Mi sembra che il discorso sui farmaci sia particolarmente impegnativo: penso infatti che un rapporto di “equilibrio” rispetto all’assunzione di farmaci, dei farmaci specificatamente mirati alla salute psico-fisica, o psichica tout court, risulti difficile da praticare.
Spesso le persone con esperienza di sofferenza mentale sono portate a negare il malessere, quindi a rifiutare l’aiuto dei farmaci; altre volte la dipendenza crea un bisogno continuo, eccessivo, di medicine e si può arrivare fino all’abuso.
Credo che molte persone possono capire e imparare molte cose dalla descrizione semplice, pulita, onesta, corretta e scientifica, che si diffonde sui principi attivi di farmaci, magari conosciuti solo per nome, e per questo temuti o abusati.
Mi sembra che a tutto questo sia sottesa l’idea che le medicine si devono usare con attenzione, sotto il controllo medico, e questo tanto più se si conoscono i loro benefici, che non escludono però eventuali controindicazioni. Quindi spiegare, far capire, da parte dei medici, le funzioni e i principi attivi delle medicine può essere un’azione utile che crea centralità nel dialogo/relazione tra medico e persona, e costruisce anche maggior fiducia e autocontrollo rispetto alla propria salute da parte delle persone stesse. La consapevolezza della ricerca della propria salute, di fare qualcosa di positivo per sé stessi assumendo anche farmaci, mi sembra utile quando, appunto, passa attraverso la conoscenza e l’apprendimento.
Anche il capire i “nomi scientifici” delle diverse patologie, ed il loro andamento, mi sembra un esercizio utile e democratico, quando si rivolge alle persone, in modo chiaro, in modo comprensibile. Il riuscire a “capire” costituisce già una parte del complesso percorso delle diverse esperienze di vita, soprattutto di quelle più difficili e/o dolorose.
Tutto il discorso punta a costruire un approccio di collaborazione con il medico, approccio finalizzato a servirsi di “mezzi” molteplici, diversi per raggiungere l’obiettivo “ben-essere”. La responsabilità è assunta tanto dai medici dei Centri di salute mentale, quanto dalle persone, che anche con le medicine, ma certamente non solo con le medicine, possono raggiungere uno stato di guarigione.
Infatti la prescrizione di farmaci non può costituire l’unica forma di cura che gli operatori mettono in campo per lenire, per risolvere le sofferenze delle persone con esperienza. Senza ombra di dubbio tutte le pratiche psico-sociali, l’individuazione e la risposta ai bisogni dei singoli sono indispensabili al raggiungimento dell’obiettivo salute mentale. Soprattutto una presa in carico orientata alla recovery, che stimoli e punti sul senso di responsabilità delle persone, che possono/devono anch’esse essere motivate a collaborare con i medici, gli operatori tutti, in una relazione terapeutica, volta al progressivo cambiamento e miglioramento. La relazione tecnico/paziente è fondamentale per costruire fiducia e base certa, in cui si inserisce anche la necessaria negoziazione nell’assunzione del farmaco, che deve essere dosato in forma minima, rispetto alla massima efficacia e non per sempre.
La guarigione psichica può essere una condizione di vita che dura per periodi più o meno lunghi o anche per sempre, ed è un traguardo che può essere raggiunto, non un’utopia: alla fine si può giungere anche allo stato di non assunzione di terapie farmacologiche.