Schedati, perseguitati, sterminati: malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo
Di Allegra Carboni
A Udine a Palazzo Valvasson Morpurgo fino al 31 marzo una mostra che restituisce dignità alle oltre 200 mila persone vittime dell’eugenetica da regime e della complicità di medici e personale amministrativoTra il 20 novembre 1945 e il 1° ottobre 1946 a Norimberga, città simbolo della Germania nazionalsocialista, i Paesi alleati istituirono un Tribunale Militare Internazionale per processare tutti i capi superstiti del regime nazista, accusati di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Nello stesso palazzo di Giustizia il 9 dicembre 1946 iniziò un processo contro ventitré ufficiali nazisti, di cui venti medici. Il cosiddetto Processo dei Dottori si concluse il 20 agosto 1947 con un verdetto di colpevolezza per sedici imputati, sette dei quali furono condannati a morte. Tra di loro vi erano Karl Brandt, medico curante di Hitler e suo delegato per il programma eutanasia, e Victor Brack, direttore dell’Ufficio II della Cancelleria di Hitler, entrambi condannati a morte e giustiziati nel 1948.
Ospitata a Udine a Palazzo Valvasson Morpurgo fino al 31 marzo 2019, la mostra Schedati, perseguitati, sterminati: malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo, a cura della Società Tedesca di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica (DGPPN), nella versione italiana resa possibile grazie al supporto di Netforpp Europa, vuole far luce su ciò che ha reso possibile gli omicidi di massa di malati psichici e disabili, considerati un peso per il popolo tedesco. Dal 1934, infatti, oltre 400 mila persone furono sterilizzate contro la loro volontà e più di 200 mila furono assassinate, il tutto sotto la diretta responsabilità di psichiatri, neurologi, pediatri, infermieri e personale amministrativo, che per lo più restarono impuniti e mantennero i loro posti di lavoro nella Germania postbellica. Tra di essi vengono ricordati, per esempio, il dottor Werner Catel, pediatra e perito della Commissione per il rilevamento scientifico di malattie ereditarie e congenite gravi, il dottor Julius Hallervorden, neuroscienziato che partecipò agli studi autoptici condotti sulle vittime presso l’Istituto Kaiser Wilhelm per la ricerca sul cervello, o ancora i dottori Friedrich Mauz, Friedrich Mennecke, Friedrich Panse e Kurt Pohlisch, tutti psichiatri e periti dell’operazione T4.
Le politiche di igiene razziale si basavano sulle nascenti teorie eugenetiche, secondo le quali era necessario esercitare un controllo sulla riproduzione degli individui per impedire il deterioramento genetico della nazione e per potenziare l’evoluzione del genere umano. All’eugenetica si affiancava la convinzione che la vita umana avesse un valore, spesso direttamente proporzionale all’utilità del singolo per l’intera collettività. Sulla base di tali teorie, gli Uffici sanitari pubblici condussero un’indagine sul patrimonio ereditario, per la quale vennero raccolte informazioni sui cittadini ed effettuate perizie e conseguentemente formulate richieste di sterilizzazione forzata. Ciò comportò la schedatura della maggior parte dei pazienti ricoverati e dei loro parenti.
Nel 1933 l’approvazione della Legge per la prevenzione di prole affetta da malattie ereditarie comportò la sterilizzazione forzata di circa 400 mila persone di entrambi i sessi, di cui circa 5 mila morirono a causa dell’intervento. Gli omicidi di malati psichici e disabili iniziarono nel gennaio 1940 con l’uccisione di oltre 70 mila persone nelle camere a gas, e proseguirono nel 1942, quando molte altre trovarono la morte per inedia o avvelenamento o a causa dello stato di abbandono nel quale venivano sistematicamente lasciate. Almeno 5 mila bambini e adolescenti, inoltre, persero la vita nei Reparti speciali di pediatria. I massacri e le sterilizzazioni forzate vennero pianificate nel quartier generale dell’operazione, situato a Berlino in Tiergartenstraße 4, via e numero civico da cui deriva l’abbreviazione T4.
L’unico ordine di uccidere conosciuto, firmato ufficialmente da Hitler, recita: «Il Reichsleiter Bouhler e il Dr. Med. Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da Loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia». Tale documento costituì il fondamento amministrativo degli omicidi per eutanasia. Almeno quarantatré medici, soprattutto psichiatri e neurologi, collaborarono spontaneamente agli omicidi in qualità di periti, attività che svolgevano parallelamente alla loro regolare professione e che veniva remunerata in base al numero di moduli valutati.
All’interno della mostra vengono raccontate, ancora, le storie di alcune delle centinaia di migliaia di vittime. Magdalene Maier-Leibnitz, ad esempio, nacque nel 1916 e in adolescenza frequentò il collegio di Salem, dove cominciò a soffrire di gravi oscillazioni dell’umore; alcuni anni dopo, all’Ospedale di Tubinga, le fu diagnosticata la schizofrenia. Nel 1938 fu ricoverata in una clinica privata a Kennenburg e in seguito trasferita al centro di Hadamar, dove fu uccisa il 22 aprile 1941. Ai suoi genitori venne recapitata una lettera di condoglianze: «Siamo spiacenti di informarvi che vostra figlia, la signorina Magdalene Maier-Leibnitz, recentemente trasferita presso il nostro istituto a seguito di un ordine ministeriale, è morta all’improvviso a causa di un’emorragia polmonare provocata da tubercolosi polmonare. In conformità alle disposizioni di legge, la polizia locale ha disposto l’immediata cremazione del corpo e la sterilizzazione dei suoi effetti personali». Le segreterie dei centri di uccisione dell’Operazione T4, infatti, spedivano alle famiglie delle vittime notifiche simili, contenenti informazioni per lo più false: la causa e le circostanze della morte venivano scelte arbitrariamente dai medici, così come il nome del medico firmatario e spesso anche il luogo e la data del decesso.
Irma Sperling, invece, settima di dieci figli, all’età di tre anni fu ricoverata presso l’Ospedale pediatrico di Rothenburgsort. Secondo il referto dell’Ufficio sanitario era una «bambina rachitica, sottosviluppata e debole di mente, con episodi di irrequietezza e agitazione». Irma fu ricoverata all’Ospedale psichiatrico di Alsterdorf e dieci anni dopo fu trasferita, assieme ad altri 227 pazienti, all’Ospedale psichiatrico Wagner von Jauregg e poi al Reparto speciale di pediatriaAm Spiegelgrund, dove morì l’8 gennaio 1944, all’età di tredici anni, uccisa da un sovradosaggio di narcotici. Negli anni Ottanta Antje Kosemund, fratello di Irma, indagò su quanto era accaduto alla sorella: fu tra i primi parenti delle vittime dell’Operazione T4 a rompere il silenzio, e riuscì anche a dare sepoltura ad un preparato anatomico di Irma conservato all’Ospedale psichiatrico Baumgartnerhöhe di Vienna.
Dopo il 1945 le vittime della sterilizzazione forzata, i sopravvissuti ai centri di uccisione e i familiari dei pazienti assassinati ricevettero scarso sostegno e solo a partire dagli anni Ottanta iniziò a prendere forma una commemorazione pubblica delle vittime. Come affermato da Frank Schneider, Direttore della Clinica di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica dell’Università di Aquisgrana e Past President DGPPN, la realizzazione della mostra ha permesso alla società psichiatrica precorritrice della DGPPN di rielaborare i crimini del nazionalsocialismo di cui si è resa partecipe, assumendosi la responsabilità storica di studiare e affrontare il proprio passato, cercando di restituire alle vittime «piccoli tasselli della dignità umana di cui sono state private».