di Silvia D’Autilia
Risale al 17 maggio di 27 anni fa la decisione di eliminare l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) redatta dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Si tratta di una decisione che agita il clima culturale e sociale dell’Occidente dal ’68 agli anni ’90.
Le contestazioni iniziano con la pubblicazione del secondo DSM (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders), datato appunto 1968, dove, sotto l’influenza estrema della psicoanalisi, l’omosessualità era annoverata tra le deviazioni sessuali.
Da subito gli omosessuali contestarono il fatto. Il cuore delle proteste si fa tuttavia coincidere col maggio 1970[1], quando il congresso dell’APA (American Psychiatric Association) a San Francisco fu fortemente turbato dalle associazioni gay che pretendevano il ritiro dell’omosessualità dal rango delle malattie mentali.
A partire da quel momento le sorti dell’APA si trovavano strette tra due morse: da una parte le leggi della psicoanalisi e dall’altra la ribellione degli omossessuali.
Accadde poi che durante un congresso dell’APA a Dallas nel 1972, un professore di psichiatria della Temple University di Philadelphia, preservando l’anonimato col volto mascherato per timore di ripercussioni professionali, confessò all’aula la sua omosessualità, trovandosi così nella paradossale condizione di medico delle malattie mentali/malato di omosessualità.
Spiccò nel pieno delle criticità la figura di Robert Spitzer, che operò da mediatore tra i due fronti, promuovendo ripetuti incontri tra psichiatri e rappresentanti delle associazioni omosessuali. Spitzer elaborò la seguente proposta: non ritenere più l’omosessualità una malattia mentale, ma un’irregolarità della condotta sessuale, lasciandola tuttavia nella lista delle deviazioni sessuali.
Nel dicembre 1973, il consiglio di amministrazione dell’APA votò all’unanimità il ritiro dell’omosessualità, ponendo al suo posto la diagnosi di “perturbazione dell’orientamento sessuale”. Si precisò che la perturbazione dell’orientamento sessuale si distingue dall’omosessualità non rappresentando di per sé una malattia mentale in senso stretto.[2]
Il compromesso raggiunto comunque non placò del tutto le agitazioni delle organizzazioni che continuarono a lottare per quasi altri 20 anni per togliere all’omosessualità lo statuto patologico stesso.
Sarà solo nel 1990 che questo traguardo verrà raggiunto con l’eliminazione definitiva dell’omosessualità dalla classificazione statistica ed epidemiologica delle malattie prodotta dall’Oms.
[1] Nel giugno dello stesso anno sarà organizzato il primo Gay Pride sulla 5th Avenue e nella Christopher Street.
[2] Cfr. M. Minard, La validità delle diagnosi psichiatriche. Dalla battaglia degli omosessuali alla lotta dei veterani, aut aut, 357, ilSaggiatore, Milano, 2013, pp.113-126.
1 Comment
In America ed è impreciso su omofobia egodistonica, terapie riparative e nota WPA 2016.
Ma noi viviamo in Italia e questo quindi non ha nessun valore!
Parlare di omofobia sanitaria anche sarebbe utile, questo è solo un pessimo copia incolla.