La recente delibera del Consiglio Superiore della Magistratura sulle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (R.E.M.S. – Documento Finale del 12 novembre 2024) si distanzia fortemente dalle due precedenti del 19 aprile 2017 e del 24 settembre 2018, che prevedevano una visione di sistema di tipo evolutivo e la necessità di protocolli di collaborazione tra sanità e giustizia che sono stati alla base dello sviluppo di prassi ancora non generalizzate ma in molte realtà assai proficue. 

L’attuazione della legge 81/2014 richiede un grande sforzo da parte di tutte le istituzioni e un impegno alla collaborazione e reciproca comprensione da parte degli operatori sanitari, della giustizia, dell’amministrazione penitenziaria, degli Enti locali, le associazioni, gli utenti e i familiari. Resta fondamentale lavorare in questo spirito unitario, capace di dare prospettive a persone con disturbi mentali che hanno commesso reati. Credo sia comune la consapevolezza della difficoltà del compito, siamo il primo Paese senza Ospedali psichiatrici civili e giudiziari, e l’intenzione di evitare soluzioni semplicistiche basate su culture isolazioniste e abbandoniche fondate su pregiudizi, pericolosità e coercizione. 

Lascia perplessi che la delibera sia stata adottata senza un ampio processo di consultazione e visite alle diverse strutture e dipartimenti di salute mentale. Infatti, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) è stato sostituito dal sistema di welfare di comunità, sociale e sanitario di cui sono parte i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) al cui interno operano le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS).  

I modelli di REMS, pur tutti normati dal Decreto del Ministero della Salute del 2011, hanno assunto configurazioni diverse in relazione al DSM e alla Regione ove si sono sviluppate ed essendo di transizione hanno ereditato alcune prassi in vigore in OPG. Pertanto l’analisi del loro funzionamento deve essere contestuale a quello del sistema territoriale di riferimento aziendale e regionale. Lo stesso per quanto concerne le azioni di potenziamento o rimodulazione che hanno valore nella misura in cui sono contestuali e sinergiche.

Come noto la riforma non ha riguardato il doppio binario, né vi è stata una revisione della pericolosità sociale e delle misure di sicurezza, né si è giunti ad una riforma complessiva dei percorsi compresa la detenzione, per le persone autrici di reato ed un pieno riconoscimento di tutti i diritti penali e civili alle persone con disturbi psicosiciali.

A questo proposito nella recente Conferenza Nazionale sulla Salute Mentale sono state avanzate proposte molto interessanti e rimando al sito per la loro consultazione.

L’altro elemento importante è la mancanza di un’accurata analisi epidemiologica che è limitata ad alcuni dati relativi alla sola lista di attesa (per altro imprecisi) o facendo riferimento a dati pre-riforma. Se si fosse seguito questo metodo in psichiatria visto che i pazienti negli Ospedali Psichiatrici civili erano oltre centomila avremmo dovuto avere lo stesso numero di posti residenziali mentre in realtà gli attuali sono circa trentamila attuali. Quindi la stima del fabbisogno dipende dal metodo e dal modello di riferimento relativi alle normative e percorsi.

Purtroppo l’Osservatorio nazionale sul superamento dell’OPG è stato chiuso e mancano dati che dopo 10 anni dalla riforma dovrebbero essere fondamentali per un approccio scientifico: prima di altre proposte, occorrerebbe fare un bilancio sulle procedure e sugli esiti.  In questo quadro sarebbe utile che il Consiglio Superiore della Magistratura si esprimesse in materia di misure di sicurezza detentive provvisorie e definitive, sulla libertà vigilata, ma anche su utilizzo delle REMS, le condizioni della detenzione e il sovraffollamento negli istituti di pena, l’applicazione delle sentenze 99/2019, 22/2022 e 10/2024 della Corte Costituzionale, le proposte di numero chiuso in carcere, l’amnistia, l’indulto e forme di liberazione anticipata. Tutti questi correlano fortemente con la salute mentale e il benessere di ogni comunità.

In ogni ambito sono essenziali la collaborazione interistituzionale e l’assunzione di responsabilità rispetto a percorsi che devono essere unitari e sempre confrontarsi con il reale. A che punto siamo?

Da stime i Dipartimenti di Salute Mentale hanno in cura circa 7.000 persone con misure giudiziarie e circa il 70% di queste è ospite delle strutture residenziali. I pazienti seguiti dai DSM a livello nazionale sono circa 800 mila e quelli in residenze sono quasi 30 mila. Quindi i pazienti con misure giudiziarie rappresentano circa 1% dei pazienti in cura e il 15-20% degli ospiti delle residenze. Un dato di un certo rilievo che va visto tenendo conto del peso psicologico e il carico di lavoro degli operatori della sanità, nonché del peso economico (stimato in circa 360 milioni anno) per le Regioni. Pur con tutte le difficoltà sembra che un’alternativa all’OPG mediante il sistema di welfare di comunità sia possibile e l’uso delle residenze psichiatriche è già ampiamente in atto.

Al 31 dicembre 2023 erano attive 31 REMS con 577 pazienti (circa 10% dei pazienti con provvedimenti giudiziari in cura presso i DSM). Di questi 144 erano stranieri (il 25%) e 63 erano donne (l’11%), il 10% sono senza tetto. Le misure giudiziarie definitive sono poco più della metà (un 10% è seminfermo di mente e spesso ha già scontato una pena) e oltre il 35% è con misure provvisorie. Su questi dati occorre riflettere sia per migliorare il sistema (se le REMS fossero solo per misure definitive…) sia per la questione dei diritti (le persone straniere sono senza documenti, reddito e privi di servizi sociali di riferimento). 

