Finito il lavoro della Commisione presieduta da Marino: “lacune, anche gravi, fino a situazioni di degrado”. Ma non è colpa della 180: “le normative vigenti offrirebbero sufficienti possibilità di attuazione ed organizzazione dei servizi come previsto dalla legge Basaglia. Manca volontà politica e capacità amministrativa.
Quando le leggi sono state applicate in modo compiuto, hanno dato origine a modelli di eccellenza, elogiati anche a livello internazionale. Il problema é che nella maggior parte dei casi vengono applicate in modo difforme tra una regione e l’altra. Il risultato sono interventi socio-sanitari carenti, come l’apertura solo diurna e a orari ridotti dei Centri di salute mentale (Csm), Servizi ospedalieri di diagnosi e cura (Spdc) chiusi e che diventano luoghi di contenzione. E queste sono solo alcune delle criticità evidenziate dalla Commissione d’inchiesta sul Ssn presieduta dal senatore Ignazio Marino, nella bozza di relazione conclusiva sui servizi italiani di salute mentale, ora all’esame finale della Commissione.
In Italia, quando si tratta di salute mentale, si legge nel documento, prevalgono “lacune, anche gravi, fino a situazioni di degrado”. Eppure le normative vigenti offrirebbero sufficienti possibilità di attuazione ed organizzazione dei servizi, attraverso la filosofia di cura territoriale, individualizzata e centrata sui luoghi di vita delle persone, come delineata già dalla legge Basaglia.
Ma la disapplicazione della legge nazionale a livello regionale, accusa la Commissione, non sempre è “correlabile ad impedimenti economici”, ma anche a “disimpegno politico o incapacità amministrativa”. Tra le criticità più evidenti emerse, c’é l’apertura solo diurna dei Csm, spesso per fasce orarie ridotte, con conseguente ricorso alla domanda di posto letto ospedalieri negli Spdc; l’esiguità di interventi territoriali individualizzati ed integrati con il sociale, spesso limitati a semplici visite ambulatoriali ogni 2-3 mesi per prescrizioni farmacologiche, e l’offerta di ricoveri in cliniche private convenzionate con il Ssn, accessibili anche senza coordinamento con i Csm, che rappresentano l’espansione di modelli di assistenza ospedaliera al di fuori della cultura territoriale dei progetti obiettivo e dei piani per la salute mentale post legge 180.
Inoltre la relazione evidenzia come negli Spdc gran parte della cura sia affidata solo alla psicofarmacologia e la qualità della vita dei ricoverati sia spesso limitata ai soli bisogni primari. Si tratta di reparti chiusi, non solo per i ricoverati, ma anche per le associazioni di familiari, gli utenti e il volontariato. Anche per i servizi di neuropsichiatria infantile si è verificata una carenza e difformità di presenza dei posti letto ospedalieri e dei servizi territoriali sul territorio, con difficoltà di integrazione con i Csm dell’età adulta per il disagio nell’adolescenza, nonché l’uso di fasce di contenzione in alcuni reparti neuropsichiatria.
Per migliore la situazione, la Commissione avanza alcune proposte d’intervento. Quello più importante é di prevenire il disagio, affidando ai Csm il coordinamento. Attraverso il collegamento con i servizi di neuropsichiatria infantile e attraverso politiche sociali si può concretizzare la capacità di intercettare le problematiche emergenti sul nascere, al fine di riducendo la prevalenza di malattia, disabilità e cronicità, da cui origina anche lo “stigma” di chi è sofferente. Inoltre gli interventi sanitari e sociali devono essere più integrati e individualizzati per contenuti e risorse, attraverso una revisione dei Lea e l’istituzione di Drg di percorso, in cui l’intervento sanitario e sociale possa non essere più omologato per tipologia di struttura: l’approccio integrato cioé deve tradursi in una valorizzazione e remunerazione economica dell’intero percorso di cura del paziente, superando il concetto di rimborso per singola prestazione o per diagnosi.
La Commissione pensa a programmi di cura psicosociale, in cui possano essere rappresentati e coordinati interventi ambulatoriali, domiciliari, residenziali e ospedalieri secondo le esigenze individuali. Un approccio che consentirebbe di riqualificare tutte quelle situazioni di residenzialità “pseudo-riabilitativa”, rilevate sul territorio nazionale, che non si pongono obiettivi temporali. E qualora occorresse, potrebbero essere implementati o istituiti posti letto accessibili sulle 24 ore nei Csm territoriali, per ridurre il ricorso all’ospedalizzazione.
Adele Lapertosa
(da Quotidiano Sanità.it)