“Nei momenti di sofferenza ci sembra che il buio debba durare in eterno, ma non è così. L’inverno si trasformerà sicuramente in primavera, perché non esiste un inverno senza fine. Chi ha sofferto di più, sarà capace di comprendere meglio il cuore umano. Chi ha provato più dolore, sarà più sensibile nei confronti degli altri”.DaisakuIkeda.
Cos’è sano e cos’è normale? Cosa è giusto e cosa è sbagliato? Cosa è bene e cosa è male?
Noi non siamo esseri duali. In noi esiste tutto l’universo, non ci manca nulla. Noi siamo liberi anche se incatenati, abbiamo una libertà di scelta e di movimento pressoché infinita, noi siamo parte della società e la società è parte di noi.
A dirlo è una persona incatenata, un matto, un uomo che nel 2002 è entrato portato a forza in un Centro di Salute Mentale. A dirlo è una persona che non voleva essere aiutata, che rifiutava la cura, l’aiuto.
Eppure ero lucido nei miei pensieri distorti, c’era perfetta coerenza in quello che dicevo di provare. Tutto era coerente, ero illuminato dalla luce della verità. Avevo scritto un libro molto lungo, volevo cambiare il mondo, cambiare la società, cambiare la storia.
Poi mi dissero: “prendi questa pillola, ti farà stare meglio”. Ma io non volevo la pillola, stavo bene, ero convinto che tutti ce l’avessero con me, che tutti complottassero alle mie spalle. Tutti: parenti, amici, operatori. Io non volevo mollare, la pillola proprio non voleva andare giù. Ero convinto che volessero cambiare il mio pensiero, che volessero manipolarmi. Ricordo mia madre in lacrime che mi disse: “Te lo giuro, non vogliamo cambiare il tuo pensiero, ti prego prendi la pillola”.
Non ricordo bene, ma alla fine acconsentii. Iniziò un viaggio che mi ha condotto fino ad adesso.
Ora so che il farmaco deriva dal greco Pharmakon che significa “veleno”. Ma so anche che il buddismo mi insegna che è possibile trasformare il veleno in medicina. Ma se la medicina è il farmaco allora torniamo al veleno?
Non credo.
Credo che il più grande veleno sia il pregiudizio, credere ed essere convinti di avere ragione. Credo che dal pregiudizio nascano le più grandi incomprensioni. Malintesi che possono condurre alla guerra. Ma il pregiudizio, la certezza di avere ragione, ha prima di tutto conseguenze nefaste nelle nostre vite. Un proverbio dice, “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”; nello sport si dice che negli allenamenti “non bisogna abituarsi all’errore”.
Nella vita è necessario un maestro, una persona capace di guidarci, di indicarci la strada. Una persona che sia in grado di indicarci il cammino migliore da seguire. Una persona che conosca la sofferenza e che con il proprio esempio sia riuscita a rialzarsi. Ci vuole una persona disposta a darsi per il tuo bene, per la tua felicità, per la tua libertà.
Io ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il farmaco. Mi sentivo manipolato, volevo mantenere il mio stato mentale allo “stato naturale”, non volevo alterare la mia coscienza, volevo essere me stesso al 100%. Il problema è che non potevo mai essere al 100% perché non stavo bene, perché mi nutrivo di convinzioni erronee che mi spingevano a pensare in maniera sbagliata. E così venivano fuori sempre pensieri negativi, idee distorte, pezzi di follia mascherati da barlumi di luce. Ricordo che un giorno decisi di non prenderne più. Ero convinto di fare la rivoluzione, di essere un ribelle incompreso, che senza quelle medicine che mi impedivano di pensare avrei risolto i miei problemi. Non fu così. Mi ritrovai in CSM ancora più stordito.
Io ho sempre sognato una vita pura e pulita da ogni sostanza chimica. Ma poi mi son visto incoerente con me stesso: fumo, mangio male, bevo troppi caffè. E poi che dire del fatto che quando ho l’influenza mi prendo una tachipirina? Magari se mi fa mal di schiena prendo anche un antidolorifico.
I farmaci sono delle stampelle, possono essere visti come delle droghe, come degli strumenti di manipolazione, come veleno, come una nostra sconfitta. Ma non è così. Il farmaco serve, è di importanza capitale. Il farmaco ti salva la vita, te la allunga, te la migliora.
Per quanto tempo dovrò prendere il farmaco?
Lo prenderò fino a quando dovrò prenderlo. Attenzione però all’illusione dello star bene. Succede ad esempio che con un antidepressivo dopo dieci quindici giorni ti senti meglio. Allora pensi che tutto si è risolto, che stai bene e decidi di interrompere. Questi farmaci non sono noccioline, vanno trattati con cura e saggezza. Il farmaco aiuta a vivere meglio, aiuta a vivere o sopravvivere in situazioni di difficoltà.
Ma il farmaco da solo non è sufficiente, ci vuole una guida, una persona di cui ci fidiamo e che sia disposta a condurci lungo quel percorso che deve essere necessariamente di autoconsapevolezza. Conoscere noi stessi per imparare a conoscere il mondo. L’inganno è che noi pensiamo di conoscere, in realtà non finiremo mai di conoscere. Ci vuole molto tempo prima di potersi prendere il lusso di fare un bilancio, prima di poter dire: “io sto bene, io sono guarito”.
Nella mia vita ho provato lo Zoloft, lo Xanax, lo Ziprexa, il Leponex, il Valium, l’Ansiolin, il Tranquirit, il Disipal, il Seroquel, l’En, l’Haldol e il Daparox. Si può dire che ho una discreta esperienza in questo campo.
Mi ci sono voluti anni per poter dire: “proviamo ad abbassare”, proviamo a vedere che succede. Anni di ricerca interiore e confronto con il prossimo. Con operatori amici e familiari. Mi ci sono voluti anni per capire quante persone mi vogliono bene, vogliono il mio bene.
Ora prendo la dose minima di farmaco. Prendo 50 millilitri di Haldol e non ho nessun effetto collaterale. La mia mente è lucida, sono presidente di un’associazione, cresco e mi evolvo ogni giorno. Ogni giorno mi sfido e cerco di migliorare. Mi sono reso conto che il più grande strumento di crescita è il confronto con l’altro, è lo stareassieme. Io oggi ho un maestro che mi ha aperto gli occhi, un maestro lontano, che non ho mai avuto l’onore di conoscere ma che scrive e incoraggia ognuno di noi a vincere le nostre debolezze e a superare i problemi della vita. Il percorso è lungo, pieno di ostacoli e di difficoltà, ma ce la sto facendo. Sto superando la malattia anche grazie a questa convivenza con il farmaco. Ora so che devo rinforzarmi sempre più, devo crescere e maturare, vincere su me stesso e i miei limiti. Poi, forse un giorno, lo spero, potrò dire: “amici, io amo la vita, io non voglio più farmi del male, io mi voglio bene”.
Quel giorno curerò meglio la mia alimentazione, smetterò di fumare, sarò talmente emancipato che potrò dire alla mia psichiatra: “proviamo a dimezzare”. Dimezzeremo. Poi farò sei mesi dimezzato e, se tutto andrà per il verso giusto, potrò dire addio a questa parentesi dolorosa della mia vita.
Armati di pazienza, perseveranza e determinazione avanziamo fiduciosi e pieni di speranza verso la strada della guarigione delle nostre anime.