Video estratto da Mi manda RaiTre: Un uomo viene ricoverato il 31 luglio 2009 allospedale di Vallo della Lucania in seguito a una richiesta di trattamento sanitario obbligatorio. Entra con le sue gambe, viene legato a un letto e muore dopo quattro giorni. La procura rinvia a giudizio medici e infermieri del reparto.
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Che dolore, mi invade come un fiume, non posso sostenerlo senza la speranza di riuscire a far qualcosa.
Non ci si può “abituare” a contenere, a lasciare che esseri umani vengano resi degli oggetti, privati del movimento.
Interroghiamo le autorità civili, è anche loro la responsabilità, non solo medica. Che ci stanno a fare se firmano i TSO comunque.. perché i medici li prescrivono, perché i famigliari non reggono, perché non si riesce a guardare alla sofferenza con occhi “normali”, come una sofferenza, un percorso di vita da sostenere, non “risolvere”, a risolvere ci deve poter pensare il sofferente, sostenuto da una società “civile”.
C’è una società civile che ignora, cui non appartengono questi temi, che ritiene di essere “democratica”, ma non lo è, si limita a delegare agli esperti, ai medici, al personale sanitario, al loro buon cuore e senso civico.. e se non c’è una forte coscienza civica, delle esperienze di cura “normali”, non contenitive, ma partecipative, un senso di umanità che trovi insostenibile sia la perdita di movimento autonomo che l’abbandono sociale delle persone.. diventa inevitabile arretrare, contenere, abbruttirsi ed abbruttire la condizione umana.
Ho di recente partecipato al Congresso del mio Sindacato fino al livello nazionale (per la mia categoria) e ho sentito la necessità di rinominare le parole “sofferenza mentale, i luoghi della vita del sofferente, l’istituzionalizzazione di anziani, bimbi, disabili ecc.” Queste parole erano assenti, i documenti congressuali parlavano solo di “rette” e quindi si riferivano a luoghi istituzionalizzanti e senza nominare i protagonisti. Dobbiamo riparlare di protagonismo delle persone, promuovere la voce parlante e pubblica dei sofferenti, la testimonianza del loro percorsi di vita, della guarigione, dell’equilibrio possibile.
Programmare nei Piani di Zona socio-sanitari dei Comuni luoghi di vita “civili”
Non voglio dimenticare di nominare e ringraziare Franca e Franco Basaglia, questi santi laici. Chi è andato in crisi per sofferenza mentale dopo la 180 ha potuto sperimentare percorsi di vita non sempre contenitivi, privativi, prima della 180 c’era solo privazione di libertà.