M
MANICOMIO.
Deposito dove vengono inviati per il popolo i pazzi, per gli intellettuali i folli e dove, per i medici, vengono custoditi e curati i malati di mente. Per il pazzo, il folle, il malato di mente si tratta di un’istituzione totale, chiusa, oppressiva, dove vige la regola carcerario-punitiva, la cui finalità è la lenta eliminazione del proprio contenuto. Il manicomio è costituito da una piramide gerarchica che vede all’apice i medici con a capo il direttore, poi gli infermieri e alla base i malati. Tutti subiscono, anche se a livelli diversi, lo stesso processo di “istituzionalizzazione” (v.) che cristallizza i ruoli e congela i rapporti, dividendo l’insieme in corpo curante e pazienti: cioè superiori e inferiori, dominatori e dominati.
Il fatto che gli internati dei nostri manicomi appartengano tutti a un’unica classe (il proletariato e il sottoproletariato) testimonia l’esistenza di una doppia psichiatria che ricorre a definizioni scientifiche e sanzioni pratiche diverse, a seconda delle condizioni sociali ed economiche del paziente.
In questo senso la funzione delle istituzioni manicomiali si chiarisce in una esplicita azione di circoscrizione e di controllo degli elementi di disturbo sociale, dove la malattia ha un gioco molto marginale.
MATTO.
Termine d’uso comune per indicare gli affetti da “pazzia” (v.).
N
NEVROSI.
Nella definizione classica, la nevrosi è ritenuta un disturbo della personalità, caratterizzato dall’ansia come elemento determinante. Ma da quando l’ansia è diventata di proprietà della psichiatria, l’uomo “normale” non può esteriorizzare le sue emozioni senza essere definito nevrotico: la distanza fra salute e malattia in questo caso viene a cadere, tanto che l’essere nevrotico sembra diventato uno stato caratteristico dell’uomo normale.
Tale stato di nevrosi universale è di solito giustificato con la tensione provocata dalla vita “moderna”. Ma se i limiti di “norma” (v.) sono definiti esclusivamente in base a un concetto di produttività alienata, l’uomo, sano o malato che sia, difficilmente riesce a identificarsi nell’Io ideale che gli viene proposto. Egli è allora costretto a chiudersi nel conflitto con se stesso, alla ricerca continua di questa identificazione. Quando i margini di libertà individuale sono ristretti e i modelli in cui identificarsi sono ridotti in stereotipi rigidamente prestabiliti, la società aumenta il margine di tolleranza nei confronti dell’ansia provocata dalla mancata identificazione in quei modelli. E ciò perché l’ansia stessa risulta socialmente controllabile, come sintomo di norma-malattia. In questo senso, la differenza fra il nevrotico e l’uomo cosiddetto normale è solo quantitativa, tanto che, d’accordo con Ronald Laing, potremmo includere fra le diverse diagnosi psichiatriche anche quella di “stato di uomo normale”.
NORMA.
Complesso di regole che definiscono i valori di una data società in rapporto al tipo di credenze, organizzazione sociale, livello economico, sviluppo tecnologico-industriale che la caratterizza. Si tratta di un insieme di valori relativi che acquistano peso e significato assoluti solo nel momento in cui vengono infranti (v.: “Deviante”). Essi si traducono cioè in norme giuridiche deputate a sancire la situazione in atto. Di conseguenza, sanciscono il sistema di valori della classe dominante quindi il privilegio della classe che stabilisce i limiti di norma rispetto all’altra, che li subisce. Per la psichiatria italiana la norma è stabilita dalla “legge” (v.) sui manicomi e sugli alienati, del 1904.
O
OSPEDALE PSlCHIATRICO.
Eufemismo per “manicomio” (v.). La terapeuticità implicita nel termine è annullata dall’impossibilità di riabilitare persone inabili, per una società che non ha bisogno di persone riabilitate.