Dicono che Franco Mastrogiovanni non era uno normale. Dicono che già alla nascita pesava più di cinque chili e misurava oltre sessanta centimetri. Da bambino, anche se non abbiamo notizie circostanziate, si dice che avesse un po’ troppi grilli per la testa. Da adolescente, poi, manifestò del tutto la sua anormalità iniziando ben presto a professarsi anarchico. Ma Lombroso ce l’ha insegnato, con la sua ineguagliata tassonomia (nessun altro li ha descritti così bene): l’anarchico non è uno normale!
Ora, è ovvio che, in contumacia, non lo possiamo desumere che tipo di anarchico fosse il Mastrogiovanni, se un anarchico pazzo, come Giovanni Passannante, o un anarchico criminale, come Ravachol, o un anarchico passionario, come Sante Geronimo Caserio, la testa calda che pugnalò il fegato di Sadi Carnot con un coltellino dal manico rosso e nero. Ecco, forse potrebbe rassomigliare, per il fisico epilettoide, per le mani gigantesche e per un carattere forse gliscroide che l’avrà reso precocemente ossesso per l’anarchia e i tiranni, e per quella sua faccia buona, forse Mastrogiovanni potrebbe rassomigliare proprio al Caserio, non certo al tipo più pericoloso di questa categoria, non certo all’anarchico anarchico: il tipo Bresci. No, come Gaetano Bresci, l’uccisore di re, proprio no.
Ora, quest’uomo cresce in eccesso. Cresce in altezza, che sarebbe il male minore, seppure supera, non ancora sedicenne, addirittura il metro e novanta. Ma proporzionalmente alla statura gli cresce pure quel sentimento pernicioso detto iperestesia. Perché, chiarisce il Lombroso, questo è il sentimento patologico che rende anarchico un anarchico: l’iperestesia. Ovvero un eccesso d’onestà.
Dunque, quest’uomo si fissa con una strana storia di cinque calabresi uccisi in un incidente stradale due anni prima. Perché pure quei cinque erano anormali come lui. Deliranti, gente che si faceva erronee convinzioni nella testa e voleva dimostrare al mondo che aveva ragione. Quei cinque indagavano su un treno deragliato dalle parti di Gioia Tauro. E dove sarebbe il fatto straordinario? I treni deragliano, delle volte. Invece quei cinque sostenevano di avere le prove che il deragliamento non era stato accidentale. Ma guarda caso pure la loro macchina, sull’autostrada del sole, all’altezza della villa di un fascista, tale Valerio Borghese, pure la loro macchina impazzisce, e si scontra col TIR di un camionista, pure lui un fascista (altra coincidenza).
Il Mastrogiovanni un giorno stava passeggiando sul lungomare di Salerno, e discorreva con due amici, e si stavano dicendo proprio questo, che non poteva essere normale quell’incidente d’autostrada capitato a quei cinque, due anni prima. Quando ecco due giovani fascisti gli si parano davanti. Ora, se il Mastrogiovanni fosse stato normale, non si sarebbe fatto trovare, in giro, di sera, in compagnia di quei due, e se fosse stato normale, alto come tutti un metro e settanta, non avrebbe preso la coltellata alla gamba, perché i fascisti magari lo avrebbero preso solo a pugni, invece a un bestione alto più di un metro e novanta lo devi per forza accoltellare, anche se lo puoi infilzare solo a una gamba, perché più sopra non ci arrivi.
Uno così alto, poi, se tu carabiniere lo arresti, perché nella colluttazione il fascista col coltello è morto, lo devi per forza trattare male, perché ha tutte le caratteristiche del mostro, deforme, omicida, e non deve passarla liscia. Se poi un giudice lo assolve, il gigante rimane sempre il complice di un assassino, resta sempre lombrosianamente anarchico, e non smetterà mai d’essere un pericolo per la società.
