Ricordo di un fecondo incontro con il padre della psichiatria democratica italiana.
C’è un legame assai interessante fra l’esperienza di Franco Basaglia e la realtà culturale fiorentina più aperta alle grandi trasformazioni degli anni ’60. La fiction C’era una volta la città dei matti per chi ha vissuto il ’68 è stata come un tuffo in quell’immenso crogiolo di esperienze innovative, sogni e speranze che ha trovato a Firenze un protagonismo non marginale. E’ bene che i giovani siano resi per quanto possibile consapevoli dei legami profondi fra le varie realtà che si fondevano in quel crogiolo. Basaglia non era affatto un profeta isolato. E la liberazione dei pazzi era strettamente legata al sogno e ai tentativi di liberazione della società intera da ogni forma di alienazione attraverso la rete delle relazioni: la comunità liberante. Dal 19 al 21 aprile 1968 il gruppo di Basaglia è a Firenze per partecipare a un Convegno internazionale di psichiatria. E’ in pieno svolgimento l’esperienza di apertura del manicomio di Gorizia ed è in stampa il volume L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico. A Firenze s’incontrano con altri psichiatri provenienti da diversi paesi del mondo che aderiscono alla corrente definita antipsichiatria. Nell’ambito del Convegno sono isolati ed hanno poco spazio. Ma non sono affatto isolati nella società. Lo sanno e sentono il bisogno di aprirsi al territorio. Per suggerimento del gruppo fiorentino l’Astrolabio vengono all’Isolotto che in quel momento è sulla cresta dell’onda. Chiedono di incontrarsi con la popolazione in mobilitazione permanente. Ci si trova alle “baracche” della Comunità in via degli Aceri e si organizza una sorta di contro-convegno. L’incontro si svolge il 24 dicembre con una partecipazione impressionante. Viene compilato un documento-mozione da presentare alla riunione conclusiva del Convegno ufficiale da parte degli psichiatri alternativi insieme a una delegazione della Comunità dell’Isolotto. Nel documento, conservato nell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto, viene annunciato “un rapporto permanente, nello spirito dell’apertura goriziana, tra l’Ospedale psichiatrico fiorentino e alcuni quartieri più vivi della città”. La cosa si realizzò poi fedelmente. Si costituì infatti presso la Comunità dell’Isolotto un “Gruppo contro l’emarginazione” composto da psichiatri, infermieri, psicologi, insegnanti, cittadini diversamente abili, che favorì la chiusura delle scuole speciali per handicappati fisici e psichici e l’inserimento degli stessi nella scuola di tutti. All’Isolotto e non solo, quello spirito di antiemarginazione e di integrazione fra “diversi come noi” non si è più spento, nonostante le drammatiche involuzioni, ed è vivo tutt’ora come proiezione coerente ed organica.
La scena finale della fiction si svolge su un molo del porto di Trieste dove un uomo con la schiena rottagli in un manicomio criminale sta per suicidarsi ed è salvato da un compagno che lo invita a fare un giro in motocicletta. E’ la metafora di una società intera. Su quella moto eravamo tutti noi diversamente pazzi, era l’intera società che ha fatto un giro di giostra liberatorio. Si ricomincia sempre da capo? Chi la spunterà: la violenza della città-manicomio o la tenerezza del pazzo di turno che libera l’altro mentre libera se stesso perché “insieme si può”? Ai giovani di oggi tocca scegliere.
di Enzo Mazzi, da la Repubblica Firenze, 13 febbraio 2010