Il Forum di Salute Mentale intende qui proporre alcune riflessioni di fondo sugli interventi utili a garantire una salute mentale di comunità efficace e inclusiva.

La legge italiana in materia di salute mentale rappresenta un modello ancora all’avanguardia, grazie alla rete di servizi territoriali e istituzioni sanitarie integrate, che nella loro sinergia costituiscono un’alternativa agli ospedali psichiatrici. L’Italia è anche uno dei pochi paesi europei, insieme a Spagna e Svezia, ad avere abbandonato il criterio di pericolosità, adottando il bisogno di cura come unico criterio per effettuare trattamenti obbligatori.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), questo approccio favorisce la reintegrazione sociale dei pazienti, garantendo un equilibrio tra cura, rispetto dei diritti umani e esigenze della società in generale.

La chiusura degli ospedali psichiatrici, completata in un periodo di 21 anni, ha rappresentato un risultato storico e unico al mondo, riconosciuto dall’OMS come vero e proprio modello virtuoso.

Questo percorso “di civiltà” ha segnato un cambio di paradigma nella gestione della salute mentale, ma come è naturale ha incontrato sfide significative nella sua attuazione.

E’ infatti noto come la Legge 180/833, in quanto legge-quadro, richiedeva l’adozione di normative regionali, circostanza questa che ha ritardato la definizione concreta dell’organizzazione dei servizi.

Solo con il Primo Progetto Obiettivo Nazionale Salute Mentale del 1994 e, in maniera più completa, con il Secondo Progetto del 1999, si è giunti a una chiara strutturazione dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) all’interno delle Aziende sanitarie, definendo missioni, funzioni e standard di personale e prestazioni.

Si aggiunga che la riforma del Titolo V della Costituzione, ampliando l’autonomia delle regioni e lasciandole libere di adottare modelli differenti, ha ostacolato la creazione di un sistema integrato nazionale in grado di rispondere efficacemente ai disturbi mentali severi, pur garantendo il pieno rispetto dei diritti costituzionali, civili e sociali. L’assenza di una governance nazionale efficace è ben illustrata dal fatto che l’ultimo Piano d’azione per la Salute mentale risale al 2013. A oggi tale integrazione non solo resta possibile, ma appare addirittura indispensabile.

Le difficoltà sono state ulteriormente aggravate dall’aumento della domanda, legato alle conseguenze della pandemia e all’ampliamento del disagio sociale e sanitario. Al contempo, si è registrata una riduzione degli investimenti nei servizi di salute mentale, scesi al 2,75% del Fondo Sanitario Nazionale, contro una media quattro volte superiore in paesi come Francia e Regno Unito. Questo dato si inserisce naturalmente nel quadro del cronico e generale sottofinanziamento della sanità pubblica, con la ben nota conseguente carenza di personale.

La combinazione di questi fattori ha reso la situazione drammatica, come testimoniano la quota crescente di bisogni di cura inevasi e l’aumento dell’incidenza dei disturbi mentali comuni.

Rafforzare il sistema di salute mentale è quindi un’urgenza non più rinviabile e riteniamo che questo fine sia da perseguirsi, lo ripetiamo, investendo risorse umane e finanziarie e garantendo un’azione di governo coordinata a livello nazionale.

In questo breve e inevitabilmente parziale contributo, esamineremo quattro disegni di legge: i DDL

  1. 734 e n. 938, da un lato, e n. 1171 e n. 1179 dall’altro. I primi due condividono lo stesso testo di base e mirano a costituire uno strumento legislativo capace di favorire la piena realizzazione dei principi stabiliti nella Legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978 in materia di salute mentale, con particolare riferimento agli articoli 33, 34 e 35 (ex Legge 180/78).

Non a caso, tali DDL mantengono invariati gli articoli poc’anzi menzionati, salvo due eccezioni relative al divieto della contenzione e all’attuazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).

Per quanto concerne i successivi DDL 1179 e 1171, si osserva che il primo definisce obiettivi generali condivisibili, quali l’ammodernamento della rete dei servizi sanitari, a partire da prevenzione, diagnosi precoce, cura e riabilitazione. Inoltre, sul piano delle cure è previsto, e sicuramente auspicabile, lo sviluppo di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), peraltro già presenti in diversi Dipartimenti di Salute Mentale.

