Il testo che segue è stato inviato da Roberto Mezzina all’incontro del Pd proposto dall’on. Sereni. Avrebbe dovuto essere illustrato in quella circostanza.
Il tema dei servizi resta al centro dell’iniziativa e questo conforta; esso rappresenta pure l’aspetto centrale (ma non l’unico) della proposta di legge ora ripresentata da Serracchiani (che ho in larga parte contribuito a scrivere in prima persona). Esso sottolinea l’importanza di servizi basati sulla comunità, che devono essere operativi 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, integrati nelle organizzazioni sanitarie e con i servizi di welfare, per rispondere ai bisogni di tutta la vita, dall’alloggio al lavoro all’inclusione sociale. Occorre promuovere la prevenzione della disabilità attraverso interventi precoci, il contrasto a nuove forme di istituzionalizzazione.
Tuttavia, la proposta sui servizi resta monca se non si accompagna ad una grande battaglia politica e culturale che la inserisca in un contesto più ampio.
La salute mentale di comunità deve basarsi sull’approccio all’intera persona, all’intero sistema e all’intera comunità (Whole person, whole system, whole community). Deve essere basata sul ‘recupero’ (recovery) del soggetto e sui diritti: per ridurre la coercizione, occorre un accesso facile e immediato, non liste d’attesa ‘allo psichiatra’, porte aperte, approccio centrato sulla persona. Essa deve essere co-progettata: vedi il ruolo delle ONG a vari livelli, dall’autoaiuto alla socializzazione, ai piani e budget di salute personali, finalizzati alla vita indipendente, all’inclusione e formazione al lavoro, favorita dal necessario sviluppo di imprese sociali e dell’economia sociale; il ruolo del sostegno tra pari nell’erogazione dell’assistenza è rilevante. L’impegno e lo sviluppo di una comunità allertata e competente sono componenti importanti di un cambiamento vero e completo, che l’OMS ha chiamato ‘whole of society approach’.
I diritti umani in salute mentale (per le persone ‘con disabilità psicosociali’ in senso lato) vanno intesi nel loro complesso (vedi Convezione sui diritti delle persone con disabilità dell’ONU). Appartengono e sono esigibili dalle singole persone, ma richiedono uno sforzo e un impegno collettivo. Essi vanno inclusi tra tutte le altre battaglie per i diritti umani, ad es. di minoranze e gruppi discriminati. Il diritto alla salute, e la salute mentale come diritto (art 25), si inserisce nel contesto del diritto all’uguaglianza di fronte alla legge (capacità legale, v. abolizione incapacità), alla libertà personale, alla vita indipendente e alla partecipazione alla comunità, alla libertà da trattamenti inumani e degradanti (come la contenzione fisica), al diritto al lavoro, alla casa, etc.
Le violazioni dei diritti umani sono associate a disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria, ai servizi, alle cure, alle prestazioni assistenziali, ecc.
Le disparità di salute influiscono negativamente su gruppi di persone che hanno sistematicamente sperimentato maggiori ostacoli sociali o economici alla salute in base al loro gruppo razziale o etnico, religione, stato socioeconomico, genere, salute mentale, disabilità cognitiva, sensoriale o fisica, orientamento sessuale, posizione geografica, o altre caratteristiche storicamente legate alla discriminazione o all’esclusione.
È ormai ampiamente accettato che le disuguaglianze nella salute, inclusa la salute mentale, sorgono a causa delle disuguaglianze nella società – nelle condizioni in cui le persone nascono, crescono, vivono, lavorano e invecchiano. I determinanti sociali della salute (anche mentale) agiscono attraverso un effetto cumulativo di svantaggio associato all’aumento dello stress nel corso della vita. Questi fattori influenzano ogni individuo in modo diverso, a seconda della presenza di ammortizzatori come il sostegno sociale, le risorse finanziarie e la resilienza emotiva, ma nel complesso è più difficile sviluppare questa resilienza e avere accesso al giusto supporto sociale quando si è in una posizione di svantaggio.
Il tema della disuguaglianza va dunque affrontata in particolare riconoscendo le condizioni di vulnerabilità.
Le disuguaglianze nella salute e nell’assistenza sanitaria sono modellate da una varietà di fattori socio-economici, di distribuzione del reddito, e da caratteristiche specifiche come genere, etnia, disabilità o gruppi socialmente esclusi (ad esempio, persone senzatetto).
Le disuguaglianze sociali e di salute hanno tuttavia un impatto più marcato sui soggetti appartenenti a gruppi più vulnerabili. Ci sono molti aspetti della vulnerabilità, derivanti da vari fattori fisici, sociali, economici e ambientali. La vulnerabilità economica è fortemente connessa alla vulnerabilità sociale, cioè al potenziale impatto degli eventi su persone povere o su interi nuclei familiari, donne in gravidanza o in allattamento, persone con disabilità, bambini, anziani.
La salute mentale, e il benessere mentale, così come l’assistenza in salute mentale, sono fortemente influenzati da fattori socio-economici e caratteristiche individuali quali sesso, etnia, età. La morbilità per disturbi mentali varia a seconda delle condizioni sociali. Il riconoscimento dei problemi di salute mentale e la diagnosi sono fortemente influenzati dallo stato sociale e in particolare dall’appartenenza a un gruppo etnico minoritario. Nei paesi più ricchi ci sono anche variazioni significative nell’accesso, nell’esperienza e nei risultati dell’assistenza in salute mentale che sono guidate da disuguaglianze sociali o vulnerabilità differenziali conseguenti a fattori economici, sociali e culturali.
La povertà (mancanza di risorse socioeconomiche) aumenta il rischio di esposizione a esperienze traumatiche e stress che aumentano la vulnerabilità ai disturbi mentali. La disoccupazione può influenzare lo sviluppo di disturbi mentali comuni, come la depressione e l’ansia. Questo legame tra povertà e salute mentale è bidirezionale: le disparità nell’accesso all’istruzione e all’alloggio dovute allo svantaggio socioeconomico possono aumentare il rischio di malattie mentali, mentre i problemi di salute mentale a lungo termine possono portare le persone alla povertà a causa della discriminazione sul lavoro e della ridotta capacità di lavorare.
Le comunità etniche minoritarie (es. migranti) sono esposte a un’esperienza cumulativa di microaggressioni dovute a razzismo, che ne compromettono la resilienza e l’autonomia, aumentando così la loro vulnerabilità alla malattia mentale. La disuguaglianza di genere e le disparità di genere nella salute mentale sono fortemente correlate. Diversi studi indicano che le donne soffrono mentalmente più degli uomini, in particolare nelle società con livelli maggiori di disuguaglianza di genere e discriminazione basata sul pregiudizio, crea barriere all’accesso alle risorse della comunità e all’assistenza sanitaria mentale.
La disparità di accesso all’assistenza sanitaria in salute mentale è ancora una realtà in Europa. Anche in Italia, continua a dipendere da una quota elevata a pagamento diretto in ambito privatistico, come nella maggior parte dei paesi europei, il che porta a disuguaglianze sanitarie e sociali ancora maggiori per le persone che vivono con problemi di salute mentale. Il recente rapporto della Commissione europea mostra anche una mancanza di investimenti nell’assistenza sanitaria preventiva e mentale in più di 10 paesi europei. I disturbi psichiatrici gravi, ‘psicotici’, sono distribuiti in modo diseguale in base alla posizione sociale. Le persone di condizione socio-economica inferiore sono maggiormente colpite da problemi di salute mentale, compresa una maggiore prevalenza di “disturbi mentali comuni”. I gruppi svantaggiati, vulnerabili o emarginati sono definiti dall’OMS come coloro che, “a causa di fattori generalmente considerati al di fuori del loro controllo, non hanno le stesse opportunità di altri gruppi più fortunati nella società”. Gli esempi includono i disoccupati, i rifugiati e altri che sono socialmente esclusi.
I fattori di rischio ecologico per la salute mentale come la mancanza di alloggi adeguati, opzioni di trasporto ridotte, privazione del vicinato, ambiente naturale o edificato sfavorevole e vivere in un ambiente urbano sono comunemente associati allo svantaggio sociale e ad altri fattori di rischio sociale nella maggior parte dei paesi occidentali. Essere senzatetto o a rischio di rimanere senzatetto è fortemente associato a problemi di salute mentale, mentre al contrario, è stato dimostrato che il passaggio dalla condizione di senzatetto all’alloggio, o l’esperienza di miglioramenti abitativi, migliora la salute mentale.
Evidenze emergenti suggeriscono che l’aumento della coesione sociale può ridurre gli effetti negativi della privazione del vicinato sulla salute mentale.
La segregazione sociale può anche avere un impatto negativo sulla salute mentale. L’urbanizzazione e la vita urbana sono fattori di rischio per la depressione e l’ansia poiché sono legati alla privazione socioeconomica, al basso sostegno sociale, alla segregazione sociale e alle condizioni ambientali/climatiche.
Lo stigma e la relativa discriminazione sono spesso inerenti a molte di queste disuguaglianze, in particolare quelle relative alla salute mentale e ai gruppi socialmente esclusi in generale. Sperimentare pregiudizi e discriminazioni può anche aggravare e ostacolare il recupero da una condizione di salute mentale. Ciò comprende questioni di conoscenza (ignoranza), atteggiamento (pregiudizio) e comportamento (discriminazione).
Come riportato dal rapporto della Mental Health Foundation (UK), ben nove persone su dieci con problemi di salute mentale hanno subito lo stigma o la discriminazione in un momento della loro vita (sul lavoro, nell’istruzione, etc).
In conclusione:
- È tempo di riconoscere l’impatto delle disuguaglianze di salute mentale in tutto il mondo, soprattutto dopo la “sindemia” di Covid-19.
- Alloggi inadeguati, mancanza di lavoro, scarso o nessun accesso all’assistenza sanitaria si traducono in scarsi risultati.
- Le disparità stanno aumentando all’interno del paese.
- Le disuguaglianze sono in ambito sanitario così come in campo economico e sociale, interagiscono continuamente e sono aggravate da stigma e discriminazione. Il loro contrasto è legato al potere e alla partecipazione di tutti gli stakeholder; è una questione politica oltre che un imperativo civico per tutti.
Tutto ciò richiede uno sforzo enorme, a livello individuale e collettivo, nella direzione della giustizia sociale, vale a dire:
- Approccio intersettoriale nella fornitura di servizi, compresi il terzo settore e le parti interessate, al fine di
- Affrontare i determinanti sociali e i bisogni relativi alla vita ‘intera’
La questione dell’attenzione alle fasce vulnerabili deve quindi trovare strumenti nuovi: il rischio è quello della patologizzazione e codificazione diagnostica di forme di disagio spesso sfuggenti e cangianti, quali quelle legate all’adolescenza e prima giovinezza (su questo un mio contributo su ‘Salute Internazionale’). Occorre dunque andare oltre il modello medico (e psicologico) riduzionista.