Trieste, Parco San Giovanni: 22, 23 e 24 giugno 2011
Continua il percorso di “Impazzire si può”, giunto quest’anno alla seconda edizione. Un cammino compiuto da persone con esperienza diretta del disagio mentale che porti dalla consapevolezza al protagonismo. Un viaggio compiuto insieme agli operatori, professionali e volontari, ai familiari e a quanti attraversano i territori della salute mentale, dei diritti e delle diversità.
Lo scorso anno sono stati molti i contributi che hanno fatto luce sui meccanismi che favoriscono la consapevolezza, la partecipazione e, infine, la guarigione. O, viceversa, su quelli che limitano, escludono e che sono incapaci di uscire dall’arcaica, quanto purtroppo diffusa, dialettica tra farmaco e contenzione, in una logica che continua a vedere la malattia negando la presenza delle persone sulla scena.
Nell’ultimo decennio sono state sempre più numerose le testimonianze delle persone con l’esperienza che hanno trovato il coraggio e l’opportunità di raccontarsi facendo emergere con chiarezza che non si possono sviluppare percorsi di guarigione senza l’aiuto di buoni servizi e di contesti capaci di sviluppare e garantire diritti, dignità e rispetto delle differenze.
Quest’anno proponiamo incontri che mettano in relazione la salute mentale le scelte amministrative, culturali, etiche ed economiche con il lavoro, con la cooperazione sociale, col fare testimonianza, col narrare, con l’informazione.
Il nostro viaggio inizierà esplorando la dimensione del racconto, della narrazione, della scrittura nei valori della consapevolezza, del confronto e della testimonianza. Ognuno è la sua storia. Narrarsi è riappropriarsi, riprendersi , rivedere il proprio futuro
I percorsi di guarigione, tanto singolari che molteplici, contengono un elemento comune: la costruzione di identità differenti che aiutano ad allontanare l’identità piatta della malattia mentale. Il lavoro, la formazione sono strumenti che possono sostenere nel tempo la persistenza nella dimensione sociale. È economicamente vantaggioso per la società favorire l’inserimento lavorativo delle persone con l’esperienza del disagio mentale e intanto si continuano a mettere in atto scelte di assistenzialismo e non di inclusione sociale
Di questo parleremo e vorremmo scambiare esperienze e progetti.
Un’altra tappa del viaggio riguarderà la Carta di Trieste, il codice etico per gli operatori dell’informazione che promuove un linguaggio più attento nei confronti della dignità delle persone che affrontano l’esperienza del disagio mentale. Chi vive questa esperienza, anche la più difficile da dire, resta una persona, un individuo, un cittadino. Non son più tollerabili le parole stigmatizzanti e perfino offensive di tanti giornali e altri mezzi di comunicazione
La Carta, presentata a Trieste lo scorso anno, è stata approvata dalla Federazione Nazionale della Stampa e sta per essere adottata dall’Ordine dei Giornalisti che ne farà materia di studio per gli esami di ammissione all’Ordine.
Le persone che vivono l’esperienza, ne abbiamo avuto certezze in ragione degli scambi e dei confronti avvenuti lo scorso anno, denunciano differenze non più tollerabili tra le diverse Regioni e, nell’ambito delle diverse Regioni, tra i diversi dipartimenti. Affronteremo questo tema cercando di comprendere cosa siano i servizi orientati alla guarigione. Ci porremo la domanda: “Perché se le leggi sono le stesse, le possibilità sono così diverse?”. La legge per la salute mentale ha segnato un forte punto di svolta sul piano istituzionale e normativo ma soprattutto ha definito una scelta di campo etica che ha restituito alle persone con l’esperienza il pieno diritto costituzionale.
Tuttavia sono intollerabili i ritardi e le differenze che si registrano sul piano della gestione e delle politiche regionali.
Nel secondo incontro di “Impazzire si può” vogliamo collegare le consapevolezze emerse in una rete di persone e associazioni che acquisti sempre più forza per dare impulso al miglioramento della qualità dei servizi e che conduca alla possibilità di rappresentanza formale negli ambiti delle aziende sanitarie locali, presso gli enti locali, nelle politiche per la salute e per la cittadinanza.
L’incontro si svolgerà sempre in assemblea generale, una sorta di continuazione dell’assemblea goriziana, dove esperti per esperienza ed esperti per professione troveranno spazio, tempo e motivazioni per confrontarsi.
Buon cammino a tutti.
P.S.: a giorni pubblicheremo il programma più dettagliato del convegno che, comunque, esplorerà i quattro grandi temi delineati nel documento: la narrazione, i servizi per la guarigione, il lavoro, la Carta di Trieste.
Attendiamo al più presto le vostre adesioni. Sarà gradita anche una breve descrizione degli interventi che avete intenzione di effettuare per organizzare i tempi in modo che tutti abbiano il loro spazio.
I nostri riferimenti sono:
e.mail: forumsegreteria@yahoo.it
telefono: 040 3997353
2 Comments
avete scritto: “Il lavoro, la formazione sono vissuti come strumenti che possono sostenere nel tempo la persistenza nella dimensione sociale. Di questo parleremo e vorremmo scambiare esperienze e progetti.”
