di Massimo Cozza
1 marzo 2022
20 milioni di euro quando per la salute mentale servirebbero 2 miliardi e 300 milioni. Il bonus non è la strada giusta
Alla fine il “bonus psicologo” è arrivato nel Milleproproghe approvato dal Parlamento, con due diverse progettualità contenute nello stesso emendamento finale, una tesa al potenziamento del servizio pubblico, l’altra di natura privatistica rispondente alla politica del voucher, con un impegno economico complessivo quasi simbolico. Al di là dell’enfasi mediatica e politica, rispetto ai 50 milioni bocciati nella Legge di Bilancio, vengono stanziati 20 milioni di euro, dei quali 10 destinati ad assunzioni per i servizi di salute mentale delle ASL, con un segnale positivo per il SSN, ed altri 10 per il vero e proprio “bonus psicologo”, che potrà riguardare una platea molto ristretta di circa 16mila cittadini, da regolamentare con successivo decreto interministeriale.
Viene chiamato “bonus psicologo” ma in realtà potrà essere utilizzato anche presso psichiatri o neuropsichiatri infantili. La norma, infatti, prevede che i cittadini tramite il bonus possano recarsi dagli specialisti iscritti all’albo degli psicoterapeuti, ai quali accedono, previa specifica formazione, sia psicologi che medici.
Dal punto vista delle risorse, per spiegare la loro esiguità, basti pensare che si tratta di 20 milioni a fronte della carenza per la tutela della salute mentale in Italia di circa 2 miliardi e 300 milioni. Cifre che si possono facilmente desumere anche dalla lettura della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 2022 relativa alle problematiche delle liste di attesa per le Rems (Residenze per le misure di sicurezza). La Corte, infatti, evidenzia una spesa percentuale per la salute mentale regredita al 2,9% del fondo sanitario nazionale, a fronte dell’impegno storico del 5% assunto dagli stessi presidenti delle Regioni nel lontano 2001, mai raggiunto.
Il “bonus psicologo” è stato comunque rivendicato come un successo da parte di tutte le forze politiche, ma appare più come un effetto illusorio, che non rappresenta la strada giusta per affrontare la grave problematica del disagio psichico, peggiorato con la pandemia. La strada privatistica dei bonus può essere appropriata per l’acquisto di una merce, di un’auto o di un televisore, e non può che portare ad un ulteriore impoverimento del servizio pubblico, a danno di chi non può permettersi di recarsi nel privato.
La drammatica esperienza della pandemia ha dimostrato come la rete sanitaria pubblica, al di là delle criticità, abbia comunque dimostrato il valore inestimabile del servizio sanitario nazionale. A nessuno è stata chiesta al pronto soccorso la carta di credito, e giustamente nessuno ha pensato all’istituzione del “bonus virologo”. Anche per la salute mentale e per la stessa psicoterapia, già ricompresa nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, va percorsa la strada del diritto alla salute, con pari dignità di quella fisica, attraverso il SSN a tutela dell’appropriatezza e di tutti i cittadini, a partire dai meno abbienti. Per queste ragioni gli interventi della politica per la salute mentale non possono più limitarsi a progetti spot per alcune patologie, dall’autismo ai disturbi del comportamento alimentare, ovvero al “bonus psicologo”.
Partendo dal PNRR e dalla prossima ridefinizione dei requisiti e degli standard dei servizi territoriali è l’ora che la politica decida di investire realmente per la tutela della salute mentale, con progettualità e risorse finanziare vincolate per il servizio pubblico, da definire nella prossima Legge di Bilancio, senza bisogno di petizioni. Una nuova dimenticanza sarebbe imperdonabile.