Tuttavia, il DDL 1179 solleva diverse preoccupazioni in merito alla gestione degli strumenti di trattamento coattivo. La questione di fondo riguarda il bilanciamento tra necessità di proteggere pazienti e operatori sanitari e il rispetto dei diritti individuali dei pazienti stessi. I punti di maggiore criticità appaiono i seguenti:

  1. Misure di sicurezza pubblica: la previsione di un “decreto del Ministero dell’Interno” per l’individuazione delle misure necessarie al contenimento della violenza contro il personale sanitario, per di più nell’assenza di specificazioni o vincoli, suscita interrogativi e preoccupazioni sul risultato finale.
  2. Trattamenti coattivi: l’articolato sembra lasciare spazio all’adozione di trattamenti coattivi (fisici, farmacologici e ambientali) in situazioni di rischio per la salute del paziente o di altre persone. Questo principio fa riferimento a un non meglio specificato “stato di necessità”, che giustificherebbe il ricorso a tali misure in caso di pericolo imminente. Con tutta evidenza, tale vaghezza rischia di aprire la porta, nelle applicazioni pratiche in un contesto clinico, a interpretazioni divergenti, mettendo seriamente a rischio il rispetto dei diritti del paziente.
  3. Accertamento sanitario obbligatorio (ASO): l’ASO è riformulato come nuova modalità di osservazione e a nostro parere è forte il pericolo che si traduca in una nuova forma di

controllo. Ha senso un accertamento in “strutture idonee” per l’effettuazione di valutazioni diagnostiche? E, di nuovo il problema della vaghezza delle indicazioni, quali sarebbero le strutture idonee che la legge chiama i DSM a scegliere?

  1. TSO, rischio di aggravamento e durata: il testo introduce un quarto criterio per l’attivazione del TSO, relativo a “l’elevato rischio di aggravamento del quadro clinico in caso di assenza di trattamento”. Questo criterio solleva preoccupazioni, ancora una volta in relazione alla sua indeterminazione: la difficoltà di valutare clinicamente il rischio di aggravamento lo rende di difficile applicazione oggettiva, potenzialmente conducendo a situazioni in cui le decisioni siano influenzate da fattori soggettivi. Appare ben concreto il rischio di una semplice estensione dei margini per il ricorso a trattamenti coattivi, con le conseguenti lesioni dei diritti personali dei pazienti. Inoltre, la legge prolunga la durata del primo TSO a 15 giorni: una scelta che appare non motivata da esigenze pratico- organizzative né tanto meno terapeutiche. Siamo fermamente convinti che il TSO debba essere un intervento eccezionale, da adottare solo in casi estremi, quando tutti i tentativi di ottenere il consenso siano falliti. Pertanto, a nostro parere esso dovrebbe mantenere la sua durata massima di 7 giorni, restando naturalmente e come attualmente previsto prorogabile. Tale approccio settimanale consente infatti una valutazione dinamica della situazione, promuovendo il dialogo e il consenso senza limitare inutilmente la libertà individuale.
  1. Carcere, nuovi “Servizi specialistici” e TSO: forti dubbi solleva anche l’introduzione, in concerto con il Ministero della Giustizia, di “Servizi Sanitari Specialistici Psichiatrici” nelle carceri, con un numero di posti addirittura pari al 3% della popolazione detenuta. Contemporaneamente, è prevista la possibilità di applicazione del TSO all’interno del carcere per detenuti con gravi disturbi psichiatrici. Al contrario, anche alla luce della situazione critica del nostro sistema detentivo, riteniamo essenziale che il TSO sia effettuato, nel costante rispetto della dignità della persona, in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), al di fuori del circuito penitenziario. Con tutta evidenza, sorgono numerosi interrogativi, sia sul piano clinico che organizzativo. Ad esempio, è possibile garantire la qualità e la sicurezza delle cure durante un TSO ospedaliero effettuato in carcere? E come affrontare eventuali necessità che richiedano interventi specialistici o magari la presenza di un rianimatore o l’esecuzione di un esame di neuroimaging?