Nel mio commento a “ACCETTA LA DIFFERENZA, NON L’INDIFFERENZA”,
PROPOSTA
Ho letto con molta attenzione e con molta commozione due interventi: quello di Giovanna Milanesi (“Accetta la differenza, non l’indifferenza”) e quello di Chiara (“Una ‘border’ che lavora? Ma quando mai?”).
E vorrei concentrarmi su un tema comune ad entrambe, che è quello del lavoro.
Chiara, di cui nel luogo di lavoro non conoscono il suo “disturbo di personalità borderline”, ha un lavoro non precario, che a volte teme di perdere perché “ciò che è personale deve rimanere fuori dalle mura del negozio” (…). “Sei ansiosa? È un problema tuo, qui stai lavorando”.
Chiara chiede tutela, riconoscimento, garanzie: “Sarebbe bello che riuscissi a farcela, che non gettassi via anche questo lavoro e che ci si rendesse conto che è una conquista per tutti riconoscere umanamente le debolezze, comprenderle per superarle”.
Anche Giovanna, che ha la sindrome di Asperger, si sente, come tanti, esclusa, “anche chi come me, ha la forma ritenuta più ‘leggera’, perché ha “enormi problemi a trovare e soprattutto conservare un lavoro e ad avere una vita sociale che permetta un minimo di scambio”.
Giovanna lavora in una cooperativa sociale, e dice di essere stata perciò fortunata, ma riceve continuamente e.mail di genitori che non trovano il modo di inserire i figli al lavoro.
Anche Giovanna chiede tutela e riconoscimento del fondamentale diritto al lavoro per tutti.
Occorre, aggiunge, un cambiamento: “l’unico modo per noi per integrarci è che il mondo accetti la nostra differenza”. Cioè che cambi il mondo!
Il mondo del lavoro come può cambiare? Qual è il soggetto rappresentativo delegato alla tutela del lavoro di donne e uomini in qualsiasi condizione essi si trovino? Il sindacato, certamente. Ma quanto il sindacato, attraverso la sua attività fondamentale, la contrattazione, è davvero rappresentativo anche di questi lavoratori?
Qualche riflessione.
Per quanto riguarda il diritto al lavoro dei disabili, la legge n. 68 del 1999 ha lo scopo di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. In particolare, l’art. 2 ha una formulazione molto ampia e contiene l’indicazione di interventi per l’inserimento del disabile e di azioni positive per la soluzione dei problemi. Al di là, quindi dei presupposti consistenti negli obblighi di assunzione e delle previste agevolazioni sia in forma fiscale e contributiva, sia in forma di rimborsi. Sembrerebbe che la legge 68 abbia introdotto un sistema piuttosto avanzato, ma sappiamo che raramente trova effettiva e concreta applicazione, soprattutto per coloro che, secondo la lettera della legge «sono affetti da un grave handicap mentale o psichico».
Allora mi sembra necessario fare un’ulteriore considerazione sul ruolo che potrebbe avere il sindacato nei luoghi di lavoro: già la stessa previsione di legge potrebbe dare argomenti alle RSU, titolari del potere contrattuale aziendale, per proporre di stipulare accordi per l’attuazione delle assunzioni obbligatorie, previa predisposizione delle «azioni positive» previste dall’art. 2 della legge. Ma ancora maggiori possibilità contrattuali possono trovarsi nella contrattazione aziendale, risultati ulteriori quando vengono aperti spazi significativi dalla contrattazione nazionale, nei cui accordi possono trovare definizione alcuni principi e linee strategiche di intervento, che predispongono gli strumenti per la specifica contrattazione aziendale. Mi riferisco, qui, alla formulazione contrattuale, già presente in molti CCNL, della responsabilità sociale d’impresa.
Ed è proprio questa norma contrattuale generale che può dare spazi significativi alla contrattazione aziendale che può ben riguardare anche più ampie prospettive di effettivo inserimento dei disabili.
Norme di legge e norme contrattuali, quindi, per promuovere contrattazione di inserimento anche per coloro che soffrono di disagio mentale, con un progetto personale di accompagnamento, in cui siano coinvolti sia il personale sanitario delle strutture pubbliche, sia le rappresentanze sindacali aziendali, sia i colleghi di lavoro.
Perché, come dice Giovanna, anche il mondo del lavoro riconosca la differenza.
Tutta la normativa legislativa e contrattuale può essere la base per proporre “progetti di vita” cioè non progetti di cura, che appartengono ad altre competenze, ma progetti di inserimento lavorativo, che significa, appunto, laddove possibile, predisporre anche le condizioni ambientali e culturali per l’accoglimento e l’integrazione dei soggetti tutelati.
Giovanna conclude: “E allora…forum, perché non mi aiuti…dacci voce, dai voce alla popolazione autistica, troppo a lungo confinata in una fittizia irrecuperabilità, perché non ci aiuti a dire che noi vogliamo partecipare ma che possiamo farlo solo se la società accetta di cambiare.
Il Forum lo farà?
Sarà possibile un’iniziativa di scambio di idee, di dibattito, di ricerca di soluzioni concrete anche nel mondo del lavoro?
La mia proposta è che si preveda, nel programma del Forum, un momento di riflessione, nelle forme che l’organizzazione riterrà attuabili, per iniziare a dare una risposta a Chiara e a Giovanna.
Manlio Talamo