[intervento letto in occasione del convegno Good Practice Services: Promoting Human Rights & Recovery in Mental Health]
Perché candidare al Nobel per la pace l’esperienza di Franco Basaglia? A questa domanda si possono dare due risposte, una semplice e una complessa. La risposta semplice è: Basaglia e il suo gruppo sono stati all’avanguardia nella critica delle istituzioni totali, dai manicomi all’esercito, che hanno contribuito in modo decisivo alle guerre novecentesche. C’è una linea diretta che porta dal manicomio al lager: la soluzione finale, la Shoah, fu prima sperimentata in corpore vivi tramite l’Olocausto di disabili, pazzi, devianti.
Qui di seguito, però, m’interessa la risposta complessa. Nella storia dell’Occidente contemporaneo, mi sembra, sono stati usati tre dispositivi di controllo sociale. Li chiamerò bio-politica, socio-politica e psico-politica: rispettivamente, il controllo dei corpi, dei gruppi, e delle anime. Basaglia, per quanto ne so, rifiutò la bio-politica, aprendo i manicomi, criticò la socio-politica, che ai suoi tempi si presentava come suo sostituto, e intravvide i rischi della psicopolitica, che riguarda direttamente noi.
La bio-politica è stata complementare al progetto politico moderno: l’auto-controllo della società da parte di se stessa, coniugando liberalismo politico e liberismo economico. Condizione per realizzare tale progetto era il disciplinamento dei corpi: disciplinamento al quale, però, si sottraevano i poveri, i malati, i pazzi, che quindi andavano esclusi e reclusi. Quando Basaglia arrivò a Gorizia, ancora sotto l’ombra lunga di Auschwitz, la contenzione, l’elettrochoc, la lobotomia, apparvero improvvisamente strumenti di controllo, non di cura[1].
Questa stessa percezione era diffusa allora, più che fra gli psichiatri, ancora accecati dall’ideologia medica della cura, fra gli scienziati sociali come Michel Foucault o Erving Goffman. Ma Basaglia non si fece illusioni neppure su costoro. Nel 1971 criticò il secondo dispositivo, la socio-politica, come un’estensione del controllo dai devianti all’intera società, includendo, come controllori, gli stessi sociologi, e come controllati tutti i cittadini, esposti a quello che egli chiama controllo sociale totale[2].
Poi sono venute la crisi dello Stato sociale e la rivoluzione digitale e s’è trovato un modo più economico per controllare l’intera società: la psico-politica, l’auto-controllo delle anime di ognuno da parte di tutti, tramite un apposito braccialetto elettronico chiamato smartphone. Così i pazzi, esclusi dalla bio-politica, inclusi dalla socio-politica, sono andati al potere. In effetti, quante pulsioni che una volta avremmo detto d’interesse psichiatrico si esprimono oggi, liberamente, sui social e in politica…
Basaglia ha forse intravvisto i contorni di questo terzo dispositivo di controllo nella sua postfazione, pubblicata nel 1968, alla traduzione italiana di Asylums (1961), di Goffman. Vi si legge: «Basterebbe assorbire – e ce ne sono già le indicazioni – nella sfera delle devianze ogni disadattamento [per] farl[o] cadere sotto la giurisdizione psichiatrica, per costruire scientificamente un nuovo alibi, che converta in patologia ciò che è aperto segno di dissenso verso una vita invivibile, che può ancora essere diversa»[3].
«Una vita invibile potrebbe ancora essere diversa». Questa è, in sintesi, la ragione per cui proporre il Nobel per la pace all’esperienza di Franco Basaglia.
[1] Cfr. lo straordinario A. Slavich, All’ombra dei ciliegi giapponesi. Gorizia 1961, Alpha Beta Verlag, Meran, 2018.
[2] Cfr. F. Basaglia, F. Ongaro, La maggioranza deviante. L’ideologia del controllo sociale totale (1971), Baldini, Castoldi, Nave di Teseo, Milano, 2018, specie p. 28: «Se nella società affluente si tende a rompere il rigido legame fra l’ideologia medica e la legge, per creare un nuovo tipo di interdisciplinarietà con altre scienze umane, la finalità di questo spostamento non è il miglioramento della vita e delle condizioni dell’uomo, ma la scoperta di un nuovo tipo di produttività e di efficienza che riesce a sfruttare anche l’inefficiente e l’improduttivo o a trovargli un nuovo ruolo».
[3] Così F. Basaglia, F. Ongaro, Postfazione a E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione della violenza (1961), trad. it., Einaudi, Torino, 2010, p. 415 (corsivo nel testo).