di smantellamento previsto dalla legge 9/2012 ci dirà dove siamo arrivati nel percorso di attuazione della 180. Perché supereremo gli Opg soltanto se avremo Servizi forti in grado di prendere in carico i pazienti autori di reato. Terza: i farmaci, perché esiste anche la contenzione farmacologica, promossa dalle lobby che costruiscono le patologie. Quarta: le condizioni dei soggetti vulnerabili (anziani, migranti, disabili)».
Il bilancio dei dieci anni appena trascorsi è in chiaroscuro. «La situazione è più arretrata del 2003, soprattutto a causa dell’impoverimento e dell’indebolimento dei Servizi di salute mentale», ha osservato Del Giudice. «Possiamo ancora parlare di Servizi di salute mentale o dobbiamo parlare di Servizi psichiatrici? Il paradigma farmacologico-clinico governa la maggior parte dei servizi italiani». E poi «c’è il silenzio assordante degli operatori, che si somma alla posizione della lobby degli psichiatri». Ma non manca qualche segnale positivo: «Io vedo persone che nella società fanno sentire la propria voce: studenti, specializzandi, cooperativisti, comunità. Per questo sono ottimista: mi sembrano indici di una ripresa possibile, come avvenne negli anni Settanta».
Giovanni Rossi, psichiatra dell’Osservatorio promozione salute mentale di Mantova e fondatore di Rete 180 (“la voce di chi sente le voci”) ha individuato sei parole chiave per leggere in controluce gli ultimi dieci anni. La prima è “psichiatra”: «L’Associazione mondiale degli psichiatri si interroga da tempo sulla possibilità che gli psichiatri siano una specie in via di estinzione, incapaci di diagnosticare le malattie, incapaci di dimostrare l’efficacia dei trattamenti, divisi in tante scuole in conflitto tra loro. Nel mondo sono 200mila, in profonda crisi di identità». La seconda parola è “legge”: «Per la prima volta – ha sottolineato Rossi – non abbiamo un pericolo concreto che la legge 180 venga messa in discussione. E possiamo addirittura immaginare leggi che aiutino la salute mentale, come quella sul reddito di cittadinanza». La terza parola è “lavoro”: «La crisi ha fatto franare uno dei concetti chiave della cultura egemone: quello di “schiavi volontari”, gli affiliati all’organizzazione per cui lavorano, che annulla la logica del conflitto e fa vincere il “pensiero unico”». La quarta parola è “comunicazione”: «Qui si sono registrati passi avanti notevoli: le psicoradio e trasmissioni come “La terra è blu” dieci anni fa non esistevano». La quinta parola è “guarigione”: «Quella personale è diversa da quella clinica. Come riorienta i Servizi il protagonismo delle persone con problemi? Come interagiscono? La sesta e ultima parola è “formazione”: «Gravemente inesistente. Le persone imparano nei Servizi, che però sono regrediti, come è regredita la psichiatria di comunità. Slow Food ha una sua università per l’alta formazione. Secondo me in Italia dovrebbe nascere una Scuola superiore di formazione per la salute mentale che rilasci diplomi e lauree».
A proposito di contenzione: Denise Amerini, della Fp Cgil, ha denunciato che i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura chiusi «costringono gli operatori a essere custodi, mentre attuare la 180 significa aprire gli Spdc e farli diventare luoghi di cura». In autunno il sindacato vuole promuovere una Conferenza nazionale del lavoro per la salute mentale proprio per rompere il silenzio degli operatori e favorire il confronto. «Il blocco delle assunzioni, il mancato turnover e le condizioni in cui si lavora creano demotivazione. Le lobby psichiatriche e farmaceutiche condizionano l’organizzazione del lavoro, decretando la supremazia degli psichiatri rispetto agli altri».
L’assemblea del Forum è un susseguirsi di testimonianze in cui si incrociano saperi, cultura e pratiche. L’antropologa Silvia Jop ha raccontato come nel blog “Il lavoro culturale” sia nata l’esigenza di raccogliere contributi sulla salute mentale per creare ponti tra aree e pratiche diverse. Il risultato è “Reparto agitati”, uno spazio di riflessione corale aperto alle testimonianze di operatori, psichiatri, familiari e reti. Sulla stessa lunghezza d’onda due anni fa a Siena è nato il progetto “sPazzi”, che punta alla mappatura dei manicomi abbandonati e delle loro ipotesi di riqualificazione attraverso un viaggio per l’Italia, assieme a Marco Cavallo (l’opera collettiva realizzata bel 1973 nel manicomio di Trieste, che è diventata il simbolo della battaglia di Basaglia per liberare i malati di mente dalla psichiatria “istituzionale” fondata sulla reclusione) , per raccogliere le nuove istanze e i nuovi desideri che abitano il presente.
L’idea si sposa e completa quella proposta dal Forum: un viaggio di Marco Cavallo con StopOpg in nove tappe, che dal 12 al 18 maggio toccherà i sei ospedali psichiatrici giudiziari più Brescia, Roma e Arezzo. Domani il Forum si concentrerà sul destino degli Opg. Con una posizione ferma: «Il ritardo nel superamento degli Opg è dovuto a una legge sbagliata, che prevede i “mini-Opg” regionali, aggravata dall’inerzia del Governo, e applicata male nelle parti relative alle dimissioni senza indugio degli attuali internati, per inadempienze delle Regioni e dei Dipartimenti di salute mentale». La controproposta di StopOpg, firmata da Stefano Cecconi, Giovanna Del Giudice e Francesca Moccia, è diversa: usare il budget previsto per i nuovi centri per potenziare i Servizi di salute mentale delle Asl. E dunque vincolare ogni decreto di rinvio a due impegni: priorità assoluta ai programmi regionali e delle Asl per ottenere i fondi previsti con destinazione vinvolata alle dimissioni di tutte le persone internate “in proroga” e all’esecuzione di misure di sicurezza alternative all’Opg; creare un’Authority Stato-Regioni per seguire e promuovere il processo di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
(da Sole 24ore Sanità)