Jacopo Santambrogio ha visitato gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) italiani con la fotografa Caterina Clerici in un momento unico e irripetibile. Si è trovato a progettare il suo viaggio mentre gli Opg erano ancora in vita, sebbene in preda ad una agonia irrefrenabile, e ha pubblicato il libro quando ormai questi istituti avevano definitivamente cessato la loro funzione. Forse il titolo, Gli intravisti, che certamente allude all’invisibilità degli internati e comunque da sempre dei malati di mente e alla fatica che Jacopo ha dovuto fare per guadagnare un piccolo margine di conoscenza, sembra anche segnare questo particolare passaggio: Jacopo, giovane ed entusiasta psichiatra, è riuscito a “intravedere” queste secolari istituzioni e quasi inconsapevolmente lasciare una testimonianza che, non faccio fatica a pensare, assumerà ancora più valore nel corso del tempo. Anche la modalità di osservazione, sia degli istituti che degli internati, come pure il lessico e il ricorso (rassicurante!) alle parole della clinica, collocano il testo su questa linea temporale di demarcazione. Jacopo è consapevole che sta osservando gli ultimi giorni di una straordinaria utopia, senza dubbio la più tetragona e inaccessibile costruzione della prepotenza del positivismo scientifico, e tuttavia non può sottrarsi alla scoperta quasi timorosa di quanto resta degli internati che sono riusciti, malgrado tutto, a mettere in salvo brandelli della loro incomprimibile umanità, della loro storia, ora tragica, ora semplicemente eccentrica, della loro singolarità. È ciò che Jacopo intravede, o che riesce a ricostruire attraverso i relitti affioranti. Di fronte a questa esperienza, a questa immersione, non può sottrarsi al desiderio di narrare. E tuttavia restando su quella linea di confine, quasi che la narrazione lo allontanasse dalle salde certezze della psichiatria, non può fare a meno di ricorrere, e rincorrere, le terminologie psichiatriche.
Il suo lavoro è stato letto da Eugenio Borgna, che gli ha donato, direi come al solito, una intensa prefazione.
Peppe Dell’Acqua
Il saggio raccoglie diciotto storie raccontate in prima persona da pazienti internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) italiani poco prima della chiusura di queste istituzioni totali. Il paziente autore di reato pone una serie di interrogativi circa la malattia mentale in se stessa, le sue origini, i fattori connessi al suo esordio (quali le sostanze), la diagnosi differenziale, i percorsi trattamentali (di ambito farmacologico e riabilitativo), il rapporto malattia-reato, gli aspetti culturali che possono influenzare gli esiti della cura. Tali questioni, affrontate grazie al contributo narrativo dei pazienti incontrati negli anni 2013-14, conducono l’autore a un’ampia riflessione sulle tematiche emergenti nella psichiatria di oggi e sul passaggio alle attuali Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Le problematiche non si sono esaurite con la chiusura degli Opg ma sono a tutt’oggi aperte e possono aiutare il clinico così come il lettore ad approfondire i grandi temi inerenti la psichiatria. Prefazioni di Eugenio Borgna e Massimo Clerici.
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