La lista di attesa è concentrata in 4 regioni: Sicilia (209 persone pari a circa il 40%), Campania (93 pari al 17,6%), Lombardia 73 e Lazio 67. Insieme fanno oltre l’83% della lista complessiva. A queste si aggiunge la Calabria che non risulta nel sistema informativo SMOP.

“Delle 154 formali assegnazioni in REMS di persone di competenza delle regioni che hanno completato le attività di inserimento in lista di attesa (…), circa il 27% non potrebbe essere eseguito, anche in caso di immediata disponibilità di posti liberi, e circa il 42% dovrebbe essere prima interessato verso la possibile soluzione alternativa definita dai Servizi sanitari. Pertanto, nel rispetto dei principi della legge 81/2014, può stimarsi che solo il 32% dei presenti in lista di attesa avrebbe effettiva necessità di accoglienza in una REMS” (Rapporto Antigone 2024, p. 240). Se poi andiamo a vedere come vengono applicate le misure troviamo che la Regione Lazio vede un rapporto persone detenute/persone con misure di comunità di 1,36 contro una media nazionale di 0,7. Calabria è 1,12 e Campania 1,04. 

Il numero di persone in libertà vigilata è passata da 2031 del 2011 a 4.839 del 2023. Anche qui si notano differenze regionali: a fronte di una media nazionale di misure di sicurezza di 6,8 per 100 mila ab/anno, la Regione Lazio è a 4,3, Toscana 4,8.  

Se si va a vedere la dotazione di posti REMS questa è più elevata della media nazionale proprio nelle Regioni che hanno la maggiore lista di attesa. Segno che questa sembra l’esito di una prassi complessiva (più misure detentive provvisorie, meno libertà vigilata, utilizzo improprio delle REMS per persone con psicopatia) e pertanto occorre lavorare per promuovere l’appropriatezza sia giudiziaria che psichiatrica. 

Le persone detenute “sine titulo” secondo i dati del 2023, erano 42 scese a 26 a fine 2024, in larga parte con misure di sicurezza detentive provvisorie. Con un’adeguata collaborazione tra giustizia e sanità è necessario e possibile prevenire queste situazioni sia per evitare la violazioni di diritti che i procedimenti della CEDU.

Quindi la situazione delle diverse regioni è assai diversificata e dovrebbe essere oggetto di un’accurata analisi. Di questa andrebbe tenuto conto prima di promuovere grandi strutture nazionali (le c.d. UVAP con 80 posti una per nord, centro e sud) per funzioni valutative che possono essere effettuate a livello regionale o di DSM. L’ apertura di nuove REMS va visto all’esito delle analisi nelle singole regioni e può essere ragionevole ad esempio per Sicilia occidentale, Umbria, o per superare il sistema polimodulare di Castiglione delle Stiviere in Lombardia. In molte regioni non serve e si potrebbero incentivare percorsi di superamento e riconversione delle REMS anche mediante progetti con Budget di Salute, alloggio, formazione e lavoro.

Occorrerebbe anche dare attuazione all’accordo Stato Regioni del 28 nov. 2022 che prevedeva la costituzione dei PUR, i protocolli e nuovi criteri per la gestione della lista di attesa. 

Prima di investire denaro pubblico per creare nuove REMS (per fare 700 posti occorrono circa 500 milioni di euro per le strutture e una spesa di gestione annuale intorno ai 130 milioni) anche perché come noto se si aumentano solo i posti e non si modificano i percorsi il problema in breve tempo si ripropone. Né le REMS sono la via per affrontare i problemi delle persone detenuti, imputabili e con disturbi mentali e/o uso di sostanze. 

L’elemento più critico della delibera è quello di riportare la gestione e la responsabilità della REMS nell’ambito della giustizia, riducendo la psichiatria a mera esecutrice. Una proposta che, a mio avviso, mina alla base le possibilità di cura in favore di un esplicitato mandato custodiale. La creazione di REMS ad alta sicurezza e nazionali o macroregionali crea un vallo profondo con servizi territoriali che renderà ancor più difficili i programmi di dimissione e di reinserimento sociale. 

Credo che un impianto del genere sia assai poco funzionale e anche scarsamente attrattivo per i professionisti della salute mentale già ora molto poco motivati a lavorare in ambito giudiziario. Senza un’analisi delle condizioni di lavoro non si avrà attrattività per i professionisti, né possono bastare concorsi specifici. I professionisti hanno bisogno di adeguate retribuzioni, di preparazione e soprattutto di sicurezze compresa quella di non dover rispondere della “posizione di garanzia” che va sostituita dal “privilegio terapeutico”.

In tema di collaborazione interistituzionale si potrebbe valutare il coinvolgimento delle forze dell’ordine (e della stessa polizia penitenziaria) in sostituzione dei servizi di vigilanza privata pagati dai DSM.  Anche per quanto attiene l’adeguamento tecnico-scientifico delle perizie ai fini di migliorare l’appropriatezza occorre una riflessione sull’intero sistema nelle quali esse si inseriscono e servono nuove forme nuove (perizie di equipe, secondo parere, ecc,) ed affrontare temi quali la formazione congiunta… fino all’adeguatezza delle parcelle e tempi di pagamento. 

Un’ultima annotazione sul linguaggio in vigore: internati, internamento, minorati non sono più adeguati.  Auspicarne il superamento è doveroso. 

La delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, può essere l’occasione per un dibattito ampio, partecipato e approfondito. Credo infine che un metodo di analisi più completo e articolato a livello regionale, possa portare a conclusioni diverse, preservando il mandato di cura e l’obiettivo del bene comune.