Se poi il Mastrogiovanni inizia a ricevere telefonate minatorie, minacce, dispetti, uno normale non ci darebbe importanza, perché saprebbe di essere nel giusto, di essere innocente. Invece il Mastrogiovanni scappa. Emigra. Va al nord. Dove, non essendo conosciuto, si ricicla come insegnante elementare! Ma i gendarmi campani informano i colleghi bergamaschi che l’insegnante elementare gigantesco è un noto sovversivo, forse omicida, per cui iniziano a tenerlo d’occhio anche al nord.
Finché, quarantacinquenne, si risolve a tornarsene al sud, al suo paese, si pensava che si fossero scordati di lui. E invece si ricordavano benissimo. D’altra parte, bisogna pur tutelarla la società dal pericolo di uno come lui. Dunque un giorno riceve una multa, e lui mica abbozza, come ogni normale cittadino, no, osa protestare, forse manda perfino al diavolo un vigile. E che dovevano fare con un recidivo? Non dovevano arrestarlo? Lui ovviamente (ovviamente per uno non normale, perché qualunque altro cittadino avrebbe indossato le manette con civiltà, tranquillo della sua innocenza) si oppone. Dicono perfino che viene picchiato dagli agenti. Finisce agli arresti domiciliari. Dove chi viene incaricato di controllare la sua permanenza a domicilio sono gli stessi gendarmi che l’hanno picchiato.
A questo punto raggiunge lo zenit della sua abnorme esistenza: inizia a sentirsi perseguitato. Da chi? Dagli uomini in divisa. Pare che appena ne incrocia uno cambi strada. E (forse) inizia a prendere dei farmaci, perché se sei un paranoico non puoi fare a meno dei farmaci.
Sul finire del luglio 2009, chissà in che stato alterato si trovava, riesce a tamponare ben quattro macchine di fila. Come avrà fatto, visto che la sua auto è illesa, non si sa. Due medici si decidono a fargli il Trattamento Sanitario Obbligatorio, uno lo propone, l’altro lo convalida, lo inviano al sindaco del luogo, e il sindaco non s’interroga, lui che è la massima autorità sanitaria locale, se quel provvedimento di ricovero coatto è giusto oppure no, e non lo fa perché nei paesi le persone si conoscono tutte, in una grande città poteva pure sfuggirgli, ma lì al paese si sapeva benissimo che Franco Mastrogiovanni è nato e cresciuto, e morirà, anormale, e allora il sindaco non impugna il TSO, ma convoca i vigili urbani, e per sicurezza, essendo il Mastrogiovanni un noto pericolosissimo sovvertitore, forse omicida, per troppo tempo a pie’ libero, chiama pure una dozzina di carabinieri.
Ora, uno normale, vedendo arrivare questo esercito di tutori dell’ordine si consegnerebbe fiducioso alle loro cure, ma, come ho avuto modo di spiegare, il Mastrogiovanni non è normale, perciò fugge. E la cosa più bislacca è che la fuga si conclude a mare, per cui il sindaco cos’altro poteva fare se non allertare una motovedetta, che molto solertemente fa allontanare i bagnanti, avvertendoli sono impegnati in una caccia all’uomo?
Dispiace più che altro per quei due o tre fanciulli che sono in spiaggia con i genitori e i nonni, che a un certo punto vedono il loro maestro gigantesco, a pancia sotto, schiacciato da venti persone, faccia a terra, ammanettato, portato in ospedale, solo per loro dispiace.
La prova decisiva che non è normale è che quando lo portano in ospedale, e lo legano mani e piedi (lo legano per il suo bene, anche se lui dorme tranquillo), e non gli danno da mangiare per paura che si strozzi, lui dopo soli quattro giorni di contenzione decide di sua sponte di morire, cosa che di solito non accade con gli altri legati, e dire che se ne legano a migliaia negli ospedali italiani. E come mai nessuno è mai morto e Franco Mastrogiovanni sì? Perché non era normale. Ecco perché.
Non era normale. E c’è chi è sicuro che l’ha fatto apposta a morire, perché nella sua camera c’erano le telecamere a circuito chiuso che registravano tutto, e lui voleva metterli nei guai, e la sua è stata una morte politica, una specie di suicidio altruistico, un sacrificio fatto in nome di tutti i malati legati del mondo, per mettere nei guai quei poveri medici infermieri sindaci e gendarmi lillipuziani, l’ha fatto apposta a morire, questa specie di Gulliver maledetto.
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Una settimana fa ho ricoverato un gigante. Ancora più alto del povero maestro di Vallo della Lucania. A occhio e croce più di due metri. Due giorni dopo è stato legato.
Ieri il povero gigante buono mi ha fatto una tenerezza. Viene da me, guardandomi dalla sommità di quei due metri di smarrimento, e mi dice: dottore, lo sa che mi hanno tenuto tre giorni legato a letto? Lo so gigante, lo so. Ma io l’avevo visto solo in televisione, mi fa, nel film La ragazza che giocava col fuoco, non credevo che queste cose capitassero davvero. Lo so gigante, lo so. E’ che tu sei troppo gigante, e quando volevi uscire da questa porta chiusa si sono messi paura, e il nostro psichiatra codardo ha pensato che era meglio tenerti legato. Veramente, non gli ho detto proprio così. Gli ho detto: vedi, io ti avevo ricoverato, ed era andato tutto bene, ti eri fidato, avevi preso un po’ di gocce ed eri andato a letto. Poi però ti sei svegliato di notte, e di nuovo volevi andar via, ma avevi le voci che ti dicevano di ucciderti, e non potevi andar via. Allora si son messi di santa pazienza il medico e soprattutto quell’infermiere napoletano (ma non tutti hanno la sua pazienza, specialmente di notte) e dopo due ore ti ha convinto a tornare a letto, e tu te ne sei andato a dormire. Ma quando il pomeriggio successivo hai detto di nuovo che te ne volevi andare e hai preso a sbattere sulla porta chiusa, lì ci voleva di nuovo quell’infermiere paziente, invece c’erano quelli che tutta questa pazienza non ce l’hanno, e hanno chiamato il medico, ma pure lui era tanto impegnato, stava in stanza a leggere, ed è uscito svogliato e rotto di scatole, perché la tua non collaborazione lo ha distratto dalla sua meditazione, e allora ha deciso che non si poteva fare altro che legarti, perché tu eri allucinato e le voci ti dicevano di ucciderti. No, di nuovo non ho detto così. Ho detto: guarda, chi ti ha legato non l’ha fatto perché è sadico, o perché ti voleva male, ma perché in quel momento non si poteva far altro … ho mentito al posto del mio collega.
Povero gigante buono, che non sai che essere due metri ti fa rischiare più di un normolineo, di essere legato. E considerati fortunato che non hai fatto la fine di quell’altro gigante, il disgraziato maestro di Vallo della Lucania.
La realtà, gigante, è che siamo commessi. Siamo meri esecutori dei crimini in tempo di pace. Perché fuori facciamo i comunisti, i progressisti, ci iscriviamo ad Amnesty International, votiamo Sinistra Ecologia e Libertà piuttosto che il Partito Democratico, compriamo la Repubblica, il manifesto, L’unità o Il fatto quotidiano, siamo contro i leghisti che vogliono gli stranieri fora da le bal. Ma quando siamo con il camice, dentro al nostro ospedale, dentro al nostro reparto psichiatrico, diventiamo carnefici come il potere ci vuole. E leghiamo la gente. E la chiudiamo dentro. E la sorvegliamo e la puniamo. Fora da le bal allo strano, al diverso, all’alienato. Nella nostra pratica professionale non siamo più comunisti, progressisti, democratici, tolleranti, ma perfetti fascisti.
(estratto da La fabbrica della cura mentale, elèuthera 2013)