Ne I bambini di Asperger. La scoperta dell’autismo nella Vienna nazista (Marsilio Editori, 2018) l’autrice, Edith Scheffer, storica di professione e mamma di un bambino autistico, ripercorre la storia della pediatria a Vienna negli anni Trenta e Quaranta. Il volume è interessante per i medici, per i pediatri perché segue l’evoluzione della pediatria e della neuropsichiatria infantile, in funzione del mutare dei governi.
Asperger lavora come pediatra a Vienna durante il periodo nazista. L’espulsione di tanti medici ebrei (tra cui Anna Weiss) lascia via libera a lui ed ad altri pediatri e neuropsichiatri nazisti. Dopo la prima guerra mondiale alcuni pediatri umanisti come Lazar e von Pirquet avevano concepito la cura del bambino come un intervento sociale, rendendosi conto che alla alimentazione e all’igiene dovevano associare l’educazione. Avevano così inventato la “pedagogia curativa” e concepito una rete di assistenti sociali che individuavano nel territorio i bambini più poveri o deboli per offrire percorsi di cura mirati. Questo sistema di welfare col cambiare del governo e dei medici che lo avevano concepito si rivelò una tragica trappola.
La diagnosi delle situazioni psichiche di autismo che noi definiamo Asperger fu fatta tra i primi da Anna Weiss, sempre a Vienna, che li descriveva con toni empatici: “nei bambini come Gottfried che risultano a prima vista strani ed originali si possono riscontrare dei talenti speciali che, anche se di entità limitata, spesso vanno oltre le capacità dell’uomo medio”. Insistere su questi tratti positivi potrebbe aiutarli a sentirsi realizzati nel corso della vita “esperti di date, risoluzione di puzzle, artisti della memoria, dotati di grande assiduità ed affidabilità, bravi nell’ordine e nella classificazione”.
Asperger utilizza gli studi di Weiss e del dottor Tramer, che lo precedettero, ma invece di porsi il problema della realizzazione individuale di questi bambini è spinto, dalla nuova cultura dominante, a porsi il problema della loro utilità sociale, affermando, nel 1944, che molti di loro “avevano interessi bizzarri senza alcuna utilità pratica, difficili da integrare nel Volk, nella comunità, nel popolo”, caro al nazismo.
Le testimonianze ed i documenti gettano una luce inquietante sulla figura di Asperger e sulla sua sinistra frenesia di “classificare” i bambini “asociali”. Asperger ed i suoi colleghi, classificando i bambini diversi e proponendo il loro ricovero, decisero consapevolmente quali vite fossero indegne di essere vissute. Nello Spiegelgrund, la clinica pediatrica di Vienna, venne realizzato, tra il 1939 ed il 1945, il noto programma di eutanasia infantile.
L’autrice ha accesso alle cartelle cliniche dello Spiegelgrund e racconta le storie di tante piccole vittime, descrive le diagnosi, i trattamenti, le modalità con cui sono stati condotti alla morte. In molti casi “mancano le diagnosi”: almeno il 70% dei minori uccisi non avevano invalidità fisiche degne di nota. I medici formulavano giudizi soggettivi su presunte “ridotte abilità cognitive”. Quasi tutti i bambini morti allo Spiegelgrund avevano ricevuto vaghe diagnosi di “imbecillità”, al 10% non era stato diagnosticato niente di specifico.
Quanto emerso dalle cartelle, dalle testimonianze dei sopravvissuti e dai documenti getta una nuova luce sul dottor Asperger, sulle sue diagnosi di “psicopatologia autistica” e sul suo sinistro atteggiamento classificativo. La sua adesione all’ideologia nazista fu alla base del suo successo professionale, della sua precoce nomina a primario e del destino dei suoi bambini.
Dopo la guerra questa diagnosi fu infatti considerata con inquietudine dai medici tedeschi e non più utilizzata finché fu riproposta nel 1981 da una psichiatra inglese. Asperger comunque continuò a lavorare come molti altri medici austriaci e tedeschi, le cui responsabilità vennero riconosciute molto lentamente negli anni con l’apertura di tutti gli archivi.
L’autrice si domanda: in che misura una diagnosi è prodotto di una determinata società?
Forse, come propone il DSM V, sarebbe il momento di parlare di diverse forme di autismo e togliere dagli onori della nostra pratica clinica il nome di Asperger.
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