Vogliate scusarmi, due righe su quanto trapelato a Quarto dal convegno romano del 20.3
Pare che la tendenza a trattenere negli spazi ex-manicomiali i supersititi dell’internamento in o.p. sia vista come involutiva dal c.n.u.s.m., mentre sarebbe stata innovativa o progressiva la tendenza opposta. Ora, i goriziani, come mi insegnate, dopo aver demolito il manicomio ovunque si trovasse, si diedero a sostituirlo con misure più accettabili per coloro che non sarebbero stati in grado di reintegrarsi nel civile consorzio. Ecco sorgere le c.t., di cui una anche a Quarto, comprendente un buon numero di giovani, circa una ventina, poi confluiti, non si sa bene perché, in una casa protetta adiacente, sempre all’interno dell’ex-o.p. Quindi, o sbagliano i goriziani a riprodurre una struttura innovativa in un contesto decrepito, o sbagliano i post-goriziani a non ammettere che quello era l’unico modo per occuparsi degli ex-degenti senza disperderli ai quattro venti, ossia in un tessuto sociale impermeabile al loro riassorbimento. Tale riassorbimento, finora parziale (escono di giorno, ma a mangiare e dormire rientrano dove si è detto) sarebbe divenuto totale se si fossero resi autonomi, magari in piccoli gruppi organizzati in case-famiglia e in effetti nell’entroterra non mancarono tentativi simili, a volte riusciti a volte no, a seconda del grado di stabilità emotiva dei candidati all’inserimento o della maggiore o minore recettività dell’ambiente esterno. Alcuni sono riusciti a inserirsi in un contesto paesano indifferente o quasi ostile, altri non ci sono riusciti in un contesto più favorevole, quindi non sempre gli operatori hanno agito in senso frenante come si evince dalla posizione del c.n.u.s.m.
Quelli che, pur essendo giovani, sono fra i più regrediti e meno autonomi, restano accuditi nell’ambito protetto delle residenze ex-manicomiali, le quali però si staccano dalle c.t. da cui alcuni di loro provengono per la non consuetudine alle riunioni collettive, elemento distintivo delle esperienze-pilota di tipo basagliano. In altre parole, a Quarto c’è stato un goriziano che al posto dell’o.p. ha piazzato le c.t. (qualcuno dice che ha trovato la pappa fatta, tanto meglio) rendendo i giovani attivamente coinvolti nella gestione del loro situarsi in quel determinato spazio. Una volta sparito Slavich, gli ospiti, privati della c.t., sono stati progressivamente deresponsabilizzati, il che autorizza gli osservatori esterni, come ad es. quelli del coordinamento nazionale, a vedere in tutto ciò una spirale involutiva. Sappiamo da Agostino Pirella che certi “club terapeutici” posti nei luoghi dell’internamento manicomiale, servirono a volte a riscattare il degrado di quegli stessi luoghi e questo potrebbe essere il caso di Quarto, se si riuscisse a provare che ciò che ha rimpiazzato la c.t. è altrettanto valido, ma temo che sia piuttosto difficile convincersi di una cosa del genere. Siccome i meno giovani sono i più refrattari ai mutamenti, e costoro rappresentano la maggioranza dei circa 80 superstiti dell’o.p., non resta che prenderne atto, pur tenendo conto di una loro eventuale opzione non-residenziale, che cozzerebbe contro la mancanza di posti nel circuito dell’autonomia.
Angelo Stefanelli
1 Comment
Ciao Angelo,
ho letto attentamente quanto hai scritto e ho visto che
l’hai inviato via mail anche all’Associazione dove lavoro.
Ti rispondo sul Forum a titolo personale.
Credo che ci sia molto bisogno a Genova della voce e delle azioni del Coordinamento nazionale degli utenti, anche all’interno del Coordinamento per Quarto.
Le comunità terapeutiche presenti a Quarto sono il prodotto della “falsa deistituzionalizzazione” che c’è stata nel territorio genovese a metà degli anni 90. Come accenni tu, rispetto a quello che è stato fatto dai goriziani, la Comunità Terapeutica doveva rappresentare (e così è stato dove si è applicata la legge 180) “il rifiuto della realtà manicomiale” e non un “nuovo modello tecnico specialistico a cui adattarsi negli anni”.
Il rischio che Basaglia prospettava negli anni ‘60, a Genova si è compiuto in pieno. Dal sistema delle istituzioni della violenza siamo rimasti immobilizzati nel sistema delle istituzioni della tolleranza: ossia tutte queste strutture (e sono tante!) che si fondano sul “mito della cronicità” e della “prognosi negativa” e che non fanno altro che produrre etichette, come “pazienti o malati psichiatrici”, codici, deresponsabilizzazione e carriere istituzionali.
Mi auguro che la forte presa di posizione da parte sia delle Associazioni di familiari, sia del Coordinamento nato di conseguenza contro “la vendita delle persone in lotti con un’asta al massimo ribasso”, non rimanga isolata e fossilizzata su quella che è stata sicuramente una conquista, anche se paradossale, ma rappresenti l’inizio di una battaglia per un vero cambiamento e una nuova riprogettazione sociosanitaria di queste strutture, come di altre presenti sul territorio.
Giulia Bordi