Concludiamo questo nostro esame del DDL 1179 osservando che viene richiesto un aumento di posto letto nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (R.E.M.S) da 20 a 25.

Seguono ora alcune considerazioni sul DDL 1171. In un articolato preambolo, dopo avere espresso un giudizio positivo sulla Legge 180 e tuttavia sottolineato come la sua applicazione risulti carente in diverse regioni italiane, il testo si dilunga sul tema degli effetti negativi della pandemia da Covid- 19 sulla salute mentale, nonché dell’uso di alcool e sostanze stupefacenti e psicotrope acquistate sul mercato illegale. Evidenzia inoltre una preoccupante crescita dei disturbi mentali, sia in età evolutiva (bambini e adolescenti) sia in età geriatrica (anziani).

Particolare enfasi viene posta sulla carenza di posti letto disponibili, ospedalieri e non, per il trattamento di questi disturbi, giungendo alla conclusione che il sistema pubblico dedicato alla salute mentale è incapace di soddisfare adeguatamente la domanda di cure e assistenza per le persone affette da tali patologie.

A tale problematica è dedicato l’Art. 6 su “Disposizioni per la revisione e il potenziamento dell’offerta della presa in carico ospedaliera”, dove è disposto l’incremento di posti letto presso i gli SPDC nella misura di uno ogni 5 mila abitanti, a fronte dell’attuale prescrizione di uno per 10 mila.

Grande importanza nel dispositivo sembra occupare la presa in carico anche di tipo preventivo- proattivo, con moduli residenziali specifici e dedicati al monitoraggio di pazienti eleggibili, alla loro osservazione intensiva e protezione, nonché a garanzia della sicurezza degli operatori. Pur nel contesto della dotazione standard, si dispone una ottimizzazione per la cura e l’assistenza continua del paziente con disturbo psichico.

Tali provvedimenti mirano al prolungamento dei ricoveri, soprattutto per quei pazienti in comorbilità, e all’istituzione di unità di cura intensiva. Forte ci appare il rischio della reintroduzione di unità chiuse e specifiche per patologia, di natura ospedaliera e rivolte a garantire sicurezza e controllo, in contrasto con quella chiusura degli ospedali psichiatrici tanto apprezzata dall’OMS e che, lo ribadiamo, costituisce uno dei cardini della legge 180/833.

Meritano attenzione anche le previsioni riguardanti le R.E.M.S. Anche in questo caso si propone l’adeguamento dell’offerta di posti letto in base a un “target di rischio individuale e sociale”, che include i casi di massima sicurezza. Si promuovono, inoltre, livelli di assistenza adeguati nelle strutture carcerarie, con l’attivazione di un tavolo permanente per ogni regione, al fine di pianificare i rapporti con la magistratura. Questo tavolo dovrà anche sviluppare soluzioni residenziali mirate per i casi di disagio mentale caratterizzati da elevata pericolosità sociale, con finalità di protezione osservazionale predittiva e trattamento preventivo proattivo.

Questo implicherebbe il potenziamento della rete delle REMS e la loro differenziazione secondo criteri di rischio dei “soggetti pericolosi” reclusi, con tutti i conseguenti dubbi riguardanti ogni restrizione della libertà personale sulla base della sola presunzione del pericolo della consumazione di reati.

Per concludere, le ultime due proposte di legge qui discusse ci sembrano volte a reintrodurre un approccio difensivo, che allarga il campo del trattamento, in strutture residenziali ospedaliere e non, anche attraverso la restaurazione del legame tra la malattia mentale e pericolosità. Tale approccio potrebbe vanificare i progressi compiuti grazie al modello comunitario finora applicato nel nostro paese, imperniato su trattamenti meno invasivi e più integrati nella vita quotidiana del paziente. La reintroduzione di approcci basati sulla pericolosità potrebbe, tra le altre cose, accrescere i pericoli legati allo stigma, che purtroppo tuttora colpisce le persone con malattia mentale, e rafforzare pregiudizi e barriere, riducendo le loro opportunità di reintegrazione e supporto